Le dieci
parole
della libertà
" Nell'umile sinagoga della mia città natale di Aïn Témouchent, in
Algeria, i dieci Comandamenti erano scritti a lettere d'oro su
due tavole di legno di quercia appese sopra l'armadio che
conteneva i rotoli della Torah. Come tutti gli altri bambini
ebrei, imparavo a memoria le dieci Parole centrali, le cui 620
lettere ebraiche, disposte su due colonne allineate, danzavano
davanti ai miei occhi, affascinandomi. Rimanevo estasiato di
fronte a quelle dieci Parole che riassumono tutto ciò che l'uomo
può comprendere e auspicare per l'universo".
Un mirabile intreccio di esegesi, tradizioni giudaiche e
islamiche, opzioni etiche nei "Dieci comandamenti" di André
Chouraqui
OTTAVIO DI GRAZIA
Con questo ricordo, comincia il bel libro di André Chouraqui
dedicato ai Dieci Comandamenti (I dieci
comandamenti, Mondadori, pp. 274, L. . 32.000). L'autore, ebreo
algerino che vive a Gerusalemme dal 1956, addottorato alla
Sorbona, traduttore delle Scritture ebraiche, cristiane e del
Corano in un francese da calco sull'originale per lasciare
cogliere, nei limiti del possibile, la forza immensa, il respiro
delle lingue originali, l'ebraico, il greco e l'arabo, senza
eccedere in letteralismi crittografici, è considerato un uomo
dalle tre culture (ebraica, greca - latina, araba) e conosce come
pochi i tre universi abramici: ebraismo, cristianesimo,
islamismo. Grazie a questa profonda conoscenza Chouraqui vuole
contribuire a rendere sempre più decisivo il dialogo per superare
odi, incomprensioni, violenze che hanno attraversato la nostra
comune storia. La cosa, per Chouraqui è tanto più urgente per le
religione abramiche, che hanno in comune lo stesso Dio, lo stesso
messaggio, gli stessi profeti, le stesse finalità.
Quello di Chouraqui è un viaggio sulle orme di quelle antiche
parole che costituiscono il "grande codice" dell'etica
umana tout court, e si confronta con esse a partire dal
contesto storico-culturale della loro formulazione per rileggerne
l'estrema attualità e per farci cogliere la loro estrema
concretezza. Un viaggio ai confini di un mistero rivelato e di
un'utopia possibile. Il mistero è quello di Dio, del suo "nome"
indicibile (Chouraqui, non usa mai questo termine nel suo libro,
ovviamente, preferendo usare il tetragramma YHWH in corpo piccolo
e sopra, altrettanto piccolo scrive Adonai, il termine ebraico
per dire Signore), della sua parola consegnata a Mosè; l'utopia è
quella della promessa di una vita degna di essere vissuta, in cui
libertà, giustizia, rispetto della dignità umana siano i
capisaldi. Esattamente quello che annunciano i Dieci
Comandamenti.
All'inizio del terzo mese dopo l'esodo degli ebrei dall'Egitto e
la conseguente marcia verso il monte Sinai avviene un evento
centrale della storia biblica (il tutto collocabile,
probabilmente, attorno al 1200 a.C.): la rivelazione della
Torah, attraverso l'alleanza tra Dio e il suo popolo con
il dono dei Dieci Comandamenti o Dieci Parole o
Decalogo. Il testo biblico parla anche di "tavole della
testimonianza" o di "tavole dell'Alleanza".
Stiamo parlando dei Dieci Comandamenti. Si tratta
dell'espressione abitualmente utilizzata. Tuttavia non la
troviamo nella Bibbia. Non c'è né un titolo, né un sottotitolo
simile nei due passi in cui Mosè espone ai figli d'Israele i
comandamenti che Dio gli ha chiesto d'insegnare (Es 20 e Dt 5).
Infatti il termine impiegato nel passo dell'Esodo (20, 1) per
presentare i comandamenti di Dio, è proprio: "parola". Dio
"pronunziò tutte queste parole...". Il termine "parola", in
ebraico, si dice davar che può significare sia "cosa"
che "parola". Chiunque conosca appena l'ebraico e la Bibbia sa
che "Dieci Parole" si dice asseret hadiberot. Ma
hadiberot, femminile plurale, non è la forma utilizzata
nella Bibbia, ma unicamente nel Talmud. La Bibbia usa il termine
"parole" al maschile plurale: devarim. Le "Dieci Parole"
sono le asseret hadevarim. Nella Bibbia vi sono due
versioni del decalogo, lievemente diverse: nel libro
dell'Esodo al capitolo 20, dal versetto 1 al 17, e nel
libro del Deuteronomio al capitolo 5, dal versetto 6 al
21.
