Magia
del soffio
divino
C
Con questo articolo prende l'avvio "Il cielo in figure",
trasvolata
in più puntate
tra le grandi
cosmogonie di tutti
i tempi. E per svelare
il nesso che lega
i racconti di creazione
a taluni rituali,
dagli esorcismi
al battesimo
degli Apostoli,
si parte dalla Genesi
CRISTIANO GROTTANELLI
Il principio generale che informa di sé tali casi è l'idea che
l'azione creatrice o l'organizzazione del cosmo da parte delle
divinità nei primordi siano profondamente affini ai riti con cui
si costituiscono gli spetti vitali, o addirittura le prospettive
di salvezza, delle comunità umane. La creazione del mondo ha la
medesima forma ordinata che fa efficace il rito, e a sua volta il
comportamento rituale ha il potere plasmante che è tipico delle
trasformazioni cosmogoniche. Restando nell'ambito della
tradizione religiosa della Bibbia, tale principio si può
illustrare presentando un triplice riflesso rituale del ruolo del
soffio divino nella creazione così come la racconta il libro
della Genesi. I tre riti di cui mi occuperò sono molto
diversi fra loro, anche se il loro referente cosmogonico è lo
stesso: si tratta del rituale prescritto da un antico testo
magico per scacciare demoni, di un atto compiuto da Gesù risorto
secondo il Vangelo di Giovanni, e del battesimo
amministrato dai discepoli secondo gli Atti degli
Apostoli. Il più famoso dei papiri magici greci, rinvenuti in
Egitto e databili ai primi secoli della nostra era, è senz'altro
l'enorme repertorio noto come Papiro Magico Greco IV (Pmg IV) o
Papiro Magico di Parigi. Le righe 30007-3086 di quel testo
contengono quelle che il titolo definisce Un incantesimo
provato di Pibechis per coloro che sono posseduti da demoni
(Pibechis significa Falco, ed è il nome di un leggendario mago
egiziano).
Il testo in questione descrive le azioni magiche (bollitura di
maggiorana e altre erbe con olio di olive acerbe, preparazione di
un filatterio di stagno con iscrizione da appendere al collo del
posseduto) e le formule (con invocazione di divinità egiziane e
non) mediante le quali sarà possibile a uno specialista scacciare
i demoni da una persona posseduta. Prima che gli dèi egizi e il
dio della Bibbia ebraica ("colui che apparve a Osrael"), lo
scongiuro cita Gesù: "Ti ordino per il dio degli Ebrei, Gesù,
iaba Iae Abraoth Aia Thot..." e il nome di Gesù è seguito
da una quindicina di parole non greche, tipiche dei testi magici,
fra le quali si riconosce il nome del dio egiziano Thot. Il dio
della Bibbia ebraica, Yahweh, è nominato più volte nel corso del
testo, ed è nominato "il suo angelo implacabile" che avrà la
meglio del "demone che vola intorno a questa forma". Il lungo
testo si chiude vietando all'esorcista di mangiare carne di
porco: "così ogni spirito e demone, di qualunque tipo esso sia,
ti sarà sottoposto. E nell'esorcizzare, soffia una volta,
soffiando aria dalle punte dei piedi (del posseduto) fino alla
(sua) faccia, e ti sarà assegnato. Conservati puro, perché questo
esorcismo/ è ebraico ed è preservato fra uomini puri".
Già i Vangeli sinottici e gli Atti degli Apostoli
narrano degli esorcismi di Gesù e dell'uso del suo nome da parte
dei discepoli esorcizzanti, ma anche di esorcisti che non erano
suoi seguaci. Non sembra invece mai associato con tali esorcismi
(né è tipico dell'esorcismo antico) l'atto di soffiare. A
spiegare tale azione, prescritta dal testo di Pibechis, ci aiuta
forse un ulteriore passo di quel testo (Pgm IV. 3045-3050) che fa
riferimento al dio biblico nel nome del quale si esorcizza come a
"colui che ha plasmato dalla polvere la razza degli umani". Il
participio chouoplastesu, qui tradotto "che ha plasmato
(dal)la polvere", corrisponde precisamente a quanto ci dice la
traduzione greca della Bibbia detta dei Settanta, più antica di
qualche secolo del papiro Pgm IV, e legata soprattutto
all'ebraismo alessandrino. In quella traduzione si legge infatti
che la divinità "plasmò (l'uomo con) la polvere della terra
(eplasen... choun apo tes ges)". Immediatamente
dopo quel testo aggiunge: "...e soffiò nel suo viso un soffio di
vita; così l'uomo divenne un essere vivente" (Genesi
2:7). "Soffiò" è qui enephusesen (in Pg IV abbiamo
trovato "soffia": phusa); e in entrambi i testi è
importante il soffio sul viso ("viso" è nei due casi
prosopon).
