EL SALVADOR-INTERVISTA
"Romero difendeva i poveri,
perciò fu assassinato"
Parla Sobrino, l'unico scampato al massacro
Vent'anni dopo, migliaia di persone in piazza
- GIANNI BERETTA
- SAN SALVADOR
M
igliaia di persone si sono riunite ieri nella piazza
Salvador del mundo della capitale salvadoregna per commemorare il
ventesimo anniversario della morte di monsignor Oscar Arnulfo
Romero, arcivescovo di San Salvador, assassinato dagli squadroni
della morte mentre celebrava la messa il 24 marzo 1980. A
presiedere l'atto religioso è stato il cardinal Roger Mahomi di
Los Angeles, la città degli Stati uniti a maggiore concentrazione
di emigrati salvadoregni. Ma nei giorni precedenti si erano
recati sulla tomba di Romero (che riposa nella cripta della
cattedrale di San Salvador) monsignor Samuel Ruiz dal Messico,
Dom Pedro Casaldaliga dal Brasile e numerose delegazioni da tutto
il mondo. Sulla figura di Romero, a venti anni dalla sua violenta
scomparsa, abbiamo conversato con l'unico casuale sopravvissuto
del massacro dei gesuiti della Università centroamericana,
avventuo nel 1989, Patri John Sobrino, direttore del Centro Oscar
Romero.
Patri Sobrino, perché Romero fu ucciso?
Monsignor Romero amava i poveri e li difese. Diceva la
verità e dava fastidio. Per questo lo hanno ammazzato. Non c'è
nulla di mistico nella morte di Romero. E' una storia vecchia
come l'umanità: colui che dice la verità contro l'oppressore
viene ammazzato. Romero sapeva che rischiava molto, le minacce
non erano mancate. Eppure il giorno prima della sua morte, dal
pulpito, si rivolse ai soldati dicendo: "Fratelli, fate parte
dello stesso popolo; e di fronte a un ordine superiore di
uccidere, dovete ascoltare la voce di dio, che dice non
uccidere". Fu la sua condanna a morte, e il suo testamento.
Come si spiega che il tributo di sangue della chiesa
salvadoregna sia stato così elevato?
Effettivamente abbiamo perso due vescovi (viene sempre
dimenticato monsignor Joaquin Ramos nel 1993, cappellano militare
inviso alle forze armate), sedici sacerdoti, cinque religiose e
centinaia di catechisti e delegati della parola. Lo stesso è
accaduto in Guatemala. Perché? Credo che le oligarchie di questi
paesi, che si sono rivelate particolarmente crudeli, si siano
infastidite di sentirsi dire in faccia la verità nel nome di
dio.
Sono crimini rimasti impuniti?
A livello giudiziario sì, anche se nel 1993 la Commissione
della verità in molti casi ne ha individuato i responsabili in
alti ufficiali dell'esercito, poi graziati dall'amnistia e
mandati in pensione. Ma l'impunità non è stata totale. In fin dei
conti, oggi chi si ricorda più dell'ex maggiore D'Abisson
(mandante dell'assassinio di monsignor Romero), degli squadroni
della morte o dei battaglioni di elite? Mentre Romero e il resto
dei martiri continuano a essere testimonianza vivente.
L'opzione preferenziale per i poveri di monsignor Romero ha
avuto come primo antagonista papa Wojtila.
Non vi è dubbio che il Vaticano e il presente papa abbiano
quantomeno frenato la teologia della liberazione. Ma attenzione:
i suoi principali nemici sono stati Nelson Rockfeller, i
presidenti Nixon e Reagan, così come i generali latino
americani.
Eppure oggi la gerarchia cattolica salvadoregna è stata
normalizzata con l'avvento dell'arcivescovo dell'"Opus dei"
Fernando Saenz Lacalle, che è stato perfino generale castrense in
questo esercito.
Credo che la santa sede, dopo monsignor Luis Chavez,
monsignor Romero e monsignor Rivera Y Damas, tutti a loro modo
difensori dei deboli, si sia stancata che l'arcivescovo di San
Salvador fosse sempre in contrasto con le autorità di governo di
questo paese e abbia voluto cambiare con un ecclesiastico di
altro genere, vicino ai potentati. Non è un caso che proprio lui
sia finalmente riuscito a completare il restauro della
cattedrale, distrutta in un incendio più di cinquanta anni fa,
ottenendo le donazioni dei ricchi.
A distanza di vent'anni, com'è il Salvador di oggi?
Povero come e forse più di prima; con un quinto di
salvadoregni emigrati negli Stati uniti e un livello elevato di
violenza quotidiana. Certo non c'è più la guerra, e i suoi
contendenti si misurano oggi in Parlamento. Ma il disincanto è
grande; l'astensionismo delle elezioni della scorsa settimana è
stato del 65 per cento. E' solo la forza della vita che impedisce
che questo paese si disintegri totalmente.
Che rimane del sacrificio di Romero e di quelli come lui?
Hanno mostrato che in un mondo crudele l'amore è possibile.
Che in un mondo di menzogne la verità è possibile.