I nemici
del popolo
L
a stampa economica e quella specializzata in questioni
asiatiche hanno dedicato molto spazio all'imminente ingresso
della Cina nel Wto (Organizzazione mondiale del commercio). Il
governo cinese da tempo sta lavorando per questo fine, che
secondo le previsioni più ottimistiche dovrebbe essere raggiunto
nei primi mesi del prossimo anno. E' necessario che
preliminarmente siano stati firmati trattati commerciali
bilaterali con quelli che ne facciano richiesta fra gli attuali
134 membri. Gli ostacoli più grossi sono stati superati
nell'ultimo anno, firmando accordi con gli Usa, nel novembre del
1999, e più di recente con l'Unione europea, il 19 maggio scorso.
Ora alla Cina restano da superare solo le trattative con Costa
Rica, Ecuador, Guatemala, Messico e Svizzera. L'intesa con gli
Usa ha avuto una coda tormentata che tuttavia è stata anch'essa
in parte recisa. Il 24 maggio la Camera dei rappresentanti Usa,
con una maggioranza superiore al previsto, ha votato il suo
consenso al Pntr (permanenti rapporti commerciali normali) con la
Cina, che ha normalizzato il commercio tra i due paesi, spazzando
via la ratifica del Congresso cui ogni anno Pechino doveva
sottostare per la concessione della clausola di "nazione più
favorita". Perché il Pntr divenga definitivo manca ancora il
voto, imminente, del Senato Usa, la cui approvazione sembra
tuttavia scontata. Gli accordi bilaterali saranno poi sottoposti
al Wto e riuniti in un unico sistema doganale, secondo il
criterio della "nazione più favorita": le migliori concessioni
fatte dalla Cina a uno dei membri verranno estese a tutti gli
altri.
Il Wto si fonda su una connivenza tra potenze del nord e
classi dirigenti e privilegiate del sud (Cina inclusa). E aumenta
squilibri, povertà e marginalità alla periferia dell'impero
cinese
EDOARDA MASI
Entro tre anni la Cina dovrà tagliare i dazi sulle importazioni
dalla media attuale del 24% al 9% (in agricoltura, dal 31% al
14,5%); eliminare le quote e le licenze per l'importazione;
aprire per intero la distribuzione commerciale al dettaglio alle
imprese straniere e il mercato alle compagnie straniere di
telecomunicazioni; consentire il credito delle banche straniere
in valuta cinese (entro due anni alle imprese, entro cinque agli
individui); entro tre anni anche le compagnie di assicurazioni
straniere potranno operare liberamente a Shanghai e nel
Guangdong. E sottostare a tutte le direttive del Wto, come ogni
altro membro.
I cittadini di un paese come il nostro, che del Wto è già membro,
se hanno un minimo di consapevolezza sono in grado di intendere
che cosa significherà per la maggioranza dei cinesi una simile
evoluzione. (Anche categorie finora relativamente privilegiate,
come i 100 milioni di dipendenti da imprese statali, sono in
stato di grave allarme). In cambio, le concessioni dell'Ue e
degli Usa alla Cina sono praticamente zero. Va considerato
infatti che le pressioni per la conclusione di questi accordi
sono state tutte da parte cinese. Ai fini dell'aumento degli
investimenti, e anche dell'evoluzione verso maggiore efficienza,
produttività e crescita delle imprese nazionali sotto il pungolo
della concorrenza, l'ingresso nel Wto è considerato altamente
vantaggioso dai dirigenti. I quali stanno poi predisponendo
l'organizzazione di gruppi di partito nelle imprese private: non
alla maniera tradizionale là dove i lavoratori non hanno il
potere (sezioni e cellule in funzione difensiva verso i padroni),
ma come collaboratori e controllori della dirigenza aziendale, in
una sorta di evoluzione dei metodi di controllo propri del
socialismo burocratico, inseriti in un contesto di
privatizzazione e liberalizzazione estrema.
Negli ambienti economici e politici in Europa c'è una certa
unanimità a favore dell'apertura commerciale alla Cina (o meglio,
della Cina). Non così negli Stati uniti, anche se i favorevoli
hanno ottenuto la maggioranza al Congresso. Gli oppositori
comprendono: la parte più conservatrice dei repubblicani, le
associazioni per la difesa dei diritti umani, i sindacati, la
Cia. Tutti hanno in comune la medesima considerazione dei propri
interessi (vuoi in Europa vuoi negli Usa); ma nella crescita del
capitalismo, in qualunque luogo, gli uni vedono la via migliore
per inglobare ogni paese nella struttura mondiale di dominio; gli
altri ritengono che favorirla in un gigante come la Cina
costituisca un grave rischio. (Una variante europea può darsi
nella ricerca di un contrappeso all'eccesso di potere Usa). Le
motivazioni addotte ad uso del grande pubblico sono strumentali
(la più attiva nel fornire documentazione sulle violazioni dei
diritti umani da parte delle autorità cinesi è la Cia).
Esiste un certo numero di persone che si definiscono "amici della
Cina" - non per motivati interessi culturali ma per simpatia
politica per quel paese preso nel suo complesso. Questo
orientamento per un verso ha origini storiche, deriva dallo
spirito di solidarietà (socialista, comunista) nei confronti di
un popolo di contadini che attraverso una lunga e grande
rivoluzione si erano conquistati il potere politico: per cui dire
"Cina" equivaleva a dire "classi già subalterne ora al potere in
Cina". Per un altro verso "l'amicizia per la Cina" è un
atteggiamento di apertura illuminata e democratica di chi,
cittadino del felice "Nord", riconosce le colpe del colonialismo
e, per così dire, parteggia per l'emancipazione e lo sviluppo del
"Sud". E nella specie, per il più grande dei paesi del Sud. I due
atteggiamenti spesso si confondono nella coscienza degli
individui (e le stesse dirigenze cinesi hanno fatto non poco per
confonderli) ma è importante fare la distinzione. Infatti nel
primo caso si tratta di solidarietà basata sulla lotta comune
contro il dominio del capitale. Nel secondo caso, parteggiare per
l'emancipazione e lo sviluppo significa quasi sempre l'auspicio
della ripetizione nel Sud dell'evoluzione capitalistica del Nord,
fino alla graduale scomparsa di ogni differenza attraverso la
trasformazione del Sud in un Nord. (Negli Usa anche questa
tendenza ha un'origine storica: deriva dalle speranze dei primi
anni Trenta in un New deal che modificasse senza
eliminarlo il sistema di comando del capitale a favore dei più
deboli all'interno dei singoli paesi e nel mondo. Non è un caso
se nel passato i maggiori "amici della Cina" di questo tipo sono
stati grandi giornalisti dell'era rooseveltiana).Gli "amici della
Cina" a motivo della militanza socialista o comunista, fino a una
ventina di anni fa potevano avere qualche ragione, anche se già
allora appariva improprio e perfino leggermente ipocrita
riferirsi alla nazione cinese, tutt'altro che omogenea
nella sua composizione sociale e negli indirizzi politici, e
percorsa da lotte di classe drammaticamente complesse. Ma oggi è
sempre più evidente il vicolo cieco nel quale le politiche del
Nord stanno portando la maggioranza delle stesse popolazioni del
Nord (e l'umanità in generale), come pure la connivenza delle
classi dirigenti e privilegiate del Sud (Cina inclusa) con il
peggio di quelle politiche distruttive, che varcano ormai i
limiti del tollerabile nella polarizzazione fra
ricchezza-privilegio e povertà-destituzione. Parlare di "Cina"
nel
suo complesso per intendere "classi già subalterne ora al potere
in Cina" suonerebbe come uno scherzo amaro, paradossalmente si
riproduce e si estende anche fra il cosiddetto popolo di sinistra
l'amichevole auspicio che la Cina partecipi come entità
nazionale, con un rapido "sviluppo", alle magnifiche sorti
del Nord.
Delle reali condizioni della maggioranza dei cinesi, per quanto
deformata, dispersa e soffocata fra la massa delle notizie,
qualche informazione arriva anche sulla nostra stampa. Anche se
di rado e molto fra parentesi, in Italia, sugli aspetti più
clamorosi. Un solo esempio. Negli ultimi vent'anni il prodotto
interno lordo è cresciuto in Cina del 583%. Calcolando l'aumento
della popolazione nello stesso periodo, il tenore di vita medio è
migliorato del 422%. Nello stesso periodo, da 100 a 150 milioni
di persone espulse dalla terra sono tornate a formare il "popolo
vagabondo" - una piaga degli anni Venti-Quaranta che la
Repubblica popolare aveva sanato. Molti di questi "marginali" si
accampano alla periferia delle città e si arrangiano con lavori
precari sottopagati. Quando non si spostano le intere famiglie,
le donne rimaste in campagna stentano a far fronte da sole al
carico di lavoro e a sopravvivere - le statistiche rivelano un
aumento dei suicidi femminili. Gli individui appartenenti al
"popolo vagabondo", al pari degli altri cittadini, non hanno
diritto di risiedere lontano dal loro distretto di origine. Fuori
di questo, hanno bisogno almeno di un permesso temporaneo
rilasciato dalla polizia (in alcune località da rinnovare
mensilmente), di un permesso di lavoro rilasciato dall'ufficio
locale del lavoro, e di una autorizzazione a prendere in affitto
un alloggio. Il sistema di permessi varia da città a città. Chi è
colto senza permessi può essere arrestato e trattenuto in centri
di detenzione temporanea, autorizzati con un decreto del
Consiglio di stato del 1982. Si tratta di una detenzione di
carattere amministrativo, definita non punitiva e finalizzata al
rimpatrio nella località d'origine. Questo non sempre è possibile
e il soggiorno nei centri è in pratica di durata indefinita, data
anche la larga discrezionalità nella loro gestione. In alcune
province esiste un sistema complesso di stazioni di sosta
temporanea e campi all'esterno delle città. Questi detenuti (non
condannati e neppure imputati di qualche reato) devono lavorare
per provvedere al proprio mantenimento, e possono essere
rilasciati dietro pagamento di una somma non irrilevante. Si
calcola che il numero delle persone così trattenute - una sorta
di sans papiers all'interno della stessa nazionalità e
cittadinanza - si aggiri intorno ai due milioni l'anno.
L'informazione su fatti come questi può aiutare a far cadere i
variopinti legami che mascherano, con l'attacco ai "diversi" per
etnia e nazionalità, la logica con cui il comune sistema
socio-economico (e politico) penalizza duramente e in gran numero
i più deboli e ne fa degli emarginati: in Cina come in Italia. E
può forse far capire che quanti oggi desiderano accogliere nel
Wto la classe dominante cinese e quanti vogliono escluderla sono
ugualmente nemici del popolo cinese - oltre che di ogni altro
popolo.