Nel testo esorcistico greco scritto in Egitto, dunque, la lingua
greca esprime concezioni e procedimenti misti, greci egizi
ebraici, e la parte conclusiva ed essenziale dell'esorcismo
attribuisce allo specialista un'azione (il "soffiare" dai piedi
al volto del posseduto) che ripete l'azione del Creatore biblico
quando fu animato il primo uomo, appena plasmato. Si tratta di un
chiarissimo esempio della valenza curativa della cosmogonia, o,
per dirla in altro modo, della qualità cosmogonica dell'azione
magica volta a sanare un posseduto. La corrispondenza fra il
"soffiare" magico ed esorcistico e il "soffiare" divino e
antropogonico è sottolineata a garantita dalla menzione della
plasmazione antropogonica compiuta all'origine dal Creatore,
plasmazione che, nel testo esorcistico, qualifica opportunamente
il dio biblico il cui nome viene evocato dall'esorcista. Il fatto
che all'esorcista venga vietato il cibo proibito agli Ebrei
qualifica ulteriormente il testo, e inquadra il riferimento al
dio biblico nel contesto di una ritualità esplicitamente detta
"ebraica" nella clausola finale.
Come ho già ricordato, la figura di Gesù che scaccia i demoni dai
posseduti è fondamentale nei vangeli sinottici: è certo quello il
tema che sta dietro l'evocazione del nome di Gesù in Pmg IV. Tale
tema è invece del tutto assente dal Vangelo di Giovanni;
sul motivo di quell'assenza gli studiosi discutono da sempre. E
proprio questa enigmatica assenza rende più sorprendente la
presenza, nel Vangelo di Giovanni, (20:22-23), del
seguente episodio, che apre la serie delle apparizioni di Gesù ai
discepoli dopo la resurrezione:il maestro apparso, si narra,
"soffiò (enephusesen) sui discepoli e disse loro:
"Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimettete i peccati, sono
rimessi; a chi li ritenete, sono ritenuti". Qui abbiamo un
riferimento a Genesi 2:7, proprio come nel caso del
papiro magico da cui siamo partiti. Ma il senso del gesto di Gesù
in Giovanni 20:22-23 è diverso da quello del soffiare che
troviamo nel papiro.
Secondo una lettura recente, opera di Adriana Destro e di Mauro
Pesce (Come nasce una religione, Laterza, Roma-Bari
2000), l'alitazione di Giovanni 20:22-23 è momento
culminante di un rito di iniziazione dei discepoli di Gesù,
immaginato dal redattore di quel Vangelo e dal relativo
gruppo religioso "giovannista", con ovvio rimando all'alitazione
del creatore nel libro della Genesi (la forma verbale è
proprio la stessa che troviamo nel greco dei Settanta). E'
difficile pronunciarsi su questa proposta; ma certo qui ogni
riferimento alla sfera dei riti esorcistici è accuratamente
evitato. Basti paragonare il comando di Gesù ai discepoli in
Giovanni 20:23, relativo allo Spirito Santo e alla
remissione dei peccati, che ho appena citato, al comando finale,
anch'esso successivo alla resurrezione, che troviamo in
Marco 16:15-18: "Poi disse loro: 'Andate per tutto il
mondo e predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e si
farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
Questi poi sono i segni che accompagneranno i credenti: nel mio
nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno
in mano serpenti... imporranno le mani agl'infermi e questi
saranno risanati'". Alla complessa taumaturgia di Marco
16:15-18 corrisponde in Giovanni 20, come abbiamo visto,
la sola remissione dei peccati. E come la remissione dei peccati
in Giovanni 20 è l'equivalente della taumaturgia dei
discepoli nei vangeli sinottici e negli Atti degli
Apostoli, che è introdotta dal battesimo e comprende
l'esorcismo, così l'alitazione di Giovanni 20 è la
versione "giovannista" di quanto gli Atti degli Apostoli
(2:1- 41) narrano della discesa dello Spirito sui discepoli in
occasione della Pentecoste, associando quella discesa con la
glossolalia (i discepoli parlano "lingue nuove", in conformità
con il comando finale di Marco 16, appena citato).
Alla discesa dello Spirito sui discepoli radunati nel giorno
della Pentecoste gli Atti (2:41) legano non l'alitazione,
ma il battesimo. E ancora il battesimo, con l'imposizione delle
mani seguita dalla discesa dello Spirito e dalla glossolalia, è
centrale in Atti 19:1-10; i discepoli di Efeso,
battezzati a suo tempo solo "col battesimo di Giovanni Battista",
non avevano ricevuto con l'acqua lo Spirito, anzi "non avevano
neppure sentito dire che vi fosse uno Spirito Santo". Per
iniziativa di Paolo di Tarso, essi "furono battezzati nel nome
del Signore Gesù. Poi Paolo impose loro le mani, lo Spirito Santo
venne su di loro e cominciarono a parlare in lingue e a
profetare".
