Troppe luci non giovano ai libri

TIZIANA PLEBANI *

BENI CULTURALI
Troppe luci non giovano ai libri
TIZIANA PLEBANI *


Isiti archeologici sono altra cosa dai quadri, i libri dai paesaggi, i documenti dai cammei. Vi sono manufatti che vivono con agio nel silenzio, che parlano solo se poche luci sono accese, storie che solo l'accostarsi umile e paziente permette di raccogliere. Ma, operando da 20 anni in una biblioteca dello Stato e da 10 nel campo della conservazione, ho potuto constatare quanto le esigenze di visibilità ed esibizione del patrimonio culturale prevalgano sempre più su finalità e vocazione che ogni istituto deve perseguire nel territorio e "schiaccino" beni di diversa natura, assimilando per fruizione e valorizzazione i beni storico-culturali a quelli artistici.
Nella corsa alla spettacolarizzazione si è così sacrificato e si sacrifica l'attività di conservazione e cura dei libri. Poco importano le condizioni di esposizione, i rischi e i traumi per volumi aperti sulle stesse pagine per mesi, i trasporti incauti per mostre sovente prive di apparati didattici adeguati. Poco importa che il luccicare delle vetrine spesso nasconda la realtà di depositi librari o luoghi di conservazione abbandonati, trascurati. Poco importa che le sale di lettura siano solo l'ultimo segmento di un processo articolato che sedimenta lavoro e attenzione. Protagonista di questo delicato compito è il personale, da sempre in Italia al centro di politiche occupazionali di basso livello, reimpiego di forza-lavoro, cassintegrati, obiettori... Dovrebbero essere conservatori di deposito, operatori di cerniera tra l'utenza e l'attività di prevenzione e tutela, invece è il personale meno qualificato, motivato, pagato e assimilato al personale di custodia dei musei. Se si facesse un bilancio delle energie spese per il benessere dei luoghi di conservazione e quello per la realizzazione di eventi, forse alla fine potremmo convenire che, per tutelare e valorizzare il nostro immenso patrimonio, sarebbe meglio sospendere per qualche anno le attività espositive di visibilità e prestigio per concentrarsi sulla cura di questi luoghi e la realizzazione di strumenti repertoriali.
Le scelte sull'organizzazione dei beni culturali sempre più privilegiano l'appalto dei lavori all'esterno, dalla catalogazione ai servizi, ma c'è da chiedersi se questo porti a un effettivo risparmio delle risorse o se non si intraveda alla lunga un impoverimento qualitativo degli istituti. Le sacche di non lavoro o scarso rendimento presenti nel personale di ruolo degli istituti del ministero, che giustificherebbero in parte il ricorso alle famose sinergie del privato, hanno una lunga storia, comune a tanti settori del pubblico impiego e vanno combattute valorizzando la qualità dell'operato e non appiattendo l'orizzonte: gli istituti culturali italiani continuano non solo a sopravvivere ma a migliorare perché vi sono tanti operatori di grande livello, efficienti e motivati. E non meritano certo il trattamento che in questi anni il ministero ha riservato loro, con progetti discutibili: una pioggia di denaro si è riversata nelle biblioteche e nei musei per i dipendenti che permettevano l'apertura prolungata degli istituti, anche in questo caso omologando per finalità e utenza la lettura alla fruizione di un bene artistico-storico. Aperture prolungate che hanno provocato uno squilibrio di risorse a causa della quota di danaro aggiuntiva distribuita per i turni serali e festivi che andava a sguarnire di personale l'orario normale, con difficoltà non indifferenti di gestione e carichi di lavoro assai diseguali.
Il progetto "buona lettura" così pagava profumatamente un rilevante numero di funzionari e operatori di biblioteca in ore serali e notturne per un pubblico pressoché inesistente. D'altronde queste scelte non si erano prima confrontate con le esigenze del territorio, valutando la realtà e la differenziazione degli istituti e il loro bacino di utenza. Come tutte le decisioni demagogiche e di vetrina si è applicato le stesso metro a città diverse per storia, pratiche turistiche, composizione di residenti. A Venezia, ad esempio, che senso aveva imporre un prolungamento a una biblioteca di conservazione - la Biblioteca Nazionale Marciana - che già fornisce un esteso orario di apertura, quando la Biblioteca della Fondazione Querini, che svolge un ruolo di biblioteca pubblica, chiude a mezzanotte e quando alcune biblioteche universitarie offrono un'ampia accoglienza? E' necessario prima di tutto domandarsi per quali lettori e bisogni prolunghiamo l'apertura delle biblioteche. Se per incrementare la lettura usuale le sedi peculiari sono quelle incardinate nel territorio, le biblioteche di quartiere, quelle civiche, quelle per ragazzi. Quale investimento si sta facendo in questa direzione?
Confondere i piani d'intervento, le finalità e di conseguenza operare una squilibrata politica delle risorse, è grave e pericoloso. Un'estesa fascia d'apertura al pubblico è certo un valore indiscutibile, ma non è l'unico: i tempi di attesa, l'efficienza delle distribuzioni dei materiali, la complessiva qualità dei servizi sono indicatori assai più fedeli dello stato di salute di un istituto. Lo stesso accade per il programma "Musei sotto le stelle". A Venezia era davvero necessario spingere l'apertura dei musei più importanti in fasce orarie serali e notturne qui deserte, dato che i turisti lasciano la città nel primo pomeriggio? Perché non riaprire i tanti musei chiusi o valorizzare quelli minori? Non si stanno forse creando delle autostrade culturali che si percorrono rapidamente o con scarso profitto? Chi vi entra con pochi strumenti culturali ne esce arricchito o la scarsità didattica che in genere vi regna li rende solo dei grandi collettori di oggetti? E' questa l'idea che abbiamo della cultura: consumo, merci, supermercati di cose belle? Crediamo davvero che la crescita culturale del paese si misuri con la quantità di biglietti venduti nei musei e nelle mostre?
Più si estendono gli orari e più diminuisce la capacità di tutelare in modo adeguato i nostri beni culturali. Ho visto stravolgere i parametri ambientali di ambienti storici, equilibri fragilissimi assestatisi nel tempo, per permettere le aperture prolungate al pubblico e soprattutto per rendere accettabile la sede di lavoro agli addetti alla custodia, riscaldando o rinfrescando, spesso con sistemi pericolosi e in contrasto con le caratteristiche delle strutture antiche. Più aumenta la quantità di visitatori più cresce l'esigenza di manutenzione costante, il monitoraggio ambientale, la qualità della sorveglianza. Ma ben poco si fa in questa direzione perché andrebbe a rallentare la macchina esposititiva.
*responsabile Ufficio conservazione
e restauro della Biblioteca Nazionale
Marciana di Venezia


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