Il Veneziano in gioco
E'
Il dialogo tra un attempato conte e un Casanova evaso
dai Piombi ne "La recita di Bolzano", un romanzo di Sandor
Màrai
DANIELE ARCHIBUGI
Quanta creta si ritrova nelle migliaia di fogli manoscritti
contenenti le memorie di Giacomo Casanova? Diversi critici, in
Italia più che in Francia, hanno giudicato severamente
l'ambizioso tentativo del Veneziano di assicurarsi una seconda
vita nel modo più semplice: raccontandosela. Casanova è stato
giudicato per quello che non era: memoralista, avventuriero,
viaggiatore o semplicemente testimone del tempo. Nulla di tutto
ciò: Casanova non intendeva far altro che procurare pietre grezze
che altri e più avveduti artisti avrebbero pensato a scolpire,
raffinare e plasmare; aveva più gusto che talento letterario, ed
era consapevole che molti gli erano superiori come scrittori, ma
ben pochi avevano così tanto da raccontare.
Casanova sapeva che non tutta la materia prima è della stessa
qualità, e pure che lui smerciava quella buona. Perché fornisce
una prospettiva sulla vita vissuta che solamente chi è arrivato
al tramonto della propria esistenza può trasmettere ai più
giovani. Chiunque si sia avvicinato a quel meraviglioso
rimugginamento che sono le Memorie ha infatti
sperimentato la sensazione di onnipotenza che Casanova dona a chi
lo legge. "io vivo ormai, dopo aver vissuto in lungo e in largo -
egli lascia intendere - solo perché tu mi stai ascoltando". Come
può il lettore non farsi trascinare dal racconto e riprendere la
narrazione? Lo scrittore si farà in quattro per plasmare il
personaggio come un tema ossessivo che rimane in testa e che si
fischietta e si ripete all'infinito, fino a quando l'ultimo
strimpellatore non lo sottrae in via definitiva al suo
compositore.
Anche Sandor Màrai è ricorso alla vita di Casanova per dar vita
al protagonista de La recita di Bolzano (Adelphi, trad.
it. di Marinella D'Alessandro, pp. 264, L. . 28.000). Màrai ha
preso in prestito dati di fatto quali la fuga di Casanova dalla
prigione dei Piombi del 1756 in compagnia del monaco Marino Baldi
e i sei giorni di permanenza a Bolzano in attesa di incassare una
lettera di cambio del suo protettore Bragadin. Dati caratteriali,
quali la passione per le donne, il gioco d'azzardo e la
narrativa. Ma nel plasmare il personaggio gli cambia i connotati:
lo rende più vecchio di otto anni (il nostro aveva trentadue anni
al momento dell'evasione mentre è sulla soglia dei quaranta nel
romanzo) e più basso di una spanna (snello e alto sei piedi, una
delle stature più imponenti del Secolo dei lumi, viene
trasformato in tracagnotto e grassottello). Per quanto riguarda
l'età, noto che Màrai ha dato a Casanova quella che aveva lui nel
momento in cui licenziò il volume per la stampa nel 1940, e tanto
evidente è l'immedesimazione con il protagonista del romanzo che
non sarei sorpreso se lo scrittore ungherese avesse la stessa
statura e pinguedine che attribuisce all'eroe veneziano. Per il
resto, Màrai usa Casanova come un blocco di argilla, come prima
di lui avevano fatto, per citare solo i più prossimi
geograficamente, Hugo von Hofmannsthal, Arthur Schnitzler, Stefan
Zweig, Herman Hesse e Louis Fürnberg.
Come nel romanzo che pubblicherà nel 1942, Le braci, e
che ha riscosso un così grande successo in Italia negli ultimi
due anni, ritroviamo qui le stesse ossessioni e la stessa
narrazione. I temi ossessivi sono quelli dell'incontro decisivo
tra due persone al crocicchio della propria esistenza: ne Le
Braci erano i due protagonisti Henrik e Kondrad a doversi
spiegare perché - dopo più di quarant'anni - il loro sodalizio si
era bruscamente interrotto. Per farla breve, la risposta è "per
una donna", ma con quanta finezza narrativa Màrai tesse su questo
fatto. Ne La recita di Bolzano, i due personaggi
costretti a reincontrarsi sono in momenti assai diversi della
propria esistenza: da una parte Casanova che, riappropriatosi
della libertà, deve spendersi la seconda metà della vita,
dall'altra un Conte di Parma ormai pronto a prendere commiato dal
mondo.
Non potrebbero essere più diversi per estrazione sociale e
ideologia. Anche loro sono accomunati da una donna, anzi una
fanciulla che, innamorata di Casanova come tante altre
adolescenti dell'epoca, ma oramai diventata addirittura Contessa
di Parma e venerata dal suo assai attempato marito, tenta
disperatamente di ritrovare il proprio amore. Per età ma anche
per la precoce consapevolezza delle miserie umane, la Contessa
Francesca di Màrai rammenta Manon Balletti, che indirizzò a
Casanova, appena fuggito dai Piombi, appassionate lettere nelle
quali gli offriva il suo amore e la sua vita.
Avventuriero e Conte amano la narrazione, e proprio nella
narrazione si ritrovano. Nel suo monologo, che inevitabilmente
richiama quello di Henrik ne Le braci, il Conte riesce a
sviscerare ogni recondito sentimento covato dalla propria moglie
nelle sole tre parole che lei indirizza a Casanova: "Ti devo
vedere". Ugualmente notevole il monologo che Francesca recita
all'uomo che ama, un vero e proprio atto di devozione assoluta
che anticipa addirittura nel contenuto la perdizione della O di
Pauline Réage. Non è certo intimidito dai monologhi, Màrai, e se
il lettore può ogni tanto lamentarsi di qualche variazione di
troppo sullo stesso tema, certamente rimane magnetizzato dalla
parola scritta, volta assai felicemente in italiano dalla
D'Alessandro.
Continuano ad essere periodicamente generate biografie di
Casanova che ben poco aggiungono alla comprensione del
personaggio (se non per ridurre in un solo volume quelle migliaia
di fogli che ci ha lasciato il Veneziano). Rammento, senza
pretesa di completezza, e solo tra i più recenti, le divagazioni
pseudofilosofiche di Philippe Sollers (Casanova
l'admirable, Plon, 1998), la pacifica biografia di Elio
Bartolini (Vita di Giacomo Casanova, Mondadori, 1998), il
bignami di Lydia Flen (Casanova ou l'esercice du bonheur,
Seuil, 1999), e il più meditato saggio di Giorgio Ficara (
Casanova e la malinconia, Einaudi, 1999). La creta è
duttile, oltre che abbondante, fino al punto di poter essere
agevolmente trasformata in celluloide (rammentiamo i film
ispirati a Casanova di Comencini, Fellini e Scola). La recita
di Bolzano si presta ad ulteriori manipolazioni: può
agevolmente diventare una sceneggiatura. A Màrai il merito di
aver saputo plasmare il personaggio Casanova, certamente assai
più di quanto un filologo ritenga lecito. Ne doveva essere lui
steso consapevole, se ha voluto giustificarsi di fronte al
lettore con una inutile "Avvertenza". Ma non è detto che i più
fedeli interpreti siano i più ispirati. Màrai appartiene al
secondo gruppo.