L'associazione dell'acqua purificatrice e dello Spirito compare
già nei resoconti evangelici del battesimo di Gesù nel Giordano,
ha antecedenti biblici (nei libri di Isaia e di
Ezechiele) e ispira certi rituali dei testi del Mar
Morto. Anch'essa ha un riscontro nella cosmogonia biblica: si
tratta addirittura del secondo versetto della Genesi: "lo
Spirito di Dio si aggirava sulla superficie delle acque". Ecco
dunque il triplo riflesso rituale del ruolo dello Spirito nella
creazione biblica: alitazione per esorcizzare in Pgm IV,
alitazione iniziatica in Giovanni 20, che, in linea con
il Prologo di quel Vangelo (Giovanni 1:2-13), è nascita
da Dio, e discesa dello Spirito nel battesimo dei discepoli.
Accanto a questi esiti ritualistici, la tematica dell'alitazione
creatrice in Genesi 2:7 ha sviluppi tutti diversi,
nell'ambito della tradizione biblica. Uno sviluppo significativo
è quello sapienziale, che troviamo in particolare nel libro di
Giobbe. Leggiamo in Giobbe 32:7-8, nel discorso
di Elihu a Giobbe: "Parlino i lunghi giorni, e l'età avanzata
insegni la sapienza. Ma nell'uomo c'è uno spirito (in ebraico
ruah), il respiro (in ebraico neshama) del
Potente, che lo rende intelligente". I due termini impiegati
indicano rispettivamente lo Spirito del dio biblico (come in
Genesi 1:2) e il respiro che in Genesi 2:7 la
divinità soffia sulla faccia dell'uomo. E' chiaro che qui
l'alitazione creatrice è vista come origine della sapienza perché
lo spirito umano è identificato con il soffio divino che fece
della polvere plasmata un essere vivente. Analogo è il senso di
Giobbe 27:3-4: "Finché il mio respiro è in me, e lo
Spirito di Dio è nel mio viso, le mie labbra non diranno falsità,
e la mia lingua non profferirà inganno", e di Giobbe
33:4: "Lo Spirito di Dio mi ha fatto, e il soffio del Potente mi
ha dato la vita".
La lettura di Giobbe è dunque profondamente diversa da
quella che sottende i vari usi rituali dell'antropogonia biblica.
Dobbiamo considerarla uno sviluppo maturo, tendente a una
razionalizzazione delle tematiche cosmogoniche? Si potrà forse
rispondere affermativamente a questa domanda; ma si dovrà tener
conto anche del fatto che, nella sua sezione finale, incentrata
sulla teodicea, il libro di Giobbe fa profferire alla
divinità la lode della propria potenza creatrice, secondo canoni
molto arcaici, di cui nella Bibbia c'è traccia ormai soltanto in
certi Salmi. Fra questi tratti va annoverato il tema
della lotta fra entità cosmiche opposte all'origine del mondo: il
tema dell'Enuma Elish babilonese, del Poema di
Baal ugaritico e della Teogonia di Esiodo. Così,
leggiamo in Giobbe 38:8-11 la lotta della divinità contro
un mare, yam, che reca lo stesso nome nel mostro
primordiale nemico del dio ugaritico Baal: "Chi racchiuse fra due
battenti il mare, quando uscì impetuoso dal seno materno, quando
gli diedi le nubi per vestirsi e la foschia per fasciarsi? Poi
gli imposi un limite, fissando catenacci e porte. E gli ingiunsi:
'Fin qui arriverai e non oltre, qui si arresterà la superbia
delle tue onde!'".
Questo dio che comanda al vento e alla tempesta, e che si celebra
in versi altisonanti, non è diverso dal dio biblico invocato
nell'esorcismo di Pgm IV 3007-3086, da cui siamo partiti: "dio
portatore di luce, invincibile,... che ha plasmato dalla polvere
la razza degli umani" (Pgm IV 3035-3046), "che ha bruciato i
testardi giganti con il suo fulmine" (Pgm IV 3059), "che intorno
al mare ha posto montagne o un muro di sabbia, e al mare ha
ordinato di non oltrepassarlo" (Pgm IV 3063). L'intellettuale
razionalizzante che scrisse il libro di Giobbe e il mago
del papiro greco credono allo stesso dio guerriero e forzuto.