Le operaie senza nome

PALUMBO RAFFAELE

Le operaie senza nome

- RAFFAELE PALUMBO -

E ra il 19 novembre del 1993 quando a Shenzhen, zona economica speciale nella Cina meridionale, prese fuoco la Zhili Handicraft, una fabbrica che produceva giocattoli per alcune multinazionali occidentali tra cui la Artsana Spa/Chicco. Morirono 87 operaie, altre 47 rimasero ferite. I dirigenti dell'azienda aveva pensato bene di bloccare con catene tutte le uscite di sicurezza e mettere alle finestre sbarre d'acciaio.

La fabbrica, a capitale hongkonghese, era già nota per essere del tipo "tre in uno": il magazzino, l'officina e il dormitorio convivevano nello stesso edificio e il corto circuito che causò l'incendio bastò a provocare una carneficina, facilitata anche dalla pratica di tenere le lavoratrici recluse. Già nel marzo del '93 la fabbrica aveva avuto problemi per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza, eppure due mesi dopo aveva ottenuto senza difficoltà permessi e certificati di sicurezza.

Le lavoratrici che fino ad allora avevano prodotto i giocattoli della Chicco avevano turni di 10-15 ore al giorno, con un solo giorno di riposo mensile. Inoltre, durante il periodo di maggior lavoro era consentito usare i gabinetti solo in precisi momenti, e a volte la catena produttiva doveva andare avanti anche di notte. Tutto questo per 25 dollari americani al mese. O, se preferite, 47.500 lire.

Oggi, a sei anni dall'incendio, la Hong Kong Safe Toy Coalition (Coalizione per la Produzione in Sicurezza dei Giocattoli), organizzazione con sede ad Hong Kong, denuncia che i fondi destinati al risarcimento non sono mai arrivati alle vittime e sono stati dirottati verso altri progetti. "Dall'ottobre del 1997 la Artsana/Chicco - sostiene la Toy Coalition - ha ripetutamente annunciato l'impegno a pagare un risarcimento totale di 300 milioni alle vittime del rogo, tramite la Caritas di Hong Kong. Finora nessuna delle vittime ha ricevuto denaro o altro. Anzi, dall'azienda fanno sapere che il denaro ha avuto altre destinazioni. Denaro che, come è intuibile, per i feriti e i familiari delle vittime del rogo è di importanza vitale, visto il costo delle cure a cui si sono dovute sottoporre e l'impossibilità di lavorare".

La pesante denuncia della Toy Coalition ha suscitato vivaci reazioni delle parti in causa, che non sono solo Artsana e Caritas, ma anche la Cisl internazionale, che ha avuto un ruolo di primo piano nel negoziare con la Chicco il risarcimento. La Cisl si difende accusando le autorità cinesi, che fin dal primo momento hanno fatto capire di non gradire intromissioni in questa terribile storia e alzato un muro di silenzio contro il quale è andata a sbattere ogni richiesta di avere una lista completa delle vittime.

La Toy Coalition aveva in realtà inviato alla Cisl una prima lista di 40 nomi di vittime, con i dati completi solo di 17 persone. La spietatezza burocratica, acuita dall'indisponibilità delle autorità cinesi, vuole però che senza una lista completa sia difficile procedere ai risarcimenti - anche se si sta parlando di una cifra irrisoria, l'equivalente di 300 milioni di lire (bisogna pensare che per la Artsana, e anche per i sindacati italiani che hanno condotto la trattativa, la vita di un cinese morto o invalidato a vita vale meno di tre milioni). La Caritas, da parte sua, afferma che dopo un certo periodo di tempo non poteva più tenere nelle sue casse i soldi che le erano stati affidati. Di qui la decisione di usarli per progetti sociali (la costruzione, in collaborazione con l'Unesco, di tre scuole elementari in zone della Cina squassate dalle alluvioni, e di tre laboratori di fabbricazione di protesi per disabili).

Progetti utili, nessun dubbio, ma resta il fatto che le famiglie di 87 operaie bruciate nel rogo non avranno nulla che riempia almeno il vuoto materiale lasciato da quelle morti, e i 47 lavoratori gravemente ustionati dovranno continuare ad affrontare da soli le fortissime spese richieste dalle cure. Forse poteva andare in un altro modo, e forse non è tardi perché in un altro modo questa terribile storia finisca, come spiega in questa stessa pagina Sze Kontau, della Toy Coalition.

Resta una domanda: l'Artsana ha preso con i sindacati italiani l'impegno di applicare e far applicare un codice di condotta nelle fabbriche estere che producono per lei, ma chi potrà mai garantire che quel codice sia davvero applicato, se non si riesce neppure ad avere dalle autorità cinesi un elenco di nomi?

Per maggiori informazioni, visitare in Internet la homepage del rogo della Zhili: http://www.hknet.com/. Per informazioni in italiano: http://www.manitese.it/boycitt/boycott.htm. L'indirizzo elettronico della Hong Kong Coalition for the Safe Production of Toy è: amrc

pacific.net.hk.

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