BENI CULTURALI
I
Troppe luci non giovano ai libri
TIZIANA PLEBANI *
Nella corsa alla spettacolarizzazione si è così sacrificato e si
sacrifica l'attività di conservazione e cura dei libri. Poco
importano le condizioni di esposizione, i rischi e i traumi per
volumi aperti sulle stesse pagine per mesi, i trasporti incauti
per mostre sovente prive di apparati didattici adeguati. Poco
importa che il luccicare delle vetrine spesso nasconda la realtà
di depositi librari o luoghi di conservazione abbandonati,
trascurati. Poco importa che le sale di lettura siano solo
l'ultimo segmento di un processo articolato che sedimenta lavoro
e attenzione. Protagonista di questo delicato compito è il
personale, da sempre in Italia al centro di politiche
occupazionali di basso livello, reimpiego di forza-lavoro,
cassintegrati, obiettori... Dovrebbero essere conservatori di
deposito, operatori di cerniera tra l'utenza e l'attività di
prevenzione e tutela, invece è il personale meno qualificato,
motivato, pagato e assimilato al personale di custodia dei musei.
Se si facesse un bilancio delle energie spese per il benessere
dei luoghi di conservazione e quello per la realizzazione di
eventi, forse alla fine potremmo convenire che, per tutelare e
valorizzare il nostro immenso patrimonio, sarebbe meglio
sospendere per qualche anno le attività espositive di visibilità
e prestigio per concentrarsi sulla cura di questi luoghi e la
realizzazione di strumenti repertoriali.
Le scelte sull'organizzazione dei beni culturali sempre più
privilegiano l'appalto dei lavori all'esterno, dalla
catalogazione ai servizi, ma c'è da chiedersi se questo porti a
un effettivo risparmio delle risorse o se non si intraveda alla
lunga un impoverimento qualitativo degli istituti. Le sacche di
non lavoro o scarso rendimento presenti nel personale di ruolo
degli istituti del ministero, che giustificherebbero in parte il
ricorso alle famose sinergie del privato, hanno una lunga storia,
comune a tanti settori del pubblico impiego e vanno combattute
valorizzando la qualità dell'operato e non appiattendo
l'orizzonte: gli istituti culturali italiani continuano non solo
a sopravvivere ma a migliorare perché vi sono tanti operatori di
grande livello, efficienti e motivati. E non meritano certo il
trattamento che in questi anni il ministero ha riservato loro,
con progetti discutibili: una pioggia di denaro si è riversata
nelle biblioteche e nei musei per i dipendenti che permettevano
l'apertura prolungata degli istituti, anche in questo caso
omologando per finalità e utenza la lettura alla fruizione di un
bene artistico-storico. Aperture prolungate che hanno provocato
uno squilibrio di risorse a causa della quota di danaro
aggiuntiva distribuita per i turni serali e festivi che andava a
sguarnire di personale l'orario normale, con difficoltà non
indifferenti di gestione e carichi di lavoro assai diseguali.
Il progetto "buona lettura" così pagava profumatamente un
rilevante numero di funzionari e operatori di biblioteca in ore
serali e notturne per un pubblico pressoché inesistente.
D'altronde queste scelte non si erano prima confrontate con le
esigenze del territorio, valutando la realtà e la
differenziazione degli istituti e il loro bacino di utenza. Come
tutte le decisioni demagogiche e di vetrina si è applicato le
stesso metro a città diverse per storia, pratiche turistiche,
composizione di residenti. A Venezia, ad esempio, che senso aveva
imporre un prolungamento a una biblioteca di conservazione - la
Biblioteca Nazionale Marciana - che già fornisce un esteso orario
di apertura, quando la Biblioteca della Fondazione Querini, che
svolge un ruolo di biblioteca pubblica, chiude a mezzanotte e
quando alcune biblioteche universitarie offrono un'ampia
accoglienza? E' necessario prima di tutto domandarsi per quali
lettori e bisogni prolunghiamo l'apertura delle biblioteche. Se
per incrementare la lettura usuale le sedi peculiari sono quelle
incardinate nel territorio, le biblioteche di quartiere, quelle
civiche, quelle per ragazzi. Quale investimento si sta facendo in
questa direzione?
Confondere i piani d'intervento, le finalità e di conseguenza
operare una squilibrata politica delle risorse, è grave e
pericoloso. Un'estesa fascia d'apertura al pubblico è certo un
valore indiscutibile, ma non è l'unico: i tempi di attesa,
l'efficienza delle distribuzioni dei materiali, la complessiva
qualità dei servizi sono indicatori assai più fedeli dello stato
di salute di un istituto. Lo stesso accade per il programma
"Musei sotto le stelle". A Venezia era davvero necessario
spingere l'apertura dei musei più importanti in fasce orarie
serali e notturne qui deserte, dato che i turisti lasciano la
città nel primo pomeriggio? Perché non riaprire i tanti musei
chiusi o valorizzare quelli minori? Non si stanno forse creando
delle autostrade culturali che si percorrono rapidamente
o con scarso profitto? Chi vi entra con pochi strumenti culturali
ne esce arricchito o la scarsità didattica che in genere vi regna
li rende solo dei grandi collettori di oggetti? E' questa l'idea
che abbiamo della cultura: consumo, merci, supermercati di cose
belle? Crediamo davvero che la crescita culturale del paese si
misuri con la quantità di biglietti venduti nei musei e nelle
mostre?
Più si estendono gli orari e più diminuisce la capacità di
tutelare in modo adeguato i nostri beni culturali. Ho visto
stravolgere i parametri ambientali di ambienti storici, equilibri
fragilissimi assestatisi nel tempo, per permettere le aperture
prolungate al pubblico e soprattutto per rendere accettabile la
sede di lavoro agli addetti alla custodia, riscaldando o
rinfrescando, spesso con sistemi pericolosi e in contrasto con le
caratteristiche delle strutture antiche. Più aumenta la quantità
di visitatori più cresce l'esigenza di manutenzione costante, il
monitoraggio ambientale, la qualità della sorveglianza. Ma ben
poco si fa in questa direzione perché andrebbe a rallentare la
macchina esposititiva.
*responsabile Ufficio conservazione
e restauro della Biblioteca Nazionale
Marciana di Venezia