La mala pianta di Bosnia

GIACOMO SCOTTI - SARAJEVO

La mala pianta di Bosnia
Elezioni: i nazionalisti "etnici" resistono o crescono fra i serbi e i croati. Musulmani divisi
GIACOMO SCOTTI - SARAJEVO

Solo il 17 novembre si conosceranno i risultati definitivi delle elezioni politiche in Bosnia-Erzegovina. Fin d'ora, però, una cosa è certa: sul voto di sabato 11 novembre è cresciuto il bubbone maligno del referendum croato, organizzato dal partito nazionalista Hdz con la richiesta della "terza entità", ovvero con il rilancio del separatismo. Sarà pure un referendum illegale, come è stato definito dall'autorità internazionale impersonata dagli Alti rappresentanti dell'Onu, Wolfang Petritsch, e dell'Osce, Robert Barry; e tuttavia ad esso ha inaspettatamente partecipato il 70 per cento dell'elettorato croato bosniaco e più del 70 per cento dei votanti ha detto sì alla separazione.
Nel suo primo commento sul voto, il leader dell'Hdz e membro della presidenza collettiva della Bosnia-Erzegovina, Ante Jelavic, ha detto che "il popolo croato in Bosnia-Erzegovina non riconosce più l'amministrazione internazionale nel paese", precisando in un secondo momento che "la missione di Petritsch e di Berry si è conclusa. L'Hdz non collaborerà più con i rappresentanti della comunità internazionale in Bosnia".
Secondo lui, gli esponenti dell'Onu e dell'Osce, "con la forza e con l'aiuto dei traditori croati, vogliono portare al potere i comunisti di Zlatko Lagumdzija". Risposta immediata di Barry: Jelavic "non sfuggirà alle sanzioni previste per queste provocazioni nazionalistiche": potrebbe essere radiato d'autorità dalla presidenza tripartita bosniaca.
Intanto resta questo tumore maligno sul corpo della Bosnia-Erzegovina; le parole di Jelavic e le minacce di Barry inaugurano una nuova stagione di conflitti e di instabilità, che durerà fino a quando il governo della vicina Croazia "democratica" non farà quel gesto che i partiti della coalizione di centrosinistra al potere a Zagabria avrebbero dovuto compiere da tempo: tagliare i finanziamenti alla cosiddetta "Comunità croata della Erzeg-Bosnia", dietro la quale si cela l'Hdz di Ante Jelavic e il suo esercito (Hvo).
A giudicare dai risultati parziali, comunicati peraltro non dalle autorità bensì dagli stati maggiori dei partiti, i punti salienti dell'evento elettorale sono questi: i due partiti nazionalisti serbi nella Republika Srpska e quello croato Hdz nella Federazione musulmano-croata hanno mantenuto o incrementato le loro posizioni; i voti dei musulmani invece sono stati suddivisi fra il Partito di azione democratica (Sda) di Izetbegovic, il "Partito per la Bosnia-Erzegovina" (Sbih) di Haris Silajdzic e il Partito socialdemocratico (Sdp) multietnico di Zlatho Lagumdzija. Quest'ultimo ha pescato anche fra i serbi e i croati, ottenendo - sempre in base ai risultati parziali finora noti - circa il 22 per cento contro il 23 del Sda.
I pronostici della vigilia, dunque, non si sono avverati. Il partito nazionalista croato di Jelavic non raggiunge più le vette dell'80-85 per cento di un tempo, è sceso alla media del 50-55 per cento (nei territori a maggioranza croata) e al disotto dell'8 per cento sull'intero territorio bosniaco-erzegovese, ma rimane pur sempre il partito dominante dei croati. I socialdemocratici di Lagumdzija dovrebbero vincere nei cantoni di Sarajevo e Tuzla e forse anche a Gorazde (nella Republika Srpska), mentre l'Sda di Izetbegovic è convinto di aver conquistato i primi posti a Donji Vakuf, Travnik, Bugojno, Fojnica. In realtà il partito musulmano che ha governato nella Federazione per circa un decennio non supera mai il 30 per cento dei suffragi, anche là dove è al primo posto, e potrebbe governare solo in coalizione con il "Partito per la Bosnia" di Silajdzic, noto per essere un partito musulmano laico e più liberale di quello di Izetbegovic. In queste elezioni il "Partito per la Bosnia" si è notevolmente rafforzato, diventando l'ago della bilancia in molti cantoni e potrebbe avere questo ruolo anche per la formazione del governo centrale. Haris Silajdzic, che si batte "per una Bosnia senza entità", unitaria, ha dichiarato a caldo che non intende creare una coalizione di governo con l'Sda, non escludendo invece una coalizione con i socialdemocratici di Lagumdzija (Sdp) per "farla finita con il potere dell'Sda", da lui definito "il partito più corrotto che esista".
Per quanto riguarda la Republika Srpska, i movimenti nazionalisti hanno fatto la parte del leone. L'Sds, il Partito democratico serbo fondato e tuttora guidato nell'ombra da Radovan Karadzic, sta già festeggiando la conquista della presidenza della repubblica, in quella entità, con il suo candidato Mirko Sarovic che ha battuto il corrente Milorad Dodik, attuale premier e leader del Partito socialdemocratico serbo. Anche il parlamento di quell'entità sarà dominato dagli uomini di Karadzic.
Le prossime settimane, a Sarajevo, Banja Luka, Mostar e in altre città bosniache, trascorreranno in estenuanti trattative per giungere a intese di coalizione a tre livelli e per tredici governi, dai cantoni ai vertici delle due entità ed a quello centrale. Tutto dipende, pare, dalla posizione di Haris Silajdzic e dai ricatti di Ante Jelavic che potrebbe insistere sulla via dell'inasprimento dei rapporti con la comunità internazionale. Da fonti bene informate si apprende, tuttavia, che molto probabilmente - visto che i risultati elettorali non offrono grossi cambiamenti - Haris Silajdzic, Zlatko Lagumdzija, Milorad Dodik e Mladen Ivanic (questi ultimi due in nome dei due maggiori partiti serbi) partiranno la settimana prossima per gli Stati uniti dove, sotto l'egida della comunità internazionale, cercheranno di trovare un'intesa per varare un governo di coalizione il più ampio possibile. Ante Jelavic si è autoescluso.

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