Leggi razziali, l'ordine è già stato eseguito
L
Lo zelo persecutorio del capo della provincia di Grosseto,
l'ambiguità del vescovo, la complicità dei dirigenti locali
LUCIANA ROCCHI
In più, l'immagine, che la storiografia ci ha restituito per
decenni, della moderazione delle persecuzioni razziali fasciste,
se messe a confronto con la crudeltà dello sterminio nazista (De
Felice, Poliakov) ha prodotto un senso comune tendenzialmente
assolutorio (anche la persecuzione nella Rsi, con oltre 6.000
deportazioni, è stata in molti casi letta come una necessità,
imposta dall'alleato tedesco a Mussolini); salvo, poi, essere in
contraddizione con quelle ricerche di storia locale che,
ricostruendo la caccia all'ebreo attraverso fonti d'archivio,
svelano nomi e gesti di persecutori e perseguitati e fanno
emergere, pur accanto agli atti di solidarietà, un tessuto fatto
di silenzi e complicità, che ha attraversato dirigenti politici,
funzionari del regime, ma anche la società. David Bidussa parlava
nel 1994 di "una curiosa discrasia tra una storiografia che tende
a stemperare presupposti e circostanze di ciò che furono le leggi
razziali e una 'microstoria' che invece narra episodi di
uccisioni, massacri... un altro paese, fatto di delazione, di
indifferenza, di egoismo e di cinismo". Lo stato attuale della
ricerca, grazie a lavori di storici come Collotti, Miccoli,
Picciotto Fargion, Sarfatti, ha imposto l'uso di categorie di
analisi nuove, che tuttavia non hanno prodotto ancora una
modificazione del senso comune.
Dati questi presupposti, appare di grande utilità far crescere
"le microstorie", che coinvolgono le memorie personali, anche
quando si crea un corto circuito tra queste e il documento
d'archivio, tale da far esplodere contraddizioni. Il caso delle
persecuzioni antiebraiche in provincia di Grosseto nel 1943-44
può essere emblematico. Cosa dicono le fonti archivistiche?
In una provincia, che nel 1938 censiva 149 ebrei su una
popolazione di 189.557 abitanti, ridotti a 100 nel 1943, la
"questione ebraica" non presentava elementi di drammaticità,
anche tenendo conto dell'assimilazione del nucleo ebraico con il
resto della popolazione e col regime, nell'unico centro, in cui
esisteva una presenza ebraica storicamente significativa:
Pitigliano. Qui, come altrove, al censimento seguiva la
persecuzione, ma, al di là della speciale violenza della
propaganda di regime - lo documentano i durissimi articoli
apparsi sul foglio d'ordini del Pnf "La Maremma" - non emerge
altra singolarità. Fino al 14 novembre 1943, quando la Rsi
decretò con la Carta di Verona che gli ebrei appartenevano "a
nazionalità nemica". Fu allora che il capo della Provincia di
Grosseto, Alceo Ercolani (ex-ufficiale decorato per meriti di
guerra, ex-capo del Pfr), meritò di essere additato come esempio
dal Comando militare territoriale germanico per la tempestività
con cui aveva provveduto all'istituzione di un campo di
internamento, atto per cui fu invece richiamato dal ministero
degli interni, per non aver atteso disposizioni da chi di
competenza. La cronologia è illuminante: l'ordine di polizia n.
5, che prescrive sequestri e internamento, è del 30 novembre;
Ercolani aveva già emanato il primo decreto di sequestro di
proprietà il 16 novembre; il 24 aveva dato inizio ai lavori di
ristrutturazione di un'ala della sede estiva del seminario
vescovile, a Roccatederighi, per internarvi gli ebrei; i primi
arresti erano stati fatti il 27 novembre. Il perché di tanto zelo
persecutorio è argomento complesso ma, frugando tra le carte che
documentano l'attività di Ercolani, è possibile rintracciare
accenti di singolare durezza, che in un caso approdano
all'eccidio di 11 giovani inermi renitenti alla leva; ed è anche
possibile verificare, nei gruppi dirigenti locali, un quasi
unanime consenso. E' significativo che nessuno degli arresti di
ebrei sia compiuto da soldati tedeschi. Si aggiunga che, accanto
ai gesti di solidarietà verso gli ebrei, attestati dai documenti
della questura, si era creata intorno all'Egeli (Ente per la
gestione e liquidazione immobiliare dei beni ebraici sequestrati
- nel gennaio 1944, 15 aziende agrarie per 13.000 ettari) una
fitta rete di complicità.
Particolare attenzione merita l'istituzione del campo. Esiste un
regolare contratto, stipulato tra il vescovo di Grosseto, Paolo
Galeazzi, e la Provincia, che prevedeva un affitto mensile di L. .
