La nuova
lezione
di Caffè
Q
Giudizi attuali
Glabalizzazione e new economy sono problemi di oggi che Federico
Caffè aveva saputo leggere con anticipo. Come, ce lo racconta il
professor Giacomo Becattini
GIACOMO BECATTINI
Mi sarebbe piaciuto essere presente alla riunione di oggi, ma non
potendo farlo, desidero aggiungere, attraverso il
manifesto, ch'è stato per un lungo periodo il suo giornale,
la mia modesta voce a quelle, ben più autorevoli e più "vicine"
allo scomparso, sopra ricordate.
La vicenda Caffè, come quella Majorana, il grande fisico
scomparso anch'egli nel nulla, ci crea un disagio speciale, assai
diverso da quello che ci provoca la morte "pura e semplice", se
si può dire così, di uno studioso. Forse, pensiamo, Caffè ci
legge e ci osserva, noi sulla breccia, da qualche romìta stanza,
e soppesa i nostri scritti e le nostre azioni, colla lucida
saggezza che ci piace attribuire al ritiro dal turbine della vita
attiva. Noi sappiano bene, probabilisticamente parlando, che non
può essere così, che Caffè è morto; resta il fatto che la sua
presenza fra noi non si dissolve come quella di chi, puramente e
semplicemente, muoia.
Non ho idea di che cosa ci sia nel film di Fabio Rosi, ma mi
piace il titolo. Mi piace immaginare che cosa avrebbe detto un
Federico Caffè ancor vivo (avrebbe avuto, se non erro, 87 anni),
se avesse pronunciato davvero, oggi, una lezione pubblica. Certo,
il ventaglio dei temi che avrebbe potuto trattare con competenza
e finezza, era molto ampio, dagli intrichi monetari alle
prelibatezze dell'economia del benessere, attraverso tutto, o
quasi, il territorio della storia e della critica dell'economia
politica e della politica economica. Vi è quindi un certo grado
di arbitrio - la prepotenza del pòstero - nell'assegnargli un
tema anziché un altro.
Bene, mi piace immaginare che Caffè, colla sua preferenza
istintiva per le questioni che gli uomini in carne ed ossa
sentono rilevanti, avrebbe scelto di affrontare il groppo di
problemi che ruotano attorno alle oggi chiacchieratissime
globalizzazione e new economy. Penso che avrebbe diviso
la sua esposizione in quattro parti: l'espansione degli scambi
internazionali, i movimenti dei capitali, gli effetti sociali del
progresso tecnico e le ragioni dell'ambientalismo.
Sul primo punto io vedo la posizione di Caffè chiaramente
riassunta nel passaggio seguente: "La crescente interpenetrazione
delle economie nazionali attraverso l'apertura dei mercati agli
scambi di merci e di servizi, ai movimenti di capitali, agli
investimenti diretti dell'estero, è stata accettata e favorita
dai poteri pubblici con un atteggiamento acriticamente
permissivo. Un simile atteggiamento ha dato lustro agli antichi
precetti del libero scambio, ma non ha nulla in comune non
soltanto con la fondamentale filosofia keynesiana, che fa
affidamento sulla responsabile guida delle forze di mercato, ma
altresì con specifiche raccomandazioni in tema di politica
internazionale" (ESP, p.19) Insomma, per Caffè - come per il mio
maestro di studi economici e suo amico, Alberto Bertolino - non
si deve confondere la mera liberazione delle forze del mercato -
l'"antico" laissez faire laissez passer - con una vera,
genuina, cooperazione economica internazionale. Che è ciò cui
allude col cenno alle raccomandazioni di politica internazionale
e che veramente serve al mondo di oggi.
Sul secondo punto la posizione di Caffè emerge limpida nel suo
rammarico per l'abbandono della classica distinzione fra i
movimenti normali e quelli anormali dei capitali "Dannosi per i
paesi da cui muovono, i trasferimenti anormali di capitali lo
sono anche per i paesi verso i quali affluiscono" (TPPS, p.101).
Non è difficile immaginare cosa avrebbe detto Caffè sulla
sfrenata libertà di movimento di ogni genere di capitali, normali
e anormali, puliti e sporchi, cui oggi assistiamo. Basti una
notazione: il "prevalere della visione e della pressione dei
tecnici" porta la rafforzamento di una delle "più conturbanti
forme di 'potere senza responsabilità'" (TPPS, p.114)
Sul terzo punto vi sono alcuni passaggi di una sua relazione ai
Lincei sugli aspetti sociali dell'automazione, che ci aiutano a
immaginare il suo punto di vista sulla cosiddetta new
economy. Caffè parte, nella sua analisi, da un passaggio
assai pregnante di A. J. Toynbee: "Sebbene la tecnologia sia
fatta dall'uomo, essa pone in forse la capacità dell'uomo di
programmare, dirigere e controllare il proprio futuro", per
arrivare al tema a lui più caro: la compatibilità del progresso
scientifico-tecnico "con gli obbiettivi accettati della politica
economica contemporanea: il pieno impiego e la continuità dello
sviluppo in condizioni di ragionevole stabilità" (TPPS, p.117).
Bisogna "evitare - scrive, presago, Caffè - che i progressi delle
tecnologie avanzate spezzino il mondo del lavoro (non soltanto
manuale, precisa in nota) in gruppi non comunicanti di
privilegiati e di elementi posti praticamente ai margini
dell'attività produttiva" (TPPS, p.128).
Sul quarto punto, infine, son più perplesso. Caffè non era certo
un sottovalutatore dei danni all'ambiente fisico dell'attività
produttiva, industriale e agricola, ma, mi pare, il suo
atteggiamento sul tema era dominato dalla preoccupazione che
dietro l'ambientalismo più spinto si nascondessero oblique
finalità. "Ciò che va corretto - scrive, nella recensione di un
noto testo di W. Beckerman, ripubblicata col significativo
titolo, I ricchi hanno un alibi - non è di certo la
preoccupazione per la difesa dell'ambiente, bensì la reale
possibilità che essa finisca per distrarre l'attenzione dai reali
problemi dell'umanità, che sono ancora problemi di povertà e di
inadeguatezza delle condizioni elementari di vita di larga parte
dell'umanità stessa" (ESP, p.72).
Questo, più o meno, io penso, il succo di ciò che Caffè avrebbe
detto su globalizzazione e new economy, se fosse stato
ancora fra noi. Questo, io credo, il messaggio "virtuale", al
popolo di Seattle e ai governanti che si accingono a
confrontarsi, forse a scontarsi, a Genova, fra poche settimane,
di un Federico Caffè ben vivo nei nostri ricordi.
Nota: Con TPPS indico la raccolta Teorie e problemi di
politica sociale del 1970; con ESP indico la raccolta
Economia senza profeti, del 1977.