Un maestro di economia politica

GIACOMO BECATTINI

RICORDO DI GIORGIO FUA'
Un maestro di economia politica
GIACOMO BECATTINI


Giorgio Fuà, scomparso il 13 settembre, era nato ad Ancona nel 1919. Da poco aveva celebrato, circondato dagli amici, il suo ottantesimo compleanno. In quell'occasione i suoi allievi, il cosiddetto "gruppo di Ancona", gli avevano presentato un volume di Studi in onore (Trasformazioni dell'economia e della società italiana, Il Mulino, 1999) che riuniva molte delle firme più prestigiose, italiane e straniere, degli studi economici. Quel volume, curato amorosamente dagli allievi, rispecchia bene, nella sua complessa composizione interna, la ricchezza degli interessi intellettuali di Giorgio Fuà.

Vista dal Pinocchio

Il suo grande tema era lo sviluppo economico, con una particolare attenzione per l'industria, non solo quella grande e tecnologicamente avanzata, ma anche quella piccola, minuscola anzi, che costellava la sua regione: le Marche. Il punto di partenza conoscitivo di Fuà era duplice: da un lato lo scrutinamento attento, debitamente critico, dei dati statistici, che maneggiava come pochi, dall'altro la comprensione diretta, molecolare diciamo, delle pieghe più riposte della realtà sociale, che riusciva ad estrarre dai suoi colloqui con gli uomini in carne ed ossa: contadini, imprenditori, operai, e così via. Aveva il gusto dello scandaglio in profondità dell'intreccio sociale, che vedeva come un tutto straordinariamente articolato, ma unitario. Negli ultimi tempi, gustando il piacere del paradosso, usava dire che lui non si sentiva di parlare del mondo, né dell'Italia, né delle Marche, né di Ancona, ma, a malapena del Pinocchio, la collinetta su cui si trova Villa Fuà. A significare che se vuoi penetrare nella realtà devi poterla aggredire da tutte le parti. Interdisciplinare per temperamento, insomma.

Il gruppo di Ancona

Non aveva una grande considerazione della modellistica astratta che oggi domina il campo dell'economica; preferiva gli studi sul campo, bene documentati e strutturati, ma soprattutto pensati a lungo, con cura, con amore, diciamo. Ebbene, il "gruppo di Ancona", malgrado le differenze individuali, porta, nel complesso, le stimmate di questo insegnamento.

Contro il tecnicismo americano

Le sue idee politiche si erano fatte più moderate col passare del tempo, ma non c'era alcun allineamento alla vulgata liberistica. Le sue critiche alla growthmania, ad esempio, erano squillanti. A un intervistatore de La Repubblica (maggio 1993) che gli aveva domandato se il Pil significasse benessere, aveva risposto: "Certo che no. In una fase di avanzato sviluppo, quale è quella che sta vivendo l'Italia, la quantità di merci non è l'elemento essenziale del benessere. Che infatti è composto di soddisfazioni nel lavoro, di sicurezza di muoversi liberamente, di serenità e di tutta un'altra serie di elementi che non entrano nel Pil".

Miseria del Pil

Questa critica al Pil veniva da lontano, dai suoi studi giovanili di statistica e di economia del benessere, consegnati al volume (Reddito nazionale e politica economica, Einaudi, 1957) che gli aveva dato la cattedra. Fuà era stato il promotore e l'estensore di una lettera di otto economisti a La Repubblica su l'"Insegnamento dell'economia politica" che fece scalpore per la sfida che conteneva alla corsa al vuoto tecnicismo incentivato da molte celebrate scuole americane.

Nella schiera di Myrdal

Nei primi anni Cinquanta, quando io lo conobbi, Fuà lavorava all'Ece di Ginevra, unico italiano nella magnifica schiera di Myrdal, poi aveva messo in piedi l'ufficio studi dell'Eni, infine aveva fatto di Ancona - prima con la Facoltà di Economia della nuova Università, poi con l'Istao, che aveva fortemente voluto, sacrificando loro tempo, energie e son certo, anche denaro - un centro importante di studi economici.

Un pensiero ad Erika

La domanda che si pone è come sia potuto accadere che uno studioso così poco accademico, eccentrico rispetto al mainstream, abbia potuto diventare Presidente della Società degli economisti. La risposta sta nell'eccellenza del suo lavoro di ricerca, che s'imponeva anche a chi non simpatizzava col suo approccio all'economia, e nella sua straordinaria vitalità organizzativa. La quale ultima, messa al servizio della Sie, fece, infatti, fare a questa un autentico salto qualitativo. Tante altre considerazioni si affollano nella mia mente, ma una le domina tutte: non posso ricordare Giorgio Fuà senza dedicare un pensiero di affettuosa vicinanza ad Erika, compagna intrepida ed amorosa di tutta una vita.

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