5.000, più 300 lire al giorno per le suore e 600 per gli uomini,
addetti ai servizi. L'affitto non fu mai pagato, se il vescovo,
in una lettera del settembre 1944, a liberazione avvenuta, ne
reclamò la riscossione dall'Amg. La forma dell'affitto poteva
anche servire (suggerisce Bruna Bocchini Camaiani) ad allontanare
i rischi di un esproprio, come la presenza del vescovo e di
sacerdoti accanto agli internati poteva - come è stato - servire
ad alleviarne le pene. Ma va sottolineato che la concessione del
seminario è giustificata dal vescovo nel contratto come "prova di
speciale omaggio per il nuovo Governo" (diverso sembrerà il tono
del vescovo, nel settembre 1944, quando sosterrà di aver subito
suo malgrado pressioni e minaccia di requisizione), governo mai
formalmente riconosciuto dalla Santa Sede.
Giovanni Miccoli ha descritto l'ambigua posizione della Santa
Sede e delle gerarchie cattoliche, che alternano la persistente
diffidenza nei confronti degli ebrei e l'assenza di "una rottura
netta, inequivocabile, con le tendenze discriminatorie in atto",
all'invito a porgere aiuto "ai singoli, agli indifesi, ai deboli
e ai sofferenti". In questo contesto s'inscrivono certo scelta e
comportamenti del vescovo di Grosseto. La sua biografia è ancora
da scrivere, ma appare già oggi un personaggio interessante, se
suscitò un incidente diplomatico tra Vaticano e addetto Usa
presso la Santa Sede, nel giugno 1943, con la scrittura di un
articolo forte su un bombardamento americano, che i cardinali
Maglione e Tardini definirono inopportuno, perché "politico"; e a
seguito del quale ricevette dal S.C. Consistoriale "un rebuffo".
Questo dicono le fonti archivistiche. Che cosa ha conservato la
memoria locale?
Quando a Grosseto fu esposta una mostra sulle persecuzioni
antiebraiche nella provincia, quasi nessuno che non avesse avuto
diretto contatto con il campo ne conosceva l'esistenza, quindi
protagonisti e testimoni non ne avevano tramandato memoria. Nella
pubblicistica locale, due sole tracce restano: una pubblicazione
sulla Resistenza, che contiene il breve diario di un internato e,
in un volumetto di storia del paese di Roccatederighi, scritto da
un sacerdote, una citazione dell'episodio del campo, utile a
ricordare quello che l'autore definisce "gesto eroico" del
vescovo, che protesse gli internati.
Alcune interviste fatte a sopravvissuti grossetani offrono
informazioni utili, ma danno anche la rappresentazione di una
forma di elaborazione della memoria comune. Conservano il ricordo
della presentazione spontanea di alcuni ebrei grossetani
all'invito delle autorità nel novembre '43, di una vita al campo
sufficientemente serena: si poteva uscire, svolgere attività
varie, intrattenere rapporti cordiali con gli abitanti del paese
e persino con i militi di custodia. Nello stesso senso si esprime
oggi un sacerdote, allora studente di teologia residente nel
seminario; la sua memoria si conclude con una "testimonianza di
ammirazione sull'operato del direttore del campo... per la sua
sensibilità e umanità". Unici momenti drammatici, quelli della
scelta degli internati avviati a Fossoli per essere deportati in
Germania. 33 furono deportati; solo 4 tornarono. Tra questi,
molti ebrei stranieri, qualche italiano, nessun grossetano. Certo
non fu una coincidenza fortuita, ma il risultato di una rete
protettiva, che ha lasciato nei sopravvissuti gratitudine verso
chi ha salvato loro la vita, ma insieme il dolore, ancora
lacerante, per il sacrificio degli altri. Impossibile, con i
protagonisti, ma anche con alcuni testimoni, tentare passaggi che
vadano oltre l'elaborazione dell'esperienza vissuta e le
cristallizzazioni che la loro memoria ha consolidato - grazie a
una lettura più o meno consapevolmente selettiva - e ora
trasmette, narrando.
Così, compito dello storico è quello di mettere insieme i
documenti e le memorie, far parlare quelli e misurarsi con
delicatezza e rispetto con queste, ma per arrivare a una
conclusione, che non tradisca le regole del suo mestiere. Perché
la memoria si costruisce nel ventre della storia, ma anche la
storia deve contribuire a produrre memoria. Compito arduo,
dunque, quello dello storico, ma oggi tanto più necessario,
quando sempre più spesso le ragioni della storia si debbono
confrontare con quelle del suo uso pubblico e chi, pur accettando
con convinzione una storia "che rivede", non si associa al
revisionismo estremo che finisce per confondere le differenze tra
fascismo e antifascismo, può rischiare l'accusa di
conservatorismo o di voler perpetuare una storia ideologizzata.