Amore mio, farò di te un killer

SIMONE NAVARRA

Amore mio, farò di te un killer
Cani e scommesse, un giro da mille miliardi che ha invaso l'Italia. Tra leggi da varare e leggende metropolitane
SIMONE NAVARRA

I mmaginate di stare legati a una catena e di avere, dal giorno in cui si è venuti al mondo, un collare così stretto intorno al collo che si respira a fatica. Di avere anche una sorta di apparecchio per i denti che rilascia una sostanza molto piacevole se si riesce a stringere forte, molto forte. Ed essere immobilizzati e picchiati da due o tre persone senza alcun motivo.Poi però un giorno, o una notte, tutto finisce, ed entra nella vostra vita un angelo che accarezza, abbraccia, bacia. Può difendervi dal mondo cattivo. Ma non si fa nulla per nulla. Perciò, per avere dolcezze, dovete uccidere, dovete diventare spietati. E non c'è dubbio che lo farete senza problema. Ucciderete perché così vi salverete. Ucciderete perché lo chiede l'unica persona che vi dimostra amore.
Questi sono i primi mesi di vita che deve sopportare un cane destinato al combattimento. Il collare è tenuto stretto per sviluppare i polmoni sotto sforzo. La "mordacchia" di cotone e gomma che ha in bocca è stata tenuta a bagno con dell'anestetico; quelli che picchiavano con mani, piedi e bastoni sono allevatori, a volte neanche troppo sconosciuti, e il salvatore che arriva alla fine può essere uno di questi o un acquirente esterno voglioso di guadagnare fino a sei milioni per la partecipazione del suo animale a un incontro. "Perché nei combattimenti all'ultimo sangue - dice Antonio, un bookmaker molto particolare - non si scommette solo su chi vince, ma anche su quanto tempo va avanti il combattimento. E un buon perdente che resiste può far guadagnare anche più di un vincente troppo veloce. Quindi anche la sola partecipazione è ben premiata. Ecco perché sono molti i rapimenti di razze considerate resistenti".
E siccome le competizioni tra animali nascono con l'uomo, molte sono le razze che sono state selezionate negli anni per assolvere a questo compito. La più nota è l'American pitbull terrier, che nasce ufficialmente tra il '700 e l'800 da immigrati inglesi e irlandesi nel nuovo mondo". La taglia e il peso variano a seconda della tipologia preferita, in generale sono cani che vanno dai 35 ai 50 centimetri d'altezza e dai 13 ai 45 kg di peso, per una stretta tra le mascelle che può superare - grazie agli incroci - i 900 chili. Con un "corso" come quello descritto la presa aumenta anche del 20 per cento. Ma non solo per queste qualità fisiche il pitbull è scelto, ma anche per il suo attaccamento al padrone: l'apposito sito Internet sostiene che questo "è un cane disposto a morire per lui pur di farlo felice".
Secondo la Lega anti vivisezione (Lav), il giro d'affari della "Zoomafia" si aggira sui mille miliardi di lire ogni anno. I dati dicono che, nel solo 1999, sono state oltre 500 le segnalazioni al numero "Sos combattimenti" (064461326), 233 i cani sequestrati, 76 le persone denunciate.
La "cinomachia" è diffusa in tutto il paese. Sono stati segnalati combattimenti e traffici d'animali rubati a Catania come a Messina, a Foggia come a Torino, a Livorno e Verona come a Roma. Meno di tre anni fa, a Ostia, la Lav ha ritrovato un cimitero di cani e un'arena per combattimenti.
A Roma, in un quartiere della periferia sud, gira anche una storia dal sapore amarognolo. Può essere una leggenda metropolitana, o la testimonianza di qualcuno che sa, ma non ha il coraggio di denunciare. Sembra che, per il compleanno di un pitbull estremamente redditizio, il proprio padrone avesse fatto rapire uno dei suoi primi addestratori, forse il più cattivo, e glielo aveva legato nella gabbia. Per la felicità l'animale era diventato pazzo e non solo aveva sbranato il suo vecchio carceriere, ma aveva sfondato la gabbia d'acciaio e ucciso un'altra persona.
Se poi a questo panorama dominato dal malaffare si aggiunge la confusione italiana, il quadro è a tinte scure, molto scure. Il direttore sanitario dell'Associazione per la salute e la tutela degli animali, Maurizio Albano, dice chiaramente che "nessuno ha voglia di risolvere il problema". E molto si potrebbe fare rendendo efficiente l'anagrafe canina. "Perché nel Lazio, ad esempio, per 70mila cani tatuati ce ne sono almeno 200mila che non lo sono. E in situazioni come la Campania e la Sicilia le percentuali parlano di uno su dieci. Per porre un freno al fenomeno bisognerebbe coinvolgere i veterinari e dirimere il conflitto di competenze tra Ente cinofilia italiana e Asl, che tatuano l'uno sull'orecchio e l'altro sulla coscia destra. Ma, invece di mettere un freno reale ai combattimenti, l'unica cosa che si è fatta con il disegno di legge e con i regolamenti del Comune di Roma è stato ostacolare il più possibile la riproduzione di specie considerate pericolose. Come se fossero loro la causa del problema, e non i padroni".

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