Vertice a Roma sulla crisi jugoslava

GIACOMO SCOTTI - LUBIANA

Vertice a Roma sulla crisi jugoslava
In visita il presidente sloveno Kucan, dopo i colloqui con Mesic e Djukanovic
GIACOMO SCOTTI - LUBIANA

Appena conclusa una visita di tre giorni in Croazia, dove si è incontrato con i presidenti della Cechia, del Montenegro e della Croazia riuniti a Dubrovnik, il capo dello stato sloveno Milan Kucan arriva a Roma, portando con sé i problemi dei rapporti bilaterali con l'Italia (progetto del "Corridoio 5", tutela della minoranza slovena in Friuli-Venezia Giulia e di quella italiana in Slovenia), ma anche quelli con la Croazia, insieme alla quale dovrebbe entrare nell'Unione europea fra alcuni anni: il contenzioso di confine nel golfo di Pirano, la gestione della centrale atomica di Krsko (che i verdi italiani vorrebbero fosse chiusa) e altri.
Infine riferirà sui colloqui avuti a Ragusa con il presidente croato Stipe Mesic e con quello montenegrino Milo Djukanovic, alla presenza di Vaclav Havel. I quattro, oltre a consultarsi sulla conferenza proposta da Chirac sulla collaborazione e la sicurezza degli stati scaturiti dallo sfacelo dell'ex Jugoslavia (dovrebbe tenersi a Zagabria in agosto, ma la Croazia intende estenderla a tutti i paesi del centro-sud europeo), hanno esaminato la situazione nei Balcani alla luce dei più recenti scontri fra il regime di Belgrado e Podgorica.
In una dichiarazione congiunta, datata 11 luglio, i quattro presidenti dicono che "per il Montenegro la situazione appare pesante", stretto com'è quel paese nella morsa fra il regime di Milosevic e la politica attendista dell'Occidente nei Balcani (vedi il Kosovo). Pur non volendo entrare nel merito dei legami formali che ancora uniscono Montenegro e Serbia, i massimi leader di Lubiana, Zagabria e Praga hanno ribadito a Djukanovic il loro interesse per il processo di democratizzazione in Jugoslavia. I tre statisti hanno affrontato con il leader di Podgorica, apparso abbastanza rilassato e tranquillo nonostante le minacce che gli vengono in queste ore da diversi mass-media serbi e dagli esponenti del Partito radicale serbo di Seselj che lo accusano di tradimento, le questioni attinenti alla collaborazione della Croazia e Slovenia col Montenegro, allo sviluppo della democrazia in quella repubblica e alla possibilità di una sua ulteriore apertura verso l'integrazione europea.
Nella dichiarazione congiunta, i presidenti hanno manifestato "profonda preoccupazione" per le ultime vicende nella Federazione jugoslava, cioè per le modifiche costituzionali approvate di recente per volere di Milosevic, esprimendo la "convinzione" che la comunità internazionale farà tempestivamente "tutto il necessario per impedire nuove violenze" in un'area che ha visto tre guerre negli ultimi anni: in Croazia, in Bosnia e nel Kosovo.
Secondo i radicali serbi -espressisi per bocca del vicepremier federale Tomislav Nikolic, braccio destro di Seselj - la dichiarazione congiunta di Ragusa dimostra che Mesic, Kucan e Havel "operano in maniera diretta e indiretta per lo sgretolamento della Federazione serbo-montenegrina", aiutando Djukanovic a realizzare la secessione "secondo una ricetta già usata dalla Slovenia e dalla Croazia" nel 1991.

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