L'adunata
dei refrattari
N
Da Seattle a Washington. E, in mezzo, i mille rivoli
della protesta contro i mercanti della vita: un nuovo movimento
alla ricerca di un agire comune
LUCIANA CASTELLINA
Fu un inizio: da allora, quasi ogni anno, con alti e bassi, si
sono succedute iniziative analoghe in giro per il mondo, dando
continuità soprattutto al vertice dei 7 paesi più poveri del
mondo, che , puntualmente, si è riunito in parallelo a quello dei
7 più ricchi. La parola "globalizzazione" non era ancora in uso,
ma erano già stati individuati i santuari dei nuovi poteri, ormai
transnazionali.
Poi, per qualche anno, sembrò che il movimento si fosse esaurito.
Era in realtà un fiume carsico, che si era semplicemente
interrato per un tratto, e poi è riemerso. Con una differenza,
però, e notevole rispetto all'andamento delle acque della
venerata montagna: nel riaffiorare il ruscello è diventato un
grande torrente che si dirama in mille rivoli. Un salto di
dimensioni e di qualità politica: nel movimento che riconosce
come controparte decisiva del proprio operare le grandi
istituzioni economiche internazionali ci sono soggetti nuovi e
impensabili compagni di strada negli anni '80, come i sindacati e
le istituzioni religiose; c'è un intreccio reale con pezzi delle
stesse istituzioni e dunque un impatto e un'eco politico
straordinario. C'è, infine, una continuità di appuntamenti di
protesta che non lascia tregua e impone ai media di dare ormai
visibilità costante ai summit ufficiali, prima un po'
clandestini, così come ai contro-summit di massa che puntualmente
li accompagnano.
Seattle, ormai mitica capitale del nuovo movimento, è stata il
luogo di partenza di una multicolorata carovana, intenzionata a
percorrere il mondo. Ora è giunta a Washington, dove si svolge
l'annuale incontro di ministri delle finanze e di banchieri, qui
convenuti per il vertice del Fmi e della Bm, preceduta
dall'accreditamento di 1700 giornalisti, affannati a correre
dietro alla veglia a lume di candele promossa dal sindacato dei
siderurgici, alle preghiere collettivamente recitate nelle chiese
per le "vittime" delle due illustri istituzioni, ai "teach in",
alla catena umana attorno al Campidoglio, ai pranzi elitari e a
quelli popolari, tutte cose promosse da un impressionante numero
di Ong di cui si è già pubblicato il "who is who". E che per le
tante manifestazioni nella capitale americana hanno persino
saputo allestire cucine e cliniche da campo e una rete di
collegamenti (in bicicletta "non contribuiremo al guasto
dell'ambiente motorizzandoci") per recapitare pasti e
comunicazioni.
Anche in Italia un salto di qualità c'è stato con l'intesa per
una comune e permanente azione per combattere gli effetti
perversi della globalizzazione sancita un mese fa fra Lega
Ambiente, Cgil, Cisl, Uil, Acli, Agesci, Arci, Cocis, Ics, Uisp.
Ed è la prima volta che un patto fra soggetti così diversi viene
stabilito e su una tematica così complessa. C'è solo da augurarsi
che l'ampiezza del fronte, e la sua interna varietà, anziché dar
luogo a un comune denominatore troppo minimo, a incapsulare
ognuno dentro un generico moderatismo, serva a attivare una
dialettica reale, un confronto coraggioso e scoperto fra
interessi e culture diversi.
Negli Stati Uniti questo non è ancora riuscito (di più in
Francia) e infatti anche in questi giorni emergono contraddizioni
vistose nelle stesso movimento che occupa le strade di
Washington. E però questa contraddittorietà politica è lì
riscattata da una comune tensione etica, attorno ai valori della
contestazione, e da un diffuso radicalismo nei comportamenti, che
porta in strada decine di migliaia di persone, colletti blu e
bianchi; e tonache. In Italia non è ancora accaduto.
Complessità, contraddizioni, necessità di approfondimenti per
contrastare con efficacia il contrattacco già partito - dopo una
fase di sbigottita paralisi - da parte dell'establishment
internazionale. (Vedi anche l'articolo di Dornbush su
Repubblica di sabato).
Vorrei enumerare schematicamente alcuni punti di riflessione
necessaria, premessa per una comune e combattiva agenda di inizio
millennio.
