Metamorfosi del partito

PAOLO CACCIARI

Metamorfosi del partito
Tra passato e presente, un libro di Mimmo Porcaro ricostruisce la crisi del partito di massa
PAOLO CACCIARI


Liquidato troppo frettolosamente, il partito continua a riconcretizzarsi in varie fogge ma con l'immutata ambizione a diventare grande. D'acciaio o di plastica, dei fedeli militanti o d'integrazione delle masse, democratico o del leader, vecchio o nuovo, seguendo le teorie novecentesche che Mimmo Porcaro ci ha ricordato in appendice del suo Metamorfosi del partito politico (Edizioni Punto Rosso, collana "Il presente come storia" n. 37, L. . 20.000), le forme dell'azione politica continuano a ruotare attorno alla fenomenologia del partito, resistendo agli spietati attacchi che gli vengono mossi da destra e da sinistra: negatore della democrazia in nome della sua organizzazione; dominatore degli individui con il pretesto della regolazione delle libertà. Partiti diventano i movimenti antipartito, quelli d'opinione, gli elettori che vogliono "scegliere direttamente" i propri rappresentanti, i gruppi di pressione, i "forum degli interessi", le lobby dei movimenti monotematici trasversali... Così il nostro sistema politico si avvia a una conclusione paradossale: a rimanere senza partito sono coloro che l'hanno inventato; le classi subalterne. Quasi che la scomposizione e la frantumazione del lavoro, l'appannarsi della rigida divisione tra le classi e l'affermarsi sul piano dei diritti formali della mobilità sociale, abbia comportato la fine della necessità di una rappresentanza del lavoro eterodiretto, espropriato e sfruttato. Quasi a indicare un nesso "naturale" determinista tra l'apparente scomparsa della classe operaia e quella del partito antagonista. Una "morte" che investe tutte le sue versioni storiche conosciute; socialiste e comuniste, di massa e di quadri, democratiche e rivoluzionarie. In una società che riesce ad apparire senza classi, la competizione politica diventa a tutto campo, tra imprenditori politici dei vari "catch-all party". Nel mercato elettorale l'accento si sposta sui "valori" e sulle "regole", sui diritti e sulle opportunità che i singoli individui possono godere per progettare il proprio percorso di vita apparentemente autonomo. Al massimo si può discutere sulla redistribuzione dei surplus, non più dei meccanismi di accumulazione e di produzione. Destra e sinistra non perdono di senso morale e di una vaga rispettiva, diversa identità culturale, ma svanisce ogni loro riferimento di classe. L'elettore diviene "cittadino medio" (per dirla con Schumpeter), che deve vedersela con la cattiva sorte, più che con la propria condizione sociale. Porcaro ricorda gli studi di Doverger d
el dopoguerra: "I partiti sono sempre più sviluppati a sinistra che a destra (...) Sopprimerli sarebbe per la destra un ottimo mezzo per paralizzare la sinistra". E invece le destre sembrano aver ottenuto lo stesso risultato con una procedura opposta: hanno preferito farsi esse stesse partito, invadere il campo avversario, impadronirsi dello strumento "democratico" e stanno riuscendo a vincere la sfida del consenso sociale a viso aperto e con i portafogli gonfi. Le destre neoliberiste fanno paura per il loro asservimento totale all'interesse e all'autorità dell'impresa, ma sono da temere per la loro capacità di costruire consenso dal basso, dai territori, dal modello sociale e familiare propugnato.
Il libro di Porcaro, che è studioso militante e responsabile con incarichi per la formazione nel Prc a Torino, non si muove da queste nostre angosce quotidiane e urgenze politiche, ma alla fine di un percorso di ricostruzione critica dell'evoluzione dei partiti della sinistra italiana, offre più di uno spunto per la riformulazione di una teoria per "il partito del futuro", per una nuova forma del partito operaio. La ipotesi di Porcaro è che sia possibile - e auspicabile - fuoriuscire da una idea di partito monolitico, di attore sociale totale che pretende di riunire in sé tutte le funzioni rilevanti della direzione e della rappresentanza politica, ricalcando la fabbrica fordista, lo stato e la chiesa, per assumere invece la forma di un "partito allargato". Porcaro lo definisce "partito reale", per distinguerlo da quello solo "formale", capace cioè, concretamente, di delineare un sistema plurale di relazioni e istituzioni antagoniste di classe, una costellazione di diverse organizzazioni politiche e sociali, di strutture di movimento che mantengono la loro autonomia. Torna l'idea della rete e del superamento di ogni astratta contrapposizione tra sociale e politico, tra lavoro per riaggregare interessi e comportamenti di classe e per modificare gli assetti di potere esistenti. Così sarebbe ancora possibile aumentare l'influenza sulle masse del partito e far emergere nuove articolazioni di classe protagoniste dell'azione sociale. Porcaro auspica esplicitamente per il Prc un lavoro di trasformazione della propria struttura organizzativa, che pure viene sollecitata dall'alto (le conferenze di organizzazione di Chianciano del '96 e del '99) e auspicata dal basso ma che stenta oltremisura a concretizzarsi. Impossibile non vedere un nesso tra caduta degli iscritti (tendenza che investe drammaticamente Ds, Verdi e altre formazioni della sinistra) e astensionismo elettorale. Irresponsabile, sarebbe, non agire anche sul versante dell'innovazione delle forme dell'azione politica.

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