Buon anniversario alla Black Saint
A Milano i concerti di David Murray, Terence Blanchard, Regina
Carter e altri per Jazz at the Auditorium
MARCELLO LORRAI -
MILANO
Jazzisticamente nota agli artefici della musica neroamericana
innanzitutto come la città dove si va ad incidere per la Black
Saint e la Soul Note, come la città di Giovanni Bonandrini,
proclamato "produttore di jazz dell'anno" in diversi referendum
della rivista americana Down Beat, Milano concertisticamente da
troppo tempo non corrispondeva a questa sua fama nel mondo del
jazz. Dopo diverse stagioni di magra, quando ormai si disperava,
eccoci adesso all'abbondanza, a volte persino al rischio di
indigestione.
Lunedì sera, all'Auditorium di Milano, per il ciclo appunto Jazz
At The Auditorium proposto dall'orchestra Sinfonica Giuseppe
Verdi, con il proprio quintetto Regina Carter ha presentato il
repertorio del suo nuovo (quarto) album, Motor City
Moments (Verve). La violinista è fra gli esponenti della
giovane generazione neroamericana che sono riusciti a farsi un
nome e a raggiungere una discreta popolarità. La scena del jazz
di oggi ha un disperato bisogno di re e regine, e tende ad
innalzare al trono anche figure che non potrebbero del tutto
vantare la statura dei sovrani. E' il caso della Carter, buona
strumentista che non pare dotata però di particolare virtuosismo
o di straordinario estro improvvisativo, ma che è aiutata da un
accorto lavoro di produzione e da un'intensa promozione. La sua è
una musica onesta, volonterosa e perbene, che rischia di
diventare un po' stucchevole quando ci ripropone con insistenza
un'idea del jazz legata allo swing e all'intrattenimento, e a
riportarci ad atmosfere di altri tempi, che ci fanno rimpiangere
l'irriproducibile poesia dei Venuti e dei Grappelli. Garbatamente
e dignitosamente di consumo, il jazz di Regina Carter guadagna di
spirito soprattutto quando guarda con interesse non superficiale
- comune ad altri esponenti del jazz americano contemporaneo con
cui la Carter è in contatto, da Steve Turre a Tom Harrell - ai
ritmi di matrice afrolatina. Come nella riuscita rivisitazione in
chiave cubana di For Someone I Love di Milt Jackson
(compresa nel nuovo album) o nel Mojito firmato da Turre
(e inserito nel precedente, più brillante, Rhythms of
Heart).
Sala colma, domenica mattina, al Teatro Manzoni, per il sestetto
di Terence Blanchard in connubio con la Milan (R)evolution
Orchestra, impegnati in un programma intitolato "Jazz in Film"
nell'ambito della serie Aperitivo in concerto. Trentottenne,
figura di spicco del jazz d'oltre oceano della sua generazione,
Blanchard, egli stesso accreditato autore di musiche per il
cinema (numerose le colonne sonore per Spike Lee, da Do The
Right Thing a Malcolm X) ha tutte le carte in regola
per riflettere sul rapporto fra jazz e - in questo caso,
soprattutto - le musiche per Hollywood. Blanchard ha pescato
dall'Alex North di Un tram che si chiama desiderio, dal
Bernard Hermann di Taxi Driver, dal Duke Ellington di
Anatomia di un omicidio ma anche di Racing World,
un documentario non terminato su Edgar Degas, dal Quincy Jones
dell'Uomo del banco dei pegni, dall'Elmer Bernstein di
L'uomo dal braccio d'oro, e dall'André Previn (atteso a
Milano il 12 marzo) di The Subterraneans.
In un risultato di bell'effetto, sottolineato da frequenti
applausi a scena aperta, il gruppo del trombettista, asciutto e
sobrio, e gli archi e i fiati della formazione di impronta
accademica, diretta da Danilo Rossi, si sono incollati bene,
fatto tutt'altro che scontato. Sarà interessante riascoltare la
compagine milanese il 14 gennaio, sempre al Manzoni, questa volta
in accoppiata col trio del pianista sudafricano Abdullah
Ibrahim.
Domenica sera, infine, il doppio omaggio alla Black Saint che
compie venticinque anni e alla musica di David Murray che
l'etichetta di Giovanni Bonandrini e oggi del figlio Flavio,
entrambi presenti in sala, ha fatto tanto per valorizzare: non
senza qualche affanno, la Civica Jazz Band, che nelle sue file
allinea peraltro diversi notevoli vecchi e nuovi talenti (come i
veterani Gianni Bedori alle ance e Emilio Soana alla tromba), ha
interpretato alcune composizioni orchestrali di Murray arrangiate
per l'occasione e dirette da Enrico Intra, con Murray fluviale,
cordialissimo solista al sax tenore.