CROAZIA IL LUNGO CAHIER DES DOLÉANCES DELLA MINORANZA
- GIACOMO SCOTTI - KNIN
A Knin, ex capitale della Krajina, la regione della Croazia abitata prevalentemente da serbi fino all'agosto 1995, i serbi rimasti non hanno oggi alcun rappresentante negli enti locali. La città e la regione sono state "croatizzate" radicalmente - colonizzate per lo più con bosniaci di etnia croata arrivati nella tarda estate del '95 da Banja Luka e da altre regioni della "Repubblica Serba" di Bosnia. E poiché la leadership nei comuni è tuttora nelle mani di estremisti nazionalisti, cioè dei commissari prefettizi insediati a suo tempo da Tudjman e dal suo partito, è difficile che le nuove autorità centrali - emanazione del governo democratico - riescano a indurre quelle locali a "dedicare maggiore attenzione alla soluzione dei problemi dei serbi". Non è facile estirpare le radici velenose e avvelenate del tudjmanismo nei territori che, più degli altri in Croazia, sono stati sottoposti alla decennale semina dell'odio e sono stati teatro, con la guerra, di orribili delitti.
I "problemi dei serbi", come li intendono i maggiori esponenti di quella che, nonostante le pulizie etniche, resta la più numerosa minoranza nazionale in Croazia, sono questi: l'applicazione dei documenti sulla tutela delle popolazioni ortodosse nelle regioni della Slavonia orientale, Baranja e Srijem, documenti firmati (controvoglia) dall'ex regime con le organizzazioni internazionali e finora rimasti quasi tutti lettera morta; la coerente realizzazione del "Programma di rientro dei profughi" e della restituzione dei beni immobili (case e terre) dei profughi serbi, che l'ex regime ha assegnato ai coloni croati insediati in quelle regioni; l'applicazione di un vecchio documento, controfirmato dall'Onu, per l'"instaurazione di un clima di fiducia e tolleranza interetnica"; l'applicazione della legge costituzionale che dovrebbe regolare la posizione della minoranza serba in Croazia (ad oggi regolarmente violata); il varo - finora boicottato - di una "legge sull'uso della lingua e della scrittura delle minoranze etniche" che serbi, italiani, ungheresi ed altre comunità attendono da oltre due anni.
Insieme a tutte le altre minoranze, i serbi chiedono pure la riforma della legge elettorale. Quella imposta da Tudjman e tuttora in vigore li discrimina. Oggi un cittadino croato di etnia non-croata che si reca alle urne, deve scegliere fra il voto etnico e il voto politico. Nell'uno e nell'altro caso viene violata la sua integrità, il suo nome viene iscritto in un elenco speciale e in tal modo la polizia o qualsiasi altro servizio può sorvegliare chiunque si dichiari "diverso". L'essere poi riconosciuto come etnicamente non-croato fornisce agli sciovinisti, nazionalisti e fascisti - e sono ancora tanti in Croazia - di minacciare, discriminare e talvolta aggredire fisicamente chi ha il coraggio di dichiararsi etnicamente diverso.
Così alle elezioni del 3 gennaio scorso i cittadini di etnia serba o hanno disertato le urne, oppure, per paura, si sono mimetizzati negli elenchi elettorali della maggioranza, rinunciando in buona parte al voto etnico. Chi ha scelto di votare per il collegio che esprime il seggio etnico ha dovuto firmare una speciale dichiarazione, accettando di finire nel dossier delle questure provinciali. Altro che voto segreto.
L'attuale legge elettorale croata è dunque segregazionista, oltre che discriminatoria per tutte le minoranze; quindi andrebbe cambiata al più presto. Ma è discriminatoria soprattutto per i serbi, i quali - in base al numero degli aventi diritti al voto (256.919, senza contare gli oltre trecentomila profughi fuori della Croazia) - potrebbero mandare 11 o 12 deputati al Parlamento croato.
All'epoca dell'ex Jugoslavia i deputati serbi nell'Assemblea della Repubblica socialista di Croazia erano un terzo del totale. Subito dopo la secessione, con l'ascesa al potere di Tudjman, furono loro concessi 13 seggi; in vista delle operazioni "Tempesta" e "Lampo" i seggi garantiti furono ridotti a tre; dopo quelle sanguinose operazioni di pulizia etnica ai serbi venne concesso un solo seggio garantito.
Così per la prima volta, proprio nel primo parlamento non dominato dall'Accadizeta tudjmaniana, i 257mila elettori serbi di Croazia hanno un solo rappresentante, mentre per l'elezione di ciascuno dei 145 deputati di nazionalità croata sono bastati in media 25mila voti. So che il lettore è imbarazzato, ma non è facile spiegare il complicatissimo, direi quasi diabolico sistema inventato per le minoranze, che finiscono per avere in parlamento - e intendo tutte le 13 o 14 minoranze in Croazia - lo stesso numero di deputati, sei in tutto, quanti sono quelli assegnati ai croati della cosiddetta "diaspora" che numericamente sono tre volte di meno. Per la cronaca, i voti della minoranza serba sono andati: 31.324 al seggio etnico, l'unico garantito, 26.196 a due partiti nazionali (Partito nazionale serbo di Milan Djukiv e Partito democratico autonomo serbo di Vojslav Vukmirovic e Milorad Pupovac), evitando così di dichiararsi non-croati. Più di 90.000 hanno disertato le urne.
Dell'aspetto profondamente ingiusto di questa legge si potrebbe dire a lungo, ma ci fermiamo qui. Non senza prima aver annotato che l'abrogazione di questa e di tante altre norme della legislazione croata è indispensabile: esse, finora, hanno esposto serbi ed altre minoranze alla pubblica umiliazione.
Per quanto riguarda i serbi in particolare, va anche detto che una parte di responsabilità ricade sui loro leader politici. Fra i partiti che li rappresentano c'è, intanto scarsissima collaborazione; profonde sono pure le distanze programmatiche. Di queste divergenze ha approfittato l'ex regime per meglio condurre la sua politica persecutoria.
Negli ultimi tempi, tuttavia, quasi tutte le associazioni sociali e culturali dei serbi in Croazia si sono riunite sotto l'egida del Consiglio nazionale serbo di Croazia presieduto dal professore universitario Milorad Pupovac - un socialista - e forse questa sarà la strada migliore per salvaguardare i loro interessi e diritti di minoranza, collaborando con le altre forze democratiche, senza riguardo alle appartenenze nazionali. Su questo punto i serbi hanno seguito l'esempio della minoranza italiana, le cui organizzazioni fanno capo all'Unione italiana. C'è anche da dire che negli ultimi cinque-sei anni il deputato italiano al seggio garantito Furio Radin - di fronte alla disgregazione delle comunità serbe in croazia fatte segno a persecuzioni - si è fatto carico anche dai loro interessi. Ora, nella sua qualità di presidente del Comitato parlamentare per i diritti umani e delle minoranze, Radin ha indicato fra i compiti prioritari la soluzione del "problema serbo" in Croazia.
Citiamo la sua dichiarazione: "Innanzitutto mi batterò affinché in futuro i serbi siano proporzionalmente rappresentati in parlamento: non meno di sette deputati stando al numero dei rimasti, e il doppio se rientreranno a casa i profughi. Il governo croato ha l'obbligo di operare per il rientro del maggior numero possibile di profughi, senza riguardo alla loro etnia; a tutti dev'essere permesso il rientro, senza discriminazioni, perché nessuno è andato via per il proprio piacere, sono vittime di una guerra non voluta. Dobbiamo farli tornare a casa non perché abbiamo preso un impegno di fronte alla comunità internazionale, ma per giustizia".