1) E' vero che nel 1999 le ex tigri asiatiche, malconce per i
colpi della crisi subita nel '97-98, conoscono una significativa
ripresa; e così alcuni paesi dell'America latina e dell'est
europeo. E però questo è dovuto anche a qualche segno di saggezza
intervenuto in quei governi che, finalmente hanno cominciato a
rendersi conto degli effetti perversi della selvaggia
fluttuazione dei capitali internazionali. Qualche misura per
contenere i comportamenti più speculativi è stata presa, ma se
non ci fosse stato il potente movimento di denuncia contro le
istituzioni internazionali si può ben dire che queste avrebbero
continuato a decantare la bellezza della più dissennata e
deregolata liberalizzazione.
In secondo luogo il valore generale delle cifre dei "successi"
del '99 nei paesi emergenti o appena emersi va assai
ridimensionato: la crescita riguarda pur sempre una sottile
fascia di regioni e di ceti sociali, che convive con accresciuti
drammatici degradi. Ancor più falsificante è il dato relativo
alle loro assai trionfalmente decantate esportazioni: quanto
resta nei paesi d'origine del prezzo pagato in Occidente per quei
prodotti "made" nel terzo mondo è poco o nulla, una volta
detratta la quota della commercializzazione, delle assicurazioni,
dei trasporti, delle materie prime non locali, ecc. In realtà
quanto è in atto è un gigantesco trasferimento di reddito: nel
secolo XIX il cotone si produceva in India ed era Londra che si
impadroniva del valore aggiunto della manifattura tessile, oggi
la manifattura è nella periferia e il valore aggiunto nel
terziario che globalizza il prodotto, e questo è nelle mani delle
attuali metropoli.
2)Il più spinoso dei problemi, esploso ora con la protesta
dell'Afl-Cio contro l'ingresso della Cina nell'Omc. Può darsi che
per il popolo cinese sia meglio restarne fuori, ma non spetta a
quello americano - nemmeno alla sua parte migliore - deciderlo.
Se lo slogan diventa "no alla Cina" in nome del non rispetto in
quel Paese dei diritti democratici e degli standard ecologici, la
solidarietà resta pelosa, puzza di protezione del proprio posto
di lavoro punto e basta. Non si portano accordi sindacali dal di
fuori, la globalizzazione proletaria (pardon, scusate la parola
retrò) non esiste, l'internazionalismo era reciproco appoggio e
quel reciproco, quella particella "inter" che presuppone due
soggetti diversi da connettere, erano essenziali a far capire che
il vero aiuto consisteva soprattutto in un aiuto ad esprimersi
autonomamente, non nell'esprimersi al posto degli altri. A
Seattle dei passi avanti nel dialogo fra lavoratori del nord e
del sud si erano fatti, a Washington mi pare si sia invece andati
indietro. Nemmeno il governo cinese, per altro, intende entrare
senza condizioni nella Omc, e così molti altri paesi in via di
sviluppo, e sono gli Usa e l'Ue a volergli invece imporre un
catastrofico tutto o niente, e cioè: o esclusione dal commercio
mondiale o annullamento di qualsiasi regola nazionale intesa a
proteggere lo sviluppo di economie assai fragili.
In particolare la Cina vuole sottrarsi, entrando nell'Omc, al
ricatto dell'attuale verifica annuale di Washington, che apre o
chiude il proprio mercato all'export cinese non proprio in nome
della democrazia. Un dialogo non demagogico o generico su questi
temi con gli interessati, e poi un'iniziativa appropriata,
potrebbe rappresentare una specificità del movimento italiano.
3) Riformare o abbattere Fmi, Bm e Omc? Il dilemma mi sembra
francamente di lana caprina. E' evidente che occorrono nuove
regole internazionali e non l'anarchia che giova solo al più
forte e che per dar loro vita è necessario ripensare al mondo di
Bretton Woods. Quanto oggi è all'ordine del giorno è questo
ripensamento e un nuovo progetto strategico che conquisti
egemonia.
Per ora su questi temi, nonostante il dato nuovo e positivo sia
l'estendersi - anche a livello teorico - dei dubbi sul dominante
integralismo globalizzatorio, si è proceduti poco. Ecco una
tematica su cui l'intreccio fra movimento di lotta -
indispensabile - intellettuali e istituzioni è vitale. Da fare,
insomma, c'è molto. Nel '99, grazie a Seattle, si sono fatti
passi da gigante. Ma - come si diceva una volta - ce n'est
q'un début.