La Croazia misura i danni dell'era Tudjman

GIACOMO SCOTTI - ZAGABRIA

La Croazia misura i danni dell'era Tudjman
Varato il censimento di una popolazione che la guerra ha ridotto e cambiato. Ok del parlamento
GIACOMO SCOTTI - ZAGABRIA

Dal 1 al 15 aprile del prossimo anno la Croazia censirà la propria popolazione e si sapranno finalmente, fra l'altro, le conseguenze nefaste della "pulizia etnica" praticata in guerra e in pace nei dieci anni del passato regime tudjmaniano. Stabilendo la consistenza della popolazione, il censimento stabilirà anche l'ampiezza dei diritti all'autonomia culturale ed all'uso paritetico delle lingue delle minoranze nazionali.
Purtroppo con la legge sul censimento, approvata pochi giorni fa dal parlamento croato a maggioranza democratica, si è partiti col piede sbagliato: essa non rispetta la normativa sull'uso delle lingue minoritarie varata appena alcune settimane prima dallo stesso parlamento. Secondo tale normativa, nei comuni e città a statuto bilingue, i rilevatori dovrebbero chiedere ai cittadini in quale lingua vogliono essere intervistati; ma così non sarà con il prossimo censimento.
Il governo ha respinto "per questa volta" il bilinguismo col pretesto che esso creerebbe problemi insormontabili e gonfierebbe vertiginosamente i costi del censimento stesso. Denunciando la violazione dei diritti delle minoranze (e votando contro la legge), il deputato italiano Furio Radin ha definito inaccettabile la linea politica di un "centro sinistra" che, al primo esame di sincerità sulla volontà reale di rispettare le leggi sulle minoranze, si rimangia ogni promessa, calpesta i suoi principi e le sue stesse leggi. Radin non ha escluso che l'Unione italiana, che riunisce 30.000 connazionali dell'Istria e del Quarnero, faccia ricorso alla Corte costituzionale, appoggiato dal governo regionale dell'Istria.
Il censimento, ricordiamo, avrà effetti giuridici rilevanti, in quanto il numero degli appartenenti a un'etnia, specie a livello nazionale, determinerà i diritti di cui essa potrà godere nel campo scolastico, culturale, sociale, amministrativo e dell'autogoverno locale.
Tornando ai problemi demografici generali, va notato che fin d'ora i più eminenti studiosi di demografia in Croazia danno per scontato che la popolazione complessiva si sia ridotta notevolmente. Di regola ogni dopoguerra registra un'esplosione di nascite, un fenomeno del "baby-boom"; nulla di tutto questo è avvenuto in Croazia. Qui la guerra ha influito direttamente sull'aumento della mortalità provocando inoltre migrazioni di popolazioni e una riduzione del tasso di natalità. La diminuzione delle nascite è stata causata dall'altissimo tasso di disoccupazione, dalla scarsa possibilità per le nuove coppie di trovare casa e da una generale situazione di povertà di larghi strati della popolazione: circostanze che non stimolano il desiderio di mettere al mondo figli, mentre contribuiscono all'incremento della mortalità e all'invecchiamento della popolazione: oggi in Croazia l'età media è di 43 anni.
Lo studioso di demografia Stjepan Sterc, docente universitario (e viceministro) ricorda che nei primi due anni di guerra, 1991 e 1992, ma soprattutto dopo le operazioni militari del 1995 nelle cosiddette Krajine "dalla Croazia fuggirono circa 250 mila persone di etnia serba" - in realtà, diciamo noi, furono cacciate con metodi terroristici, senza contare i morti. Al numero indicato da Sterc vanno aggiunte le "migrazioni economiche" provocate dalla guerra e la fuga di almeno altre centomila persone, anche di etnia croata, in cerca di lavoro, pane e sicurezza in vari paesi europei e d'oltre oceano. Queste fughe sono continuate negli anni del dopoguerra e continuano tuttora.
La Croazia, che alla fine del marzo 1991 contava circa 5 milioni di abitanti, oggi ne ha meno di quattro milioni e mezzo. C'è stata, nel frattempo, una grande concentrazione di popolazione nei centri urbani e uno spopolamento delle campagne, con la conseguente devastazione delle regioni rurali; in particolare le regioni della Slavonia, della Banovina, del Kordun e della Lika, devastate dalla guerra e dalla "pulizia etnica", sono oggi pressoché deserte. Il rientro delle popolazioni di etnia serba, già fortemente ostacolato dal regime di Tudjman, continua ad essere intralciato sia dalle azioni terroristiche dei gruppi neoustascia, sia dalle difficoltà che i reduci incontrano: non trovano lavoro, non trovano casa. Inoltre a tornare sono soprattutto i vecchi, raramente i giovani.
Secondo Stjepan Sterc, "più della terza parte dei cittadini croati costretti all'esilio e alla fuga negli ultimi dieci anni non tornerà, e saranno pochi a tornare anche nelle file di coloro che sono emigrati per motivi economici". A trattenerli lontano dalla Croazia sono anche i loro figli, quasi tutti nati nei campi profughi fuori dalla Croazia o nei vari paesi europei, e lì cresciuti ed educati. La maggior parte di loro non vedono nella Croazia la loro patria.

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