Il presidente alla sbarra

GIACOMO SCOTTI

Il presidente alla sbarra
GIACOMO SCOTTI

Il leader bosniaco musulmano Alija Izetbegovic, considerato fino a ieri il meno "sporco" fra gli esponenti nazionalisti delle tre principali etnie che dal 1992 al 1995 si sono combattute nella Bosnia-Erzegovina, probabilmente verrà denunciato al tribunale internazionale dell'Aja come mandante di crimini di guerra e capo di una banda terroristica.
A rivelare le sue connessioni con i criminali è stato uno dei più eminenti avvocati di Sarajevo, Faruk Balijagic, che difende un ex agente dei servizi segreti, condannato in primo grado a 13 anni di carcere per il sequestro e l'uccisione di un leader politico. A riaprire il caso di questo agente di fronte alla Corte suprema della Bosnia-Erzegovina, formata da sei giudici bosniaci e da altrettanti stranieri nominati dall'Onu, è stato il presidente della Corte, l'italiano Giovanni Grasso: il suo voto è stato determinante. E il cliente di Balijagic ha rivelato di aver operato su ordine di Izetbegovic.
A confermare le connessioni di Izetbegovic con i criminali sono queste parole: "Bravi, avete ben eseguito il lavoro. Saluti da presidente". Questo messaggio, scritto di pugno da Izetbegovic nel 1995, fu recapitato al capo dei suoi servizi segreti, Nedzad Ugljen, dal nipote dello stesso presidente bosniaco, Bakir Sadovic. Izetbegovic si congratulava per la fruttuosa conclusione di una delle tante operazioni terroristiche compiute dall'Aid (sigla del servizio segreto bosniaco) e dal gruppo terroristico "Seva" (Allodola), l'uno e l'altro sotto il comando di Ugljen, l'uno e l'altro controllati e indirizzati dal massimo vertice bosniaco con il compito di liquidare fisicamente i più "pericolosi" esponenti serbi e croati in Bosnia. Alla fine, nel 1996, fu liquidato lo stesso Ugljen per impedirgli di svelare l'attività criminale svolta durante la guerra dalle sue "allodole" per ordine di Izetbegovic.
In una lunga intervista concessa al quotidiano Novi List di Fiume, Balijagic afferma esplicitamente che "Alija Izetbegovic spinse il gruppo terroristico Seva a compiere delitti e a costituirsi in banda criminale organizzata", aggiungendo che "le allodole furono usate anche per la liquidazione di eminenti uomini politici e di comandanti dell'Armata della Bosnia-Erzegovina" (l'esercito musulmano bosniaco) "che non approvavano la politica di Alija Izetbegovic".
Viene quindi fornita tutta una serie di informazioni documentate sul coinvolgimento diretto in queste "attività" criminali di Alija Izetbegovic, del suo capo di gabinetto e nipote, il suddetto Bakir Sadovic, e di qualche altro stretto collaboratore. Una delle "imprese" nelle quali si distinsero i killer di Izetbegovic, o meglio alcuni franchi tiratori della banda "Allodole", fu l'uccisione, eseguita per "allenamento" con fucili di precisione, di alcune vecchiette serbe sorprese nel quartiere di Grbavica e inseguite per loro disgrazia dal mirino dei cecchini.
Ma le "Allodole" chi erano? Fra i loro componenti, tutti scelti con cura e raccolti da varie parti, c'erano killer di professione, operatori di sofisticati congegni di spionaggio, esperti di armi e di esplosivi, perfino alcuni professori universitari. Le modalità del loro "lavoro" ricordano un misterioso "Settimo battaglione" serbo formato da criminali comuni amnistiati, un reparto paramilitare di spie e assassini secondo gli oppositori di Milosevic, cui i componenti avrebbero giurato fedeltà fino alla morte.
Come gli uomini del "Settimo battaglione", anche le "Allodole" di Izetbegovic seminavano il terrore. Tra le loro vittime ci furono, nel 1993 a Sarajevo, la moglie del capo di stato maggiore dell'armata bosniaca, generale Sefer Halilovic, e suo cognato, pure lui alto ufficiale. Era stato preparato per Halilovic l'ordigno esplosivo che invece dilaniò i suoi congiunti: tornò a casa un minuto più tardi del solito e restò illeso. Il presidente Izetbegovic dichiarò invece, all'epoca, che la strage era stata causata "da una granata serba". Il leader politico e il capo militare dei musulmani bosniaci erano da tempo in rotta di collisione. Halilovic denunciò apertamente la politica di Izetbegovic che aveva portato alla spartizione del paese ed alla creazione di un esercito musulmano, uninazionale e unipartitico, provocando l'uscita dai suoi ranghi dei croati e serbi che inizialmente avevano formato il 30% degli effettivi. Izetbegovic lo rimosse dal comando, tentando poi di liquidarlo anche fisicamente.
Sei mesi fa Halilovic, diventato nel frattempo presidente del Partito patriottico bosniaco, ha presentato alla procura una denuncia contro mezza dozzina di terroristi del gruppo "Allodole" e dei servizi segreti. Indirettamente, ha accusato Izetbegovic di essere all'origine dell'attentato contro di lui e dell'assassinio di due suoi collaboratori. Halilovic ha inoltre rivelato che, dietro sua iniziativa, i giudici del tribunale internazionale per i crimini di guerra hanno già avviato indagini a carico di Izetbegovic. Il procuratore Carla Del Ponte nel gennaio scorso ha iscritto all'ordine del giorno del tribunale dell'Aja la possibilità d'incriminare Izetbegovic per il massacro di Kazany: più di 2.000 civili serbi uccisi dalle milizie musulmane e fatti sparire nelle gole sotto il monte Trebevice, a Sarajevo, durante l'assedio della città.

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