Il presidente
alla sbarra
I
GIACOMO SCOTTI
A rivelare le sue connessioni con i criminali è stato uno dei più
eminenti avvocati di Sarajevo, Faruk Balijagic, che difende un ex
agente dei servizi segreti, condannato in primo grado a 13 anni
di carcere per il sequestro e l'uccisione di un leader politico.
A riaprire il caso di questo agente di fronte alla Corte suprema
della Bosnia-Erzegovina, formata da sei giudici bosniaci e da
altrettanti stranieri nominati dall'Onu, è stato il presidente
della Corte, l'italiano Giovanni Grasso: il suo voto è stato
determinante. E il cliente di Balijagic ha rivelato di aver
operato su ordine di Izetbegovic.
A confermare le connessioni di Izetbegovic con i criminali sono
queste parole: "Bravi, avete ben eseguito il lavoro. Saluti da
presidente". Questo messaggio, scritto di pugno da Izetbegovic
nel 1995, fu recapitato al capo dei suoi servizi segreti, Nedzad
Ugljen, dal nipote dello stesso presidente bosniaco, Bakir
Sadovic. Izetbegovic si congratulava per la fruttuosa conclusione
di una delle tante operazioni terroristiche compiute dall'Aid
(sigla del servizio segreto bosniaco) e dal gruppo terroristico
"Seva" (Allodola), l'uno e l'altro sotto il comando di Ugljen,
l'uno e l'altro controllati e indirizzati dal massimo vertice
bosniaco con il compito di liquidare fisicamente i più
"pericolosi" esponenti serbi e croati in Bosnia. Alla fine, nel
1996, fu liquidato lo stesso Ugljen per impedirgli di svelare
l'attività criminale svolta durante la guerra dalle sue
"allodole" per ordine di Izetbegovic.
In una lunga intervista concessa al quotidiano Novi List
di Fiume, Balijagic afferma esplicitamente che "Alija
Izetbegovic spinse il gruppo terroristico Seva a compiere delitti
e a costituirsi in banda criminale organizzata", aggiungendo che
"le allodole furono usate anche per la liquidazione di eminenti
uomini politici e di comandanti dell'Armata della
Bosnia-Erzegovina" (l'esercito musulmano bosniaco) "che non
approvavano la politica di Alija Izetbegovic".
Viene quindi fornita tutta una serie di informazioni documentate
sul coinvolgimento diretto in queste "attività" criminali di
Alija Izetbegovic, del suo capo di gabinetto e nipote, il
suddetto Bakir Sadovic, e di qualche altro stretto collaboratore.
Una delle "imprese" nelle quali si distinsero i killer di
Izetbegovic, o meglio alcuni franchi tiratori della banda
"Allodole", fu l'uccisione, eseguita per "allenamento" con fucili
di precisione, di alcune vecchiette serbe sorprese nel quartiere
di Grbavica e inseguite per loro disgrazia dal mirino dei
cecchini.
Ma le "Allodole" chi erano? Fra i loro componenti, tutti scelti
con cura e raccolti da varie parti, c'erano killer di
professione, operatori di sofisticati congegni di spionaggio,
esperti di armi e di esplosivi, perfino alcuni professori
universitari. Le modalità del loro "lavoro" ricordano un
misterioso "Settimo battaglione" serbo formato da criminali
comuni amnistiati, un reparto paramilitare di spie e assassini
secondo gli oppositori di Milosevic, cui i componenti avrebbero
giurato fedeltà fino alla morte.
Come gli uomini del "Settimo battaglione", anche le "Allodole" di
Izetbegovic seminavano il terrore. Tra le loro vittime ci furono,
nel 1993 a Sarajevo, la moglie del capo di stato maggiore
dell'armata bosniaca, generale Sefer Halilovic, e suo cognato,
pure lui alto ufficiale. Era stato preparato per Halilovic
l'ordigno esplosivo che invece dilaniò i suoi congiunti: tornò a
casa un minuto più tardi del solito e restò illeso. Il presidente
Izetbegovic dichiarò invece, all'epoca, che la strage era stata
causata "da una granata serba". Il leader politico e il capo
militare dei musulmani bosniaci erano da tempo in rotta di
collisione. Halilovic denunciò apertamente la politica di
Izetbegovic che aveva portato alla spartizione del paese ed alla
creazione di un esercito musulmano, uninazionale e unipartitico,
provocando l'uscita dai suoi ranghi dei croati e serbi che
inizialmente avevano formato il 30% degli effettivi. Izetbegovic
lo rimosse dal comando, tentando poi di liquidarlo anche
fisicamente.
Sei mesi fa Halilovic, diventato nel frattempo presidente del
Partito patriottico bosniaco, ha presentato alla procura una
denuncia contro mezza dozzina di terroristi del gruppo "Allodole"
e dei servizi segreti. Indirettamente, ha accusato Izetbegovic di
essere all'origine dell'attentato contro di lui e dell'assassinio
di due suoi collaboratori. Halilovic ha inoltre rivelato che,
dietro sua iniziativa, i giudici del tribunale internazionale per
i crimini di guerra hanno già avviato indagini a carico di
Izetbegovic. Il procuratore Carla Del Ponte nel gennaio scorso ha
iscritto all'ordine del giorno del tribunale dell'Aja la
possibilità d'incriminare Izetbegovic per il massacro di Kazany:
più di 2.000 civili serbi uccisi dalle milizie musulmane e fatti
sparire nelle gole sotto il monte Trebevice, a Sarajevo, durante
l'assedio della città.