La fuga di Fujimori

GIANNI BERETTA

La fuga di Fujimori
GIANNI BERETTA

Ennesimo colpo di scena in Perù con le dimissioni annunciate domenica scorsa dal presidente Alberto Fujimori mentre si trovava in Giappone, in una visita di cui fin dall'inizio non era chiaro il proposito. El "Chino" (il cinese) o anche il "chinochet", come viene soprannominato in patria il capo di stato peruviano, aveva lasciato Lima diretto nel sultanato del Brunei per partecipare al vertice dell'"Associazione economica dei paesi asiatici". Di lì si era spostato a Tokyo dove avrebbe dovuto trattenersi solo qualche ora per una riunione con alcuni investitori del paese del Sol levante. Dopo di che avrebbe dovuto recarsi a Città di Panama per presenziare al summit dei capi di stato e di governo iberoamericani dedicato all'infanzia. E invece, a sorpresa, si è trattenuto nella capitale giapponese, asserragliato nel lussuoso hotel New Otani.
Da Tokyo ha reso noto il suo ritiro e ieri ha inviato la sua lettera di dimissioni al presidente del parlamento peruviano, Valentin Paniagua. I sospetti che Fujimori non avrebbe intenzione di tornare a Lima, sono stati confermati ieri dalla portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza Usa, Mary Ellen Countryman. La quale ha detto di aver ricevuto informazioni dal governo peruviano in base alle quali Fujimori, pur non avendo chiesto asilo politico, ha deciso di rimanere in Giappone "a tempo indeterminato". A Tokyo si è già trasferito uno dei suoi figli, Hiro, impiegato in una società informatica. E in Giappone già risiede la sorella di Fujimori, moglie dell'ambasciatore del Perù, da lui stesso nominato. In realtà non è assolutamente chiaro che cosa l'imprevedibile governante peruviano abbia realmente in testa.
Potrebbe essere scappato, dopo la nomina a capo dell'Assemblea legislativa di Valentin Paniagua, deputato dell'opposizione capeggiata da Alejandro Toledo. I rapporti di forza sono ulteriormente peggiorati per Fujimori, anche se formalmente le Forze armate hanno rinnovato fedeltà al presidente e alla costituzione. Oppure il Chino avrebbe deciso per l'ennesima volta di mischiare le carte e prendere tempo, ricattando i suoi nemici interni e dell'opposizione inasprendo con la sua assenza una crisi dalla quale nessuno saprebbe bene come uscire da un punto di vista istituzionale (il suo vicepresidente, Francisco Tudela, ha dato le dimissioni già alcune settimane fa).
Il 62enne Fujimori aveva garantito nuove elezioni per il prossimo 8 aprile, e il passaggio dei poteri con il suo successore per il luglio 2001. Ma se lui si sottrae del tutto dalla scena politica e governativa del Perù, chi e come potrebbe coprire questo vuoto e gestire la fase di transizione, con l'esercito in fibrillazione? Alejandro Toledo, intanto, il candidato presidenziale dell'opposizione che si ritirò dal secondo turno delle elezioni scorse per i brogli di Fujimori, ha interrotto la sua visita in Spagna per rientre precipitosamente in Perù. Toledo ha parlato di "riconciliazione ma senza impunità". Nel ruolo di vicepresidente "ad interim" si è già candidato il secondo vicepresidente, Ricardo Marquez. L'opposizione ha invece chiesto a Marquez di tirarsi da parte per lasciare al presidente del parlamento Valentin Paniaga il compito di traghettare il paese verso il voto.
Chi invece non dà segni di vita, almeno apparentemente, è l'inquietante ex (?) capo dei servizi di sicurezza, Vladimiro Montesinos. Il Resputin peruviano dovrebbe trovarsi al sicuro in Perù, dopo il suo rientro da Panama dove era riparato dopo lo scandalo del deputato dell'opposizione passato tra la fila del regime fujimorista a suon di bigliettoni verdi. Fujimori pensava di essersi liberato di lui. Ma evidentemente il potere di ricatto di Montesinos è enorme, se è vero che ha in mano i documenti che certificano che Fujimori non è nato in Perù e di conseguenza non avrebbe potuto concorrere alla presidenza dieci anni orsono. C'è chi assicura che Montesinos continui a tessere le sue trame con i vertici militari che ancora controllerebbe. La questione di fondo, sulla quale qualche settimana fa saltarono le trattative con l'opposizione e l'Organizzazione degli stati americani (Osa), è l'amnistia generale che Fujimori pretende per sé e per i suoi collaboratori di regime per uscire in forma indolore dalla scena.
Il rischio che la situazione precipiti e sfoci persino in un golpe militare, nonostante le assicurazioni dello stato maggiore delle Forze armate, è grande. Non è un caso che la comunità internazionale si sia mostrata da subito all'unisono allarmata; e si stia muovendo per scongiurare il peggio. A cominciare dagli Stati uniti, che hanno fatto sapere che eserciteranno pressioni attraverso l'Osa per una soluzione pacifica; ma che hanno già inviato a Lima una delegazione guidata dal sottosegretario di stato per l'America latina, Peter Romero. Anche l'Unione europea ha lanciato un appello per una "transizione costituzionale e democratica". E persino Mosca ha fatto un appello perché "possano presto essere celebrate elezioni libere e legittime nel Perù". Siamo davvero alla vigilia della caduta del Fujiregime?

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