RICORDO DI GIORGIO FUA'
G
Un maestro di economia politica
GIACOMO BECATTINI
Vista dal Pinocchio
Il suo grande tema era lo sviluppo economico, con una particolare
attenzione per l'industria, non solo quella grande e
tecnologicamente avanzata, ma anche quella piccola, minuscola
anzi, che costellava la sua regione: le Marche. Il punto di
partenza conoscitivo di Fuà era duplice: da un lato lo
scrutinamento attento, debitamente critico, dei dati statistici,
che maneggiava come pochi, dall'altro la comprensione diretta,
molecolare diciamo, delle pieghe più riposte della realtà
sociale, che riusciva ad estrarre dai suoi colloqui con gli
uomini in carne ed ossa: contadini, imprenditori, operai, e così
via. Aveva il gusto dello scandaglio in profondità dell'intreccio
sociale, che vedeva come un tutto straordinariamente articolato,
ma unitario. Negli ultimi tempi, gustando il piacere del
paradosso, usava dire che lui non si sentiva di parlare del
mondo, né dell'Italia, né delle Marche, né di Ancona, ma, a
malapena del Pinocchio, la collinetta su cui si trova Villa Fuà.
A significare che se vuoi penetrare nella realtà devi poterla
aggredire da tutte le parti. Interdisciplinare per temperamento,
insomma.
Il gruppo di Ancona
Non aveva una grande considerazione della modellistica astratta
che oggi domina il campo dell'economica; preferiva gli studi sul
campo, bene documentati e strutturati, ma soprattutto pensati a
lungo, con cura, con amore, diciamo. Ebbene, il "gruppo di
Ancona", malgrado le differenze individuali, porta, nel
complesso, le stimmate di questo insegnamento.
Contro il tecnicismo americano
Le sue idee politiche si erano fatte più moderate col passare del
tempo, ma non c'era alcun allineamento alla vulgata liberistica.
Le sue critiche alla growthmania, ad esempio, erano
squillanti. A un intervistatore de La Repubblica (maggio
1993) che gli aveva domandato se il Pil significasse benessere,
aveva risposto: "Certo che no. In una fase di avanzato sviluppo,
quale è quella che sta vivendo l'Italia, la quantità di merci non
è l'elemento essenziale del benessere. Che infatti è composto di
soddisfazioni nel lavoro, di sicurezza di muoversi liberamente,
di serenità e di tutta un'altra serie di elementi che non entrano
nel Pil".
Miseria del Pil
Questa critica al Pil veniva da lontano, dai suoi studi giovanili
di statistica e di economia del benessere, consegnati al volume
(Reddito nazionale e politica economica, Einaudi, 1957)
che gli aveva dato la cattedra. Fuà era stato il promotore e
l'estensore di una lettera di otto economisti a La
Repubblica su l'"Insegnamento dell'economia politica" che
fece scalpore per la sfida che conteneva alla corsa al vuoto
tecnicismo incentivato da molte celebrate scuole americane.
Nella schiera di Myrdal
Nei primi anni Cinquanta, quando io lo conobbi, Fuà lavorava
all'Ece di Ginevra, unico italiano nella magnifica schiera di
Myrdal, poi aveva messo in piedi l'ufficio studi dell'Eni, infine
aveva fatto di Ancona - prima con la Facoltà di Economia della
nuova Università, poi con l'Istao, che aveva fortemente voluto,
sacrificando loro tempo, energie e son certo, anche denaro - un
centro importante di studi economici.
Un pensiero ad Erika
La domanda che si pone è come sia potuto accadere che uno
studioso così poco accademico, eccentrico rispetto al
mainstream, abbia potuto diventare Presidente della
Società degli economisti. La risposta sta nell'eccellenza del suo
lavoro di ricerca, che s'imponeva anche a chi non simpatizzava
col suo approccio all'economia, e nella sua straordinaria
vitalità organizzativa. La quale ultima, messa al servizio della
Sie, fece, infatti, fare a questa un autentico salto qualitativo.
Tante altre considerazioni si affollano nella mia mente, ma una
le domina tutte: non posso ricordare Giorgio Fuà senza dedicare
un pensiero di affettuosa vicinanza ad Erika, compagna intrepida
ed amorosa di tutta una vita.