La scelta di Podgorica F
Conflitto aperto con Belgrado o rinuncia all'autonomia
conquistata?
GIACOMO SCOTTI
Il Montenegro sta attraversando le più difficili prove della sua
storia. Si trova in effetti a un bivio - affermano i sostenitori
dei partiti autonomisti al governo, avversati dagli amici di
Milosevic: o diventare una delle tante regioni della Serbia, e in
tal caso la Jugoslavia si trasformerebbe nella Grande Serbia,
oppure riconquistare quella posizione di stato autonomo che gli
permise di aderire volontariamente alla federazione con la Serbia
nel 1992. O addirittura optare per l'indipendenza riconquistando
la plurisecolare sovranità di cui aveva goduto, primo in assoluto
nei Balcani, prima come principato e poi come regno, fino al
1918.
La fase delle polemiche e dei conflitti verbali e politici fra
Podgorica e Belgrado evidentemente è passata: ora si entra nella
fase della soluzione definitiva. Per chi conosce la bellicosità
del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, questa soluzione
potrebbe essere nuovamente affidata alle armi. Di qui la
necessità di evitare ad ogni costo la quinta guerra jugoslava,
per la quale sono stati già sparsi nuovi semi con la recente
modifica alla Costituzione federale voluta da Milosevic, che il
Montenegro ritiene lesiva della propria autonomia e che in ogni
caso ha provocato un profondo senso di frustrazione
nell'orgoglioso "popolo delle cinque tribù".
La frustrazione si spiega richiamando pochi dati elementari:
l'instabilità politica della federazione, aggravata dalla
politica autoritaria di Milosevic, è dovuta al forte squilibrio
esistente fra le due entità che la costituiscono. Da una parte
una Serbia che, anche senza il Kosovo, resta pur sempre il più
grande stato dell'ex Jugoslavia con 9 milioni e mezzo di abitanti
su circa 80.000 kmq di superficie, dall'altra il montuoso
Montenegro che al confronto è un nano con la sua superficie di
13.800 kmq (sei volte inferiore) e una popolazione di scarsi
700.000 abitanti ovvero 14 volte meno del "fratello maggiore".
Oggi il Montenegro, dopo aver fatto parte del Regno di Jugoslavia
per 23 anni, subìto quattro anni di occupazione italo-tedesca ed
esser stato per altri 47 anni una delle sei repubbliche della
Federazione socialista jugoslava (in posizione paritetica) è
venuto a trovarsi solo, piccolo e povero di risorse accanto a una
Serbia che, nonostante la decadenza dovuta a dieci anni di guerra
e sanzioni, è pur sempre un gigante rispetto al "fratello
minore". Il cui vantaggio, e il cui tallone di Achille, è lo
sbocco al mare. Finché il Montenegro resta nella Federazione,
anche la Serbia ha il mare; se ne esce, la Serbia diventa un
paese accerchiato, condizione che non accetterà mai. Di qui i
pericoli di un ricorso alle armi.
Il governo montenegrino se ne rende conto e finora ha limitato lo
scontro alla polemica politica. Ora però a far precipitare la
situazione ha pensato Milosevic, che ha indetto per il 24
settembre le elezioni per la presidenza e il parlamento federali.
Una decisione presa senza consultare Podgorica e contro la
volontà del Montenegro, il cui governo può solo "prendere o
lasciare".
Se prende, accetta una costituzione dichiarata illegale dal suo
parlamento e regole elettorali che (oltre a garantire a Milosevic
la presidenza a vita) concederebbero al Montenegro di mandare al
parlamento federale solo una striminzita pattuglia di deputati,
sommersi in un mare di deputati serbi; il parlamento federale,
infine, cesserebbe d'essere espressione di pariteticità fra le
due repubbliche. In altre parole - dicono a Podgorica - il
Montenegro abdicherebbe alla dignità di stato per trasformarsi in
una delle quattordici-quindici regioni della "Grande Serbia".
Infine perderebbe le posizioni che è riuscito a conquistarsi
negli ultimi 3-4 anni con la sua politica di accentuata autonomia
da Belgrado.
Se invece, come Podgorica ha già deciso, rifiuta di partecipare
al voto di fine settembre, rifiutando di accettare la nuova
Costituzione, il Montenegro rischia seriamente di scontrarsi con
uno degli eserciti più potenti e meglio armati dei Balcani; in
alternativa, rischia la guerra civile. Ne sono consci i suoi
stessi governanti. Da una parte si registrano le dichiarazioni
del premier Filip Vujanovic, che ribadisce la decisione del
boicottaggio delle elezioni richiamandosi alla "Risoluzione sulla
tutela degli interessi del Montenegro e dei suoi cittadini"
varata dal parlamento di Podgorica, che mette fuori legge ogni
decisione delle autorità federali jugoslave; dall'altra il
vicepremier (?)Dragan ...(?) afferma che "Milosevic farà di tutto
per realizzare il suo sogno imperiale, anche a costo di provocare
conflitti armati", per cui, preoccupato, dichiara che si farà
tutto il possibile per non aggravare una "situazione delicata e
già grave" nella quale si trova il paese. E tuttavia, aggiunge,
"ci rifiutiamo di firmare la capitolazione".
C'è da chiedersi, a questo punto: il governo montenegrino vieterà
l'apertura dei seggi elettorali sul proprio territorio? In che
modo realizzerà il boicottaggio? Molto probabilmente, le autorità
montenegrine organizzeranno prossimamente un referendum sul
destino della repubblica: indipendenza sì o no. Ma in quale data?
Lo stesso giorno delle elezioni? Proposte in tal senso ce ne sono
e sono anche forti, ma sarebbe una provocazione pericolosa alla
quale Milosevic non saprebbe resistere. Pericolosa anche perché
qualche testa matta della Nato già propone di inviare truppe in
Montenegro "per difenderne l'indipendenza" e già è stata messa in
giro la sigla di "Mfor" per queste truppe da aggiungere a quelle
presenti in Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo.