Parole
tra cielo
e terra
U
OTTAVIO DI GRAZIA
Nella preghiera, Dio cessa di essere un vuoto neutro, un oggetto
di discorso, per diventare il partner di un dialogo.
Pregando, ci disponiamo alla relazione con l'altro esponendo noi
stessi, in quella forma assolutamente non violenta di affidarci a
chi ci sta davanti. Alla sua parola e al suo silenzio.
Il numeroso gruppo di termini ebraici che sono usati per indicare
la preghiera ci indicano come essa era concepita nelle Scritture
ebraiche (per i cristiani l'Antico Testamento o forse sarebbe
meglio dire Primo Testamento). Sa'al, chiedere;
hanan, chiedere favore o misericordia, indicano la
preghiera, la domanda, anche di perdono. Kara, chiamare
o invocare, indica che la preghiera era detta ad alta voce.
'anah, sospirare, indica un profondo sentimento. Un
numeroso gruppo di parole (che qui non è il caso di riportare
nella forma originale) indica la preghiera di lode. In
particolare: halal. Altri termini indicono: il
magnificare, l'esaltare, il benedire, il gioire, il meditare,
l'adorare.
Tuttavia la preghiera, come domanda, ringraziamento, lode,
contemplazione, ma anche come contestazione radicale, è un
fenomeno universale strettamente correlato alle possibilità
linguistiche e simboliche umane.
La preghiera nella sua complessità, ha a che fare con la vita
concreta, con i nostri desideri di pienezza, appagamento; con la
ricerca di senso che accompagna le scelte che tentiamo di fare.
Desideri, bisogni che, nella situazione umana si traducono,
spesso, in dolore e smarrimento. Pertanto, la preghiera si fa
implorazione per sfuggire alle minacce dell'esistenza, alle sue
macerie, alla precarietà di una vita esposta all'angoscia della
morte.
Non è un caso se in un commento rabbinico al versetto 11, 12 del
libro del Deuteronomio si legge: le porte della preghiera
non sono mai chiuse. Queste semplici parole indicano il senso
profondo che la preghiera ha nell'esperienza umana.
Da sempre, almeno da quando è possibile rinvenire testimonianze
più o meno dirette, il fenomeno religioso ha accompagnato la vita
dell'umanità.
Da quando l'uomo e la donna hanno assunto la posizione eretta,
lavorato, prodotto cultura, alzato gli occhi al cielo, spalancato
le braccia, la trascendenza è diventata compagna del loro
cammino.
La preghiera, con le sue parole, i riti, gli oggetti, le
immagini, è il sigillo di quest'incontro tra umano e divino. Con
essa si cerca di dare ordine a un mondo altrimenti gettato nel
caos. Del resto il termine indoeuropeo rito (ritu)
indica l'ordine immanente del cosmo.
Oltre questi dati antropologici e i fenomeni ad essi connessi, la
preghiera assume caratteri specifici rispetto, come abbiamo
visto, alla domanda di salvezza. Ed è un modo di dire Dio. Ma
perché voler portare a parola queste esperienze? Se l'uomo è
linguaggio, allora la lingua non è una funzione fra le altre,
bensì il luogo in cui si articola e si esprime la comprensione
che l'uomo ha di sé e del suo mondo. Poter dire queste
esperienze, quelle custodite nella preghiera, poter dire Dio, non
è allora superfluo. Tale possibilità è al tempo stesso quella di
un'idea di umanità come apertura e possibilità.
Il prevalere del linguaggio fattuale, linguaggio della scienza
sperimentale e di quelli perfettamente formalizzati, dice la
tendenza della nostra "civiltà", ma pone insieme il problema
della possibilità di un linguaggio, quale quello simbolico, che
non è riducibile a quello tecnico. Il problema è la possibilità
stessa di un linguaggio che sappia dire la responsabilità, non
carente di "Verità" ma, nel suo simbolismo, capace di aprire alle
verità.
Preghiera e bisogno di salvezza sono presenti anche in quelle
forme religiose che accompagnano la rinascita del sacro tipico
dei nostri tempi.
Culti misterici, nuove religioni, accattivanti vetrine on-line,
esperienze mistiche, organizzazioni dell'occulto, new age,
religioni del sé, invadono spazi reali e virtuali. Tutti questi
fenomeni di varia religiosità, oggi dominanti, non hanno
cancellato il bisogno di trascendenza, anzi cercano una risposta
al bisogno di salvarsi e alle tante paure di perdersi, di
smarrire la propria identità. Rappresentano un sentire
indeterminato, una ricerca continua di strumenti, con cui
ciascuno tenta di imparare a vivere prendendo i pezzi che gli
servono da varie religioni ed espressioni culturali e artistiche,
più o meno banalizzate.
Alla perdita di visibilità e di ricerca del senso della vita e
delle cose, supplisce il bricolage attraverso cui costruiamo un
percorso soggettivo per salvare parti della nostra personale
memoria, un'identità che si fa e disfa quotidianamente.
In questo senso, non siamo di fronte ad una crisi della
trascendenza, quanto piuttosto ad una crisi di quel concetto di
verità che si "fa" cammino, ricerca. Una verità che ha a che fare
con la concretezza, anche fisica, delle persone, delle loro
esistenze quotidiane.
Una verità che si fa strada attraverso le relazioni, nel nostro
quotidiano imparare il mestiere di vivere.
L'idea di salvezza cui rimanda l'universo della preghiera, pur
nella diversità con cui si presenta (una cosa è chi crede in una
relazione personale tra Dio e la sua creatura e chi, per esempio,
percorre la strada dell'annullamento di sé nel Tutto) non è
scomparsa dal mondo contemporaneo.
Il mondo moderno e postmoderno attraversato dal disincanto, dal
politeismo, dal proliferare di miti sacri, sembra aver assunto la
lucida consapevolezza di essere senza destino, infinitamente
precario, votato al nulla.
Con la morte di Dio si è consumato anche l'ultima possibilità di
sfuggire alla dura necessità del niente.
La globalizzazione, il pensiero unico che la sostiene, sembra
essere la parola magica di questo millennio. I suoi incantesimi,
le implicazioni per la vita di ciascuno di noi, passano anche
attraverso la cancellazione di un senso della trascendenza come
urgenza del fare spazio all'altro. La preghiera come invocazione
e relazione è esattamente ciò che non può essere sommerso. Lo
spazio della preghiera è anche lo spazio entro cui poter dire
ancora che cos'è il dolore, la gioia, la bellezza, la speranza,
il corpo.
La preghiera come luogo d'incontro dell'alterità, di ogni
alterità dice lo spazio del dono gratuito di sé, della gioia
dell'attendere, dell'incertezza, della frammentarietà, della
finitezza. Contro ogni tentativo di risposte conciliatorie e
totalizzanti.
Il problema non è, parafrasando Heidegger, che solo un dio ormai
ci può salvare, ma la consapevolezza che là dove il rischio è più
grande, lì c'è non solo la caduta, ma la speranza.