Sarajevo, artisti in casa

SILVIA LUCCHESI - SARAJEVO

Sarajevo, artisti in casa
Presentato il nuovo museo d'arte contemporanea di Renzo Piano
SILVIA LUCCHESI - SARAJEVO

Nella grande periferia urbana di Sarajevo, nella zona di sviluppo a ponente della città, in quello che oggi è un terreno incolto da poco liberato dalle mine, da detriti e rovine, sorgerà un Museo d'arte contemporanea. Presentato il 24 giugno scorso davanti alle massime autorità politiche della Bosnia Erzegovina (il presidente Izetbegovic, il ministro degli esteri, i ministri della Cultura della Federazione e del Cantone) e dei rappresentanti delle istituzioni internazionali (Unesco e Consiglio d'Europa), porta la firma di Renzo Piano. E' l'ultimo importante traguardo del progetto Ars Aevi - Museo d'arte contemporanea di Sarajevo, nato nel 1992 da un gruppo di intellettuali bosniaci come risposta alla violenza dell'assedio. Ars Aevi, felice anagramma di Sarajevo, "arte della nostra epoca", ha in questi anni raccolto il sostegno e il supporto di molte istituzioni pubbliche e private italiane e straniere. Le opere, più di cento, sono state donate dai maggiori artisti del nostro tempo spinti dalla consapevolezza che la creatività sia l'unico mezzo per inventare un futuro. Buren, Kosuth, Pistoletto, Abramovic, Kounellis, Sherman, Cragg, LeWitt, Castellani, Kapoor, Viola, per citarne che alcuni, hanno offerti i propri lavori, sculture, dipinti, fotografie, installazioni, attraverso un meccanismo di mostre-donazioni curate da musei e centri d'arte europei (Spazio Umano di Milano, il Pecci di Prato, la Galleria d'arte moderna di Lubiana, le fondazioni veneziane Bevilacqua La Masa e Querini Stampalia, lo Stiftung Ludwing di Vienna).
Il sito del nuovo museo, individuato un anno fa dopo alcuni incontri tra l'architetto italiano, invitato a partecipare come gli altri artisti al progetto Ars Aevi, e gli urbanisti della città, si trova nel cuore di quella che sarà la nuova zona universitaria di Sarajevo. E' delimitato da un lato dalla riva sinistra della Miljacka, alle spalle un quartiere popolosissimo edificato in tempo socialista e costituito da alti e fitti casermoni. Dall'altro, da un edificio in cemento e vetro, sorta di cubo razionalista che fu la sede del Museo della Rivoluzione. Ristrutturato dalle lesioni della recente guerra, esponeva armi e armamenti antichi.
Oggi, l'ex Museo della Rivoluzione è la sede temporanea della collezione Ars Aevi. Qui, lungo il fiume, era la linea del fronte. Qui sorgerà il nuovo museo ad attestare la risposta della cultura contemporanea di fronte ad un evento cruciale della nostra storia recente. Un anno fa, in occasione della presentazione della collezione, questo luogo venne simbolicamente occupato dagli ospiti riuniti per l'inaugurazione. Tutti insieme, artisti, direttori di musei, critici, rappresentanti delle istituzioni straniere, giornalisti, con gli amici bosniaci condivisero l'idea di Renzo Piano di piantarvi delle bandiere a delinearne idealmente lo spazio. Quel gesto semplice e senza retorica oggi riecheggia tra la gente della città venuta ad assistere alla presentazione del progetto per il futuro museo.
Al piano terra del cubo dell'ex Museo della Rivoluzione è stato montato un grande pannello con schizzi, disegni, planimetrie, foto di opere della collezione, modelli in carta, cartone e legno, idee non ancora definitive per il museo che verrà. "Immagini che vanno interpretate", dice l'architetto, un work in progress sul quale si continuerà a lavorare, aggiustando, perfezionando, modificando. Alcuni elementi appaiono tuttavia certi. Il progetto si svolge intorno all'idea dell'integrazione tra l'edificio dell'ex Museo della Rivoluzione e il nuovo edificio su più piani che sarà costruito. Visivamente ha un andamento orizzontale e coprirà una superficie di 10 mila mq circa. Una struttura di pali a vista alti una ventina di metri circa sostengono l'intera costruzione. Si vede l'esistenza di una scala esterna, tipo quella del Beaubourg. E poi l'elemento caratterizzante il progetto: il ponte pedonale che attraverserà la Miljacka e immetterà direttamente su una grande piazza inglobata nella nuova architettura: "Mi piace l'idea di costruire un ponte abitato in modo da cucire le due sponde del fiume - spiega Piano - Perché questo museo sarà anche piazza, un luogo di vita dove passerà tanta gente anche non interessata all'arte". Oltre alla collezione e alle mostre temporanee, ospiterà un cinema, dei negozi legati alla vita universitaria. "Fare un museo - continua Renzo Piano - significa cogliere il messaggio che viene dalla città, e questa è una città con una cultura ricca perché meticcia. I suoni dei minareti si intrecciano a quelli delle campane. Sarà un museo dove sacro e profano si mescoleranno. Un museo, come la città, è un po' chiesa e un po' bordello: c'è di tutto e tutto vive insieme".
Il progetto è pensato in progress, in modo da poter essere realizzato anche a piccoli passi, a seconda dei finanziamenti che via via saranno stanziati. Ogni parte che verrà costruita, anche se piccola, sarà funzionante: "In questo modo - dice Piano - anche quando i lavori saranno solo all'inizio, l'edificio racconterà la sua storia". Cortese ed elegante signore magro e alto con l'immancabile sigaro tra le dita, l'architetto chiarisce che la sua presenza a Sarajevo è di ambasciatore dell'Unesco, non di professionista. La gente lo ferma, gli chiede autografi, gli fa domande. Lui, gentile, spiega che il suo ruolo sarà piuttosto quello di coordinatore, di "istigatore", dice, dei lavori che, al momento dell'azione, verranno eseguiti in collaborazione con professionisti locali. Racconta ad esempio che al progetto hanno preso parte due giovani architetti di Sarajevo, Apnan Harambasic e Natasa Pelja, che per tre mesi hanno lavorato a Genova nell'ambito del programma della Fondazione del suo studio. La Workshop Foundation, nata per suo volere nel 1998 per "l'insegnamento di bottega dell'architettura" offre ogni anno 12 borse di studio per stage di tre/sei mesi a studenti selezionati dalle università di tutto il mondo. "L'unico modo di insegnare l'architettura - dice Piano - è quello della collaborazione, del workshop, dove si dialoga e si confrontano le proprie idee con quelle degli altri, un po' come era nelle botteghe rinascimentali. Solo così la tecnica e la pratica si possono sposare con gli aspetti più ideologici ed espressivi del nostro lavoro".

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