La Croazia misura i danni dell'era Tudjman D
Varato il censimento di una popolazione che la guerra ha ridotto
e cambiato. Ok del parlamento
GIACOMO SCOTTI -
ZAGABRIA
Purtroppo con la legge sul censimento, approvata pochi giorni fa
dal parlamento croato a maggioranza democratica, si è partiti col
piede sbagliato: essa non rispetta la normativa sull'uso delle
lingue minoritarie varata appena alcune settimane prima dallo
stesso parlamento. Secondo tale normativa, nei comuni e città a
statuto bilingue, i rilevatori dovrebbero chiedere ai cittadini
in quale lingua vogliono essere intervistati; ma così non sarà
con il prossimo censimento.
Il governo ha respinto "per questa volta" il bilinguismo col
pretesto che esso creerebbe problemi insormontabili e gonfierebbe
vertiginosamente i costi del censimento stesso. Denunciando la
violazione dei diritti delle minoranze (e votando contro la
legge), il deputato italiano Furio Radin ha definito
inaccettabile la linea politica di un "centro sinistra" che, al
primo esame di sincerità sulla volontà reale di rispettare le
leggi sulle minoranze, si rimangia ogni promessa, calpesta i suoi
principi e le sue stesse leggi. Radin non ha escluso che l'Unione
italiana, che riunisce 30.000 connazionali dell'Istria e del
Quarnero, faccia ricorso alla Corte costituzionale, appoggiato
dal governo regionale dell'Istria.
Il censimento, ricordiamo, avrà effetti giuridici rilevanti, in
quanto il numero degli appartenenti a un'etnia, specie a livello
nazionale, determinerà i diritti di cui essa potrà godere nel
campo scolastico, culturale, sociale, amministrativo e
dell'autogoverno locale.
Tornando ai problemi demografici generali, va notato che fin
d'ora i più eminenti studiosi di demografia in Croazia danno per
scontato che la popolazione complessiva si sia ridotta
notevolmente. Di regola ogni dopoguerra registra un'esplosione di
nascite, un fenomeno del "baby-boom"; nulla di tutto questo è
avvenuto in Croazia. Qui la guerra ha influito direttamente
sull'aumento della mortalità provocando inoltre migrazioni di
popolazioni e una riduzione del tasso di natalità. La diminuzione
delle nascite è stata causata dall'altissimo tasso di
disoccupazione, dalla scarsa possibilità per le nuove coppie di
trovare casa e da una generale situazione di povertà di larghi
strati della popolazione: circostanze che non stimolano il
desiderio di mettere al mondo figli, mentre contribuiscono
all'incremento della mortalità e all'invecchiamento della
popolazione: oggi in Croazia l'età media è di 43 anni.
Lo studioso di demografia Stjepan Sterc, docente universitario (e
viceministro) ricorda che nei primi due anni di guerra, 1991 e
1992, ma soprattutto dopo le operazioni militari del 1995 nelle
cosiddette Krajine "dalla Croazia fuggirono circa 250 mila
persone di etnia serba" - in realtà, diciamo noi, furono cacciate
con metodi terroristici, senza contare i morti. Al numero
indicato da Sterc vanno aggiunte le "migrazioni economiche"
provocate dalla guerra e la fuga di almeno altre centomila
persone, anche di etnia croata, in cerca di lavoro, pane e
sicurezza in vari paesi europei e d'oltre oceano. Queste fughe
sono continuate negli anni del dopoguerra e continuano tuttora.
La Croazia, che alla fine del marzo 1991 contava circa 5 milioni
di abitanti, oggi ne ha meno di quattro milioni e mezzo. C'è
stata, nel frattempo, una grande concentrazione di popolazione
nei centri urbani e uno spopolamento delle campagne, con la
conseguente devastazione delle regioni rurali; in particolare le
regioni della Slavonia, della Banovina, del Kordun e della Lika,
devastate dalla guerra e dalla "pulizia etnica", sono oggi
pressoché deserte. Il rientro delle popolazioni di etnia serba,
già fortemente ostacolato dal regime di Tudjman, continua ad
essere intralciato sia dalle azioni terroristiche dei gruppi
neoustascia, sia dalle difficoltà che i reduci incontrano: non
trovano lavoro, non trovano casa. Inoltre a tornare sono
soprattutto i vecchi, raramente i giovani.
Secondo Stjepan Sterc, "più della terza parte dei cittadini
croati costretti all'esilio e alla fuga negli ultimi dieci anni
non tornerà, e saranno pochi a tornare anche nelle file di coloro
che sono emigrati per motivi economici". A trattenerli lontano
dalla Croazia sono anche i loro figli, quasi tutti nati nei campi
profughi fuori dalla Croazia o nei vari paesi europei, e lì
cresciuti ed educati. La maggior parte di loro non vedono nella
Croazia la loro patria.