L'altra faccia del caro-petrolio
Se l'aumento del prezzo del petrolio ha un effetto
destabilizzante per le economie dei paesi industrializzati, sui
fragili equilibri delle nazioni del Sud del mondo rischia di
avere conseguenze devastanti. Si prenda il caso della Repubblica
Dominicana: un paese latinoamericano povero, malmesso, ma che
negli ultimi 4 anni ha registrato tassi di crescita straordinari
fra il 7 e l'8%. Il 16 agosto scorso si è insediato alla
presidenza il socialdemocratico Hipolito Mejia, che come prima
misura ha imposto un incremento del 25% del prezzo dei
combustibili. Nell'ottobre dello scorso anno un aumento meno
draconiano, decretato dal suo predecessore progressista Lionel
Fernandez, aveva scatenato un durissimo sciopero nazionale e
scontri di piazza nelle principali città dominicane.
Santo Domingo, il greggio alle stelle rischia di rompere
la delicata pace sociale
GIANNI BERETTA -
SANTO DOMINGO
Mejia può contare su un periodo di grazia che i sindacati gli
vogliono concedere perlomeno nei suoi primi 100 giorni di
governo. Ma a due settimane dall'impennata della benzina la
situazione sta rapidamente precipitando. Le tariffe del
trasporto, per la maggior parte privato, sono andate alle stelle.
I mototaxi, per prendere uno dei mezzi più diffusi a Santo
Domingo, hanno raddoppiato la corsa da 5 a 10 pesos (poco più di
mille lire). I taxi viaggiano spesso a vuoto per le nuove
tariffe. E automaticamente sono cresciuti del 100% i beni di
primissima necessità (alimenti, medicinali e libri di testo) in
una spirale speculativa impressionante. Mentre i salari restano
bloccati per l'abbondante offerta di manodopera (compresa quella
quella haitiana).
E dire che qui il problema del dollaro forte non esiste, anche se
la spinta inflattiva ha portato il cambio del peso dominicano a
un lieve ribasso nei confronti della moneta Usa. La
Confederacion general de los trabajadores ha già lanciato
un monito al neopresidente (politicamente affine) richiamandolo
agli impegni della sua campagna elettorale combattuta con gli
slogan "combatir la pobreza" e "primero la gente". In risposta il
presidente ha fatto sapere che ci sarebbe bisogno di un altro
aumento visto che la corsa del greggio non si è arrestata.
Insomma, il paese rischia di diventare di qui a poco una
polveriera. E a poco servono gli sconti riservati a coloro che
vanno a riempire le bombole di gas da cucina più piccole, che si
suppone siano concentrate fra gli strati della popolazione meno
abbienti.
Per la Repubblica Dominicana, poi, c'è un'aggravante paradossale.
Nella foga neoliberista delle privatizzazioni, il governo
precedente aveva ceduto il 50% della produzione di energia a
imprese private sperando che elevassero l'efficenza e la
razionalizzazione di un sistema che perpetuava i blackout
soprattutto nei quartieri popolari, dove comunque in pochi
pagavano la luce. Ebbene, il servizio non è per niente
migliorato. E lo stato viene ora ricattato anche dai produttori e
distributori privati d'energia che si permettono persino di
staccare la corrente nei palazzi governativi.
Hipolito Mejia, e i suoi colleghi centroamericani e caraibici che
fanno parte dell'"Accordo di San José di Costa Rica" (il gruppo
di paesi che gode di facilitazioni di pagamento e crediti nel
rifornimento di petrolio dal Messico e dal Venezuela) hanno
pensato bene di approfittare del summit del Millennio a New York
per riunirsi fra loro ed esercitare pressioni sui presidente
Ernesto Zedillo e Hugo Chavez, quest'ultimo particolarmente
impegnato nell'Opec per tenere alti i prezzi. E meno male che a
questi piccoli e disperati staterelli della tropicale "Conca del
Caribe" non tocca l'incombenza di una salata bolletta per il
riscaldamento domestico.