La mala pianta di Bosnia S
Elezioni: i nazionalisti "etnici" resistono o crescono fra i
serbi e i croati. Musulmani divisi
GIACOMO SCOTTI -
SARAJEVO
Nel suo primo commento sul voto, il leader dell'Hdz e membro
della presidenza collettiva della Bosnia-Erzegovina, Ante
Jelavic, ha detto che "il popolo croato in Bosnia-Erzegovina non
riconosce più l'amministrazione internazionale nel paese",
precisando in un secondo momento che "la missione di Petritsch e
di Berry si è conclusa. L'Hdz non collaborerà più con i
rappresentanti della comunità internazionale in Bosnia".
Secondo lui, gli esponenti dell'Onu e dell'Osce, "con la forza e
con l'aiuto dei traditori croati, vogliono portare al potere i
comunisti di Zlatko Lagumdzija". Risposta immediata di Barry:
Jelavic "non sfuggirà alle sanzioni previste per queste
provocazioni nazionalistiche": potrebbe essere radiato d'autorità
dalla presidenza tripartita bosniaca.
Intanto resta questo tumore maligno sul corpo della
Bosnia-Erzegovina; le parole di Jelavic e le minacce di Barry
inaugurano una nuova stagione di conflitti e di instabilità, che
durerà fino a quando il governo della vicina Croazia
"democratica" non farà quel gesto che i partiti della coalizione
di centrosinistra al potere a Zagabria avrebbero dovuto compiere
da tempo: tagliare i finanziamenti alla cosiddetta "Comunità
croata della Erzeg-Bosnia", dietro la quale si cela l'Hdz di Ante
Jelavic e il suo esercito (Hvo).
A giudicare dai risultati parziali, comunicati peraltro non dalle
autorità bensì dagli stati maggiori dei partiti, i punti salienti
dell'evento elettorale sono questi: i due partiti nazionalisti
serbi nella Republika Srpska e quello croato Hdz nella
Federazione musulmano-croata hanno mantenuto o incrementato le
loro posizioni; i voti dei musulmani invece sono stati suddivisi
fra il Partito di azione democratica (Sda) di Izetbegovic, il
"Partito per la Bosnia-Erzegovina" (Sbih) di Haris Silajdzic e il
Partito socialdemocratico (Sdp) multietnico di Zlatho Lagumdzija.
Quest'ultimo ha pescato anche fra i serbi e i croati, ottenendo -
sempre in base ai risultati parziali finora noti - circa il 22
per cento contro il 23 del Sda.
I pronostici della vigilia, dunque, non si sono avverati. Il
partito nazionalista croato di Jelavic non raggiunge più le vette
dell'80-85 per cento di un tempo, è sceso alla media del 50-55
per cento (nei territori a maggioranza croata) e al disotto
dell'8 per cento sull'intero territorio bosniaco-erzegovese, ma
rimane pur sempre il partito dominante dei croati. I
socialdemocratici di Lagumdzija dovrebbero vincere nei cantoni di
Sarajevo e Tuzla e forse anche a Gorazde (nella Republika
Srpska), mentre l'Sda di Izetbegovic è convinto di aver
conquistato i primi posti a Donji Vakuf, Travnik, Bugojno,
Fojnica. In realtà il partito musulmano che ha governato nella
Federazione per circa un decennio non supera mai il 30 per cento
dei suffragi, anche là dove è al primo posto, e potrebbe
governare solo in coalizione con il "Partito per la Bosnia" di
Silajdzic, noto per essere un partito musulmano laico e più
liberale di quello di Izetbegovic. In queste elezioni il "Partito
per la Bosnia" si è notevolmente rafforzato, diventando l'ago
della bilancia in molti cantoni e potrebbe avere questo ruolo
anche per la formazione del governo centrale. Haris Silajdzic,
che si batte "per una Bosnia senza entità", unitaria, ha
dichiarato a caldo che non intende creare una coalizione di
governo con l'Sda, non escludendo invece una coalizione con i
socialdemocratici di Lagumdzija (Sdp) per "farla finita con il
potere dell'Sda", da lui definito "il partito più corrotto che
esista".
Per quanto riguarda la Republika Srpska, i movimenti nazionalisti
hanno fatto la parte del leone. L'Sds, il Partito democratico
serbo fondato e tuttora guidato nell'ombra da Radovan Karadzic,
sta già festeggiando la conquista della presidenza della
repubblica, in quella entità, con il suo candidato Mirko Sarovic
che ha battuto il corrente Milorad Dodik, attuale premier e
leader del Partito socialdemocratico serbo. Anche il parlamento
di quell'entità sarà dominato dagli uomini di Karadzic.
Le prossime settimane, a Sarajevo, Banja Luka, Mostar e in altre
città bosniache, trascorreranno in estenuanti trattative per
giungere a intese di coalizione a tre livelli e per tredici
governi, dai cantoni ai vertici delle due entità ed a quello
centrale. Tutto dipende, pare, dalla posizione di Haris Silajdzic
e dai ricatti di Ante Jelavic che potrebbe insistere sulla via
dell'inasprimento dei rapporti con la comunità internazionale. Da
fonti bene informate si apprende, tuttavia, che molto
probabilmente - visto che i risultati elettorali non offrono
grossi cambiamenti - Haris Silajdzic, Zlatko Lagumdzija, Milorad
Dodik e Mladen Ivanic (questi ultimi due in nome dei due maggiori
partiti serbi) partiranno la settimana prossima per gli Stati
uniti dove, sotto l'egida della comunità internazionale,
cercheranno di trovare un'intesa per varare un governo di
coalizione il più ampio possibile. Ante Jelavic si è
autoescluso.