ISRAELE NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE I TURCHI UCCISERO UN MILIONE E MEZZO DI ARMENI
- RICCARDO CRISTIANO - GERUSALEMME
L a sosta del papa al patriarcato armeno non era prevista nel programma ufficiale della visita. Poi la variazione, e molti hanno ovviamente pensato che fosse per via del mancato viaggio in Armenia, per il desiderio di Giovanni Paolo II, coinvolto tra tanti dolori e orrori nella Terra santa, di esternare la sua solidarietà anche al popolo armeno, colpito dal primo genocidio di questo terribile secolo in Turchia durante la prima guerra mondiale, nel 1915, quando un milione e cinquecentomila armeni furono sterminati con ferocia dai soldati di Istanbul.
Soltanto dopo abbiamo sentito che la vera ragione sarebbe stata un'altra, la necessità "diplomatica" di salutare i co-guardiani dei luoghi santi della Terra santa. Ignari di ciò, appena appreso della variazione, abbiamo pensato di chiedere un incontro al patriarca armeno di Gerusalemme, Tarkon Magoonian. Anziano, come si addice a un patriarca, Magoonian è un personaggio schivo, a prima vista sospettoso. Prima di cominciare il colloquio ci ha chiesto cosa intendessimo chiedergli e ha subito aggrottato la fronte. "Non intendo interferire con il programma e le intenzioni del papa, non mi fa piacere rispondere a domande di questo tipo. Se il papa sa quello che è successo agli armeni, sarà una sua libera scelta dire qualcosa al riguardo. Io non intendo usare i giornalisti per spingerlo, per costringerlo a ricordare il massacro degli armeni".
Un uomo inusuale da queste parti Tarkon Magoonian, inusualità resa ancor più sorprendente in queste ore. Tutto sommato i suoi genitori sono due di quel milione di armeni che nel 1915, a differenza di un milione e mezzo di loro connazionali, riuscì a sottrarsi al genocidio rimosso, al genocidio dimenticato. I Magoonian fuggirono dalla Turchia verso l'Iran, a piedi. Poi si rimisero in cammino alla volta di Baghdad e quindi attraverso il deserto fino a Gerusalemme, dove arrivarono nel 1930. Tarkon, nato in un campo profughi nel deserto, aveva dodici anni.
Proviamo a spingerlo a dire qualcosa dei tanti governi che non hanno ancora speso una parola sul massacro degli armeni, e soprattutto di quello israeliano, che non ama si usi il termine "genocidio". Si limita a dirci che un popolo aspetta da quasi un secolo di non dover più peregrinare di storico in storico per dimostrare che un genocidio è genocidio, ovunque accada. Gli occhi si fanno piccoli quando gli ricordiamo del film statunitense sul genocidio fatto ritirare ancora negli anni ottanta dal dipartimento di Stato a causa delle pressioni turche, ma rimane se stesso e sibila soltanto: "il nostro genocidio non venne riconosciuto nel 1915 e neanche negli anni venti".
Non c'è ostentazione in queste parole, solo un modo sottile per ricordarci che le grandi potenze europee, dopo la fine della prima guerra mondiale, piuttosto che risarcire gli armeni dando loro una patria, preferirono venire a nuovi termini con le autorità turche per calcoli legati fondamentalmente agli interessi economici. "Erano tre milioni gli armeni in Turchia, ne sono rimaste poche migliaia, vorrei sapere da qualcuno cosa è successo degli altri".
Assorbiti, o meglio integrati nella comunità palestinese, gli armeni sono sempre di meno a Gerusalemme. "Noi qui abbiamo costruito dal 301 in poi 70 monasteri, la nostra chiesa è stata la prima a ottenere il riconoscimento dalle autorità turche, siamo parte della storia di Gerusalemme, ma siamo sempre di meno"; non lo dice, ma non nega che sia più vero parlare di mille armeni più che di duemila. Sono le nuove leggi che impediscono alla comunità armena di resistere. L'occupazione israeliana infatti non consente l'immigrazione nel paese altro che di ebrei, e la comunità armena è afflitta da una progressiva riduzione per via dell'emigrazione, dovuta alle difficoltà economiche di chi vive soprattutto del mercato palestinese, sempre più separato da Gerusalemme. Ma anche questo dolore, quello di vedere gli armeni assottigliarsi sempre di più, quasi sparire dal panorama della città dove non è nato, ma dove è sempre vissuto, prima come profugo, poi come armeno, oggi come patriarca, Tarkon Magoonian si limita a esprimerlo con un sospiro, quasi timoroso che anche questo, come nel caso della domanda sul papa, sembri una supplica, una richiesta.
La visita al patriarca armeno più che un'intervista diviene una piacevolissima occasione di conoscere un uomo. Il papa sta per andare dagli armeni, ma nella sede del patriarcato armeno non c'è la fila di giornalisti, con o senza appuntamento.