Con un sorprendente intreccio di esegesi, di tradizioni giudaiche
e islamiche, di storia e meditazione, ogni capitolo del libro è
dedicato al commento di un comandamento. Ne viene narrata
l'origine e la storia attraverso i secoli e la versione fornita
da ciascuna delle tre tradizioni abramiche: l'ebraismo, il
cristianesimo e l'islam.
Dall'ambito religioso si passa alla lettura dei comandamenti
negli altri contesti culturali e a come dovrebbero essere letti
entro l'orizzonte dell'universalità delle opzioni etiche
fondamentali.
Chouraqui riprende il Decalogo cercando di coglierne tutta la
freschezza affidandosi di volta in volta ai commentari
tradizionali, ai rilievi esistenziali, alle evocazioni testuali,
alle tradizioni mistiche, agli elementi simbolici. Egli
sostanzialmente procede con un metodo ermeneutico a prima vista
paradossale ma profondamente fedele a quella lettura infinita,
tipica del modo ebraico di leggere le Scritture.
L'etica proposta nei Dieci Comandamenti è di una
semplicità straordinaria. In primo luogo è stata la guida degli
Ebrei, poi dei popoli e delle religioni ispirate direttamente o
indirettamente dal pensiero biblico, innanzi tutto del giudaismo,
successivamente del cristianesimo, attraverso i Vangeli e il
messaggio degli Apostoli, poi dell'islam e infine, dell'epoca
moderna, con i diritti dell'uomo e la morale laica che
rappresentano l'orizzonte etico comune della nostra società dalla
fine del XIX secolo.
Infatti nel libro di Chouraqui viene riservato un ampio spazio
alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ed esso è
stato dedicato a René Cassin, suo maestro e amico, principale
estensore di tale documento dell'Onu approvato a Parigi nel
1948.
La formulazione dei Dieci comandamenti è chiarissima e sembra non
porre alcun problema di comprensione. Tuttavia sono numerosissimi
i commentatori, ebrei e cristiani, gli storici e i filosofi che
le hanno prese in esame e le hanno analizzate in maniera
approfondita per comprenderle fin nei minimi dettagli.
L'approccio di Chouraqui è innanzi tutto quello di uno studioso
attento alla lingua originale, l'ebraico. Ne consegue che la
finezza di un testo risiede nelle sfumature linguistiche che la
traduzione tende a cancellare. Affrontare un testo nella sua
versione originaria permette anche di porre in evidenza le
strutture particolari delle parole, delle frasi e dei paragrafi,
una struttura colma di insegnamenti.
Nella sua esegesi delle Dieci Parole, fatta di calore, intensità,
di partecipazione esistenziale, Chouraqui rimanda a radici ancora
più remote. Non a caso il primo capitolo del libro è dedicato ai
"comandamenti prima dei dieci comandamenti", in cui egli risale
ad Abramo e allo stesso Adamo, che incarna l'intera umanità. Le
dieci parole cominciano con un'affermazione la cui
tonalità orienta tutto l'insieme. Dio non si presenta come il
creatore del cielo e della terra, ma come il liberatore dalla
schiavitù in Egitto. Il Dio del Decalogo è un Dio che
libera. Liberazione e libertà sono i principi fondamentali che
organizzano i comandamenti.
L'etica dei Dieci Comandamenti non cerca d'imporre
all'uomo un ideale di rinuncia alla vita individuale e
collettiva. Al contrario, quest'etica è eminentemente sociale.
Essa risveglia in ciascuno le responsabilità che spettano per il
semplice fatto di essere un membro della società umana. Alla base
di quest'etica collettiva c'è il mirabile comandamento
dell'amore: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lv 19, 18),
un comandamento senza limiti, che invita l'uomo ad amare non solo
i propri simili, ma anche lo straniero, lo schiavo, il nemico.
Amare il prossimo significa certamente non odiarlo, o non bramare
ciò che gli appartiene, ma garantirgli la vita e l'integrità
psichica e morale. E' ovvio che non bisogna ucciderlo, ma neppure
ferirlo con azioni e parole, mentirgli e ingannarlo.
Giustizia e bontà sono i due elementi fondamentali per
comprendere appieno il senso dei Dieci Comandamenti. Del
resto, un solo termine, in ebraico, designa le due nozioni:
tzedeq. La realizzazione dello tzedeq,
giustizia e bontà, è, insieme all'amore per il prossimo, una
delle esigenze fondamentali del Decalogo. Essa
garantisce i diritti della persona.
Un'etica della responsabilità, dunque, che significa attenzione
per il futuro. Prendersi cura dell'altro, umanità e mondo,
significa consentire che via sia un futuro degno di essere
vissuto per tutti.