La nuova lezione di Caffè

GIACOMO BECATTINI

La nuova lezione di Caffè
Giudizi attuali Glabalizzazione e new economy sono problemi di oggi che Federico Caffè aveva saputo leggere con anticipo. Come, ce lo racconta il professor Giacomo Becattini GIACOMO BECATTINI


Questa mattina, alle ore 11, nell'Aula Magna dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, sarà proiettato, in anteprima nazionale, il film "L'ultima lezione" (regia di Fabio Rosi) dedicato a Federico Caffè. Lo ricorderanno Sergio Steve, collega ed amico di tutta una vita ed uno dei suoi numerosi allievi, Nicola Acocella. Seguirà un incontro, coordinato da Andrea Purgatori, con il regista, lo scrittore e gli attori del film, nonché gli allievi, spero numerosi, di Federico Caffè.
Mi sarebbe piaciuto essere presente alla riunione di oggi, ma non potendo farlo, desidero aggiungere, attraverso il manifesto, ch'è stato per un lungo periodo il suo giornale, la mia modesta voce a quelle, ben più autorevoli e più "vicine" allo scomparso, sopra ricordate.
La vicenda Caffè, come quella Majorana, il grande fisico scomparso anch'egli nel nulla, ci crea un disagio speciale, assai diverso da quello che ci provoca la morte "pura e semplice", se si può dire così, di uno studioso. Forse, pensiamo, Caffè ci legge e ci osserva, noi sulla breccia, da qualche romìta stanza, e soppesa i nostri scritti e le nostre azioni, colla lucida saggezza che ci piace attribuire al ritiro dal turbine della vita attiva. Noi sappiano bene, probabilisticamente parlando, che non può essere così, che Caffè è morto; resta il fatto che la sua presenza fra noi non si dissolve come quella di chi, puramente e semplicemente, muoia.
Non ho idea di che cosa ci sia nel film di Fabio Rosi, ma mi piace il titolo. Mi piace immaginare che cosa avrebbe detto un Federico Caffè ancor vivo (avrebbe avuto, se non erro, 87 anni), se avesse pronunciato davvero, oggi, una lezione pubblica. Certo, il ventaglio dei temi che avrebbe potuto trattare con competenza e finezza, era molto ampio, dagli intrichi monetari alle prelibatezze dell'economia del benessere, attraverso tutto, o quasi, il territorio della storia e della critica dell'economia politica e della politica economica. Vi è quindi un certo grado di arbitrio - la prepotenza del pòstero - nell'assegnargli un tema anziché un altro.
Bene, mi piace immaginare che Caffè, colla sua preferenza istintiva per le questioni che gli uomini in carne ed ossa sentono rilevanti, avrebbe scelto di affrontare il groppo di problemi che ruotano attorno alle oggi chiacchieratissime globalizzazione e new economy. Penso che avrebbe diviso la sua esposizione in quattro parti: l'espansione degli scambi internazionali, i movimenti dei capitali, gli effetti sociali del progresso tecnico e le ragioni dell'ambientalismo.
Sul primo punto io vedo la posizione di Caffè chiaramente riassunta nel passaggio seguente: "La crescente interpenetrazione delle economie nazionali attraverso l'apertura dei mercati agli scambi di merci e di servizi, ai movimenti di capitali, agli investimenti diretti dell'estero, è stata accettata e favorita dai poteri pubblici con un atteggiamento acriticamente permissivo. Un simile atteggiamento ha dato lustro agli antichi precetti del libero scambio, ma non ha nulla in comune non soltanto con la fondamentale filosofia keynesiana, che fa affidamento sulla responsabile guida delle forze di mercato, ma altresì con specifiche raccomandazioni in tema di politica internazionale" (ESP, p.19) Insomma, per Caffè - come per il mio maestro di studi economici e suo amico, Alberto Bertolino - non si deve confondere la mera liberazione delle forze del mercato - l'"antico" laissez faire laissez passer - con una vera, genuina, cooperazione economica internazionale. Che è ciò cui allude col cenno alle raccomandazioni di politica internazionale e che veramente serve al mondo di oggi.
Sul secondo punto la posizione di Caffè emerge limpida nel suo rammarico per l'abbandono della classica distinzione fra i movimenti normali e quelli anormali dei capitali "Dannosi per i paesi da cui muovono, i trasferimenti anormali di capitali lo sono anche per i paesi verso i quali affluiscono" (TPPS, p.101). Non è difficile immaginare cosa avrebbe detto Caffè sulla sfrenata libertà di movimento di ogni genere di capitali, normali e anormali, puliti e sporchi, cui oggi assistiamo. Basti una notazione: il "prevalere della visione e della pressione dei tecnici" porta la rafforzamento di una delle "più conturbanti forme di 'potere senza responsabilità'" (TPPS, p.114)
Sul terzo punto vi sono alcuni passaggi di una sua relazione ai Lincei sugli aspetti sociali dell'automazione, che ci aiutano a immaginare il suo punto di vista sulla cosiddetta new economy. Caffè parte, nella sua analisi, da un passaggio assai pregnante di A. J. Toynbee: "Sebbene la tecnologia sia fatta dall'uomo, essa pone in forse la capacità dell'uomo di programmare, dirigere e controllare il proprio futuro", per arrivare al tema a lui più caro: la compatibilità del progresso scientifico-tecnico "con gli obbiettivi accettati della politica economica contemporanea: il pieno impiego e la continuità dello sviluppo in condizioni di ragionevole stabilità" (TPPS, p.117). Bisogna "evitare - scrive, presago, Caffè - che i progressi delle tecnologie avanzate spezzino il mondo del lavoro (non soltanto manuale, precisa in nota) in gruppi non comunicanti di privilegiati e di elementi posti praticamente ai margini dell'attività produttiva" (TPPS, p.128).
Sul quarto punto, infine, son più perplesso. Caffè non era certo un sottovalutatore dei danni all'ambiente fisico dell'attività produttiva, industriale e agricola, ma, mi pare, il suo atteggiamento sul tema era dominato dalla preoccupazione che dietro l'ambientalismo più spinto si nascondessero oblique finalità. "Ciò che va corretto - scrive, nella recensione di un noto testo di W. Beckerman, ripubblicata col significativo titolo, I ricchi hanno un alibi - non è di certo la preoccupazione per la difesa dell'ambiente, bensì la reale possibilità che essa finisca per distrarre l'attenzione dai reali problemi dell'umanità, che sono ancora problemi di povertà e di inadeguatezza delle condizioni elementari di vita di larga parte dell'umanità stessa" (ESP, p.72).
Questo, più o meno, io penso, il succo di ciò che Caffè avrebbe detto su globalizzazione e new economy, se fosse stato ancora fra noi. Questo, io credo, il messaggio "virtuale", al popolo di Seattle e ai governanti che si accingono a confrontarsi, forse a scontarsi, a Genova, fra poche settimane, di un Federico Caffè ben vivo nei nostri ricordi.

Nota: Con TPPS indico la raccolta Teorie e problemi di politica sociale del 1970; con ESP indico la raccolta Economia senza profeti, del 1977.

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