Izetbegovic lascia

GIACOMO SCOTTI - SARAJEVO

Izetbegovic lascia
Il Tribunale dell'Aja aspetta anche lui?
GIACOMO SCOTTI - SARAJEVO

Il 75enne Alija Izetbegovic, il fondatore e finora leader indiscusso dell'Sda, il partito dei musulmani bosniaci, presidente e membro della tripartita presidenza della Bosnia-Erzegovina, è da pochi giorni un pensionato. La presidenza ha accolto sabato scorso le sue dimissioni, passando la carica di presidente al serbo Zivko Radisic. Per Izetbevogic l'abbandono non significa anche un ritiro dalla vita politica, e tuttavia è chiaro a tutti - anche di fronte alla sconfitte recenti del suo partito - che il suo carisma è irrimediabilmente offuscato e la sua stella spenta. Il decennio trascorso dai vertici della Bosnia, da egli stesso definito "un periodo drammatico contrassegnato da progetti espansionistici di stampo nazionalista" (la spartizione della Bosnia-Erzegovina carezzata da Milosevic e Tudjman), è tutto ancora da analizzare alla luce del ruolo svolto da Izetbegovic nella guerra fratricida e delle responsabilità che da più parti gli vengono addebbitate ormai in materia di crimini contro l'umanità: il Tribunale dell'Aja ha inscritto a ruolo nel gennaio scorso la vicenda del massacro di Kazani - 2.000 serbi uccisi dal 1992 al 1994 e sepolti sotto il Trebevice, nelle gole di Kazani, opera di milizie alle dirette dipendenze della presidenza di Sarajevo.
Il ritiro di Izetbegovic dalla presidenza della Bosnia-Erzegovina (dove è stato provvisoriamente sostituito dal connazionale Halid Genjac) non cambia granché ai vertici di uno stato ancora diviso in due entità e conuna indipendenza soltanto formale. Non a caso, alla riunione nella quale il leader bosniaco-musulmano ha presentato le dimissioni, era presente il vero governatore della Bosnia, il tedesco Wolfang Petrisch, alto commissario dell'Onu. Il ritiro di Izetbegovic, tuttavia, potrebbe significare l'inizio della fine di un potere formale, ma sempre importante, che era e tuttora è ripartito fra tre partiti etnici; di un potere che aveva trionfato in Bosnia nel 1990 e che ora invece vacilla. Perché grosse crepe, oltre che nel partito musulmano, si sono create nel frattempo anche nel partito nazionale serbo - spaccato in due formazioni politiche - ed in quello croato frantumato in quattro fazioni, che comunque minaccia di boicottare le elezioni dell'11 novembre in Bosnia-Erzegovina. Crepe come conseguenza di una maturazione democratica dei popoli bosniaci? Certo, per lunghi anni sembrava impossibile che dalla scena sparissero i capi indiscussi dei serbi, dei croati e dei musulmani, da Karadzic a Izetbegovic. Quest'ultimo è il primo statista che, nei territori dell'ex Jugoslavia, abbia abbandonato il potere di propria spontanea volontà. Milosevic e Tudjman se ne sono dovuti andare perché sconfitti dal voto popolare o dalla morte. Ma escono di scena anche i firmatari della pace di Dayton. Così ora per qualcuno Izetbegovic rimane il padre della "nazione bosniaca" musulmana, per altri invece è il principale colpevole della dura vita "trascorsa in comune" negli ultimi dieci anni. Per i nazionalisti croati e serbi, egli resta il capo dei fondamentalisti islamici in Bosnia, mentre molti suoi ex collaboratori ora dissidenti lo accusano di aver tradito l'idea di uno Stato bosniaco unitario.
Quest'ultima certamente è un'accusa infondata. Se non ci fosse stato Izetbegovic la Bosnia non esisterebbe, ci sarebbero Grande Serbia e Grande Croazia. D'altra parte, però, Izetbegovic ha una parte di responsabilità nello sfacelo della Jugoslavia, con il suo cieco odio anticomunista, nutrito dal rancore per gli anni di prigione, dove finì per i testi nei quali esaltava il fondamentalismo islamico negli anni Settanta.

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