PROCREAZIONE ASSISTITA
D i emergenza in emergenza, di strappo in strappo la fecondazione assistita è approdata nell'aula del senato. L'obiettivo di ottenere una legge a tutti i costi sarebbe ora giustificato dalla recente ordinanza della pretura romana sulla prestazione d'utero. Di fronte all'effettiva disponibilità a vivere in modo diverso maternità e paternità si è di nuovo gridato allo scandalo del far west procreativo; cioè, alla mancanza di una regolazione giuridica delle tecniche e dei rapporti che ne conseguono. Paradossalmente l'ordinanza dimostra che le norme esistenti offrono criteri di orientamento per la soluzione dei casi concreti. Se c'è una riflessione da fare sul ruolo che la legge può e deve avere, in una materia come questa, è proprio sul vantaggio, e la necessità, di ragionare in modo più duttile e aderente alle particolarità di ogni singola situazione, invece di inseguire l'imposizione di modelli ideali di genitori, rigidi e prescrittivi.
Non è infatti il tanto deprecato vuoto di legge a motivare un'urgenza tale da interrompere, in senato, la discussione nella commissione di merito per precipitare il voto in aula. E' semmai un malinteso primato dell'etica, volto a sancire per legge valori inderogabili, che rischia di portare all'approvazione di una legge-manifesto: si affida alla rilevanza simbolica della norma penale la messa al bando morale di scelte e comportamenti, innanzitutto femminili - come nel caso della maternità surrogata o dell'accesso alla procreazione assistita di donne singole -, estranei all'unico modello di famiglia "normale", quello "secondo natura".
Poco sembra preoccupare il legislatore che questo intento porti a un vero e proprio far west giuridico, con ulteriore declino e discredito del parlamento e della funzione del diritto. Basta considerare la proibizione della pratica più diffusa, la fecondazione con seme di donatore, per chiedersi se la regolamentazione sociale sia stata mai davvero un obiettivo del parlamento. E' di tutta evidenza infatti che in questo come in altri casi proibire non ha altro effetto pratico, se non quello di favorire la clandestinità o il turismo procreativo.
C he la scelta del proibizionismo a tutto campo vada in direzione opposta a quella sociale è di facile comprensione, se solo si presta attenzione ai mutamenti avvenuti, nella sessualità e nella procreazione, ben prima e oltre l'ambito di intervento delle tecniche. Mutamenti dovuti - va detto a costo di ripetersi, ma non è mai abbastanza - in primo luogo all'autonomia femminile. Quali sono, allora, le ragioni che portano all'esame del parlamento una legge che, con molta verosimiglianza, è poco condivisa nei principi e inapplicabile nella pratica?
Da parte cattolica non è nuova la tendenza a ricorrere alla legge per far coincidere l'etica pubblica con le proprie credenze. Nuovo è però il modo con cui questo intento viene perseguito e trova margini di manovra ed efficacia, più insidiosi del passato. La pretesa dei cattolici, oggi divisi in opposti schieramenti politici, di farsi portatori diretti in parlamento del dettato pontificio non trova riscontro, almeno in linea di principio, nell'atteggiamento della Dc di un tempo, che doveva inevitabilmente proporsi il compito della mediazione laica con le altre concezioni del mondo. Di qualità inedita è anche l'appello a serrare le fila, rivolto dal papa ai cattolici in parlamento, in modo sempre più ricorrente e pressante. Davvero impressionante, anche per chi come noi vi è abituata almeno dall'approvazione della legge sull'aborto, l'escalation di questi tempi: dagli anatemi contro lo sfregio al giubileo e alla città santa del raduno gay; a quelli contro la scuola pubblica; a quelli, per la verità i più insistiti, sull'aborto e la legge in questione, fino all'invito a respingere - addirittura! - la decisione di Strasburgo sul riconoscimento delle coppie omosessuali.
Tale e tanta arroganza segnala non già la forza delle concezioni cattoliche, ma la loro debolezza. La Chiesa sembra non aver altro mezzo per parlare a uomini e donne, e per trovarne ascolto, che non quello di imporre loro, con la norma penale, l'etica che propugna.
S eppur fragile rispetto alla società, la pretesa cattolica conquista crescenti spazi di manovra e, soprattutto , può vincere, anche per la scarsa convinzione ed iniziativa delle forze laiche e di sinistra, accompagnata ad una grande confusione nel merito come nel modo di porsi rispetto ai protagonisti sociali. In particolare nella sinistra, la recente fortuna delle idee liberal non ha in alcun modo scalfito il paternalismo verso i soggetti che caratterizza la sua tradizione storica. Questo ha sempre reso più formale che sostanziale la sua adesione al principio costituzionale della laicità dello stato, e ha nutrito, e tuttora nutre, la sua diffidenza nei confronti della libertà e responsabilità personale. Solo per indicare alcuni titoli di questo radicato atteggiamento: le oscillazioni e i ritardi sul divorzio; le resistenze ad assumere la rilevanza dell'aborto; le recenti fortune dell'ideologia sulla tolleranza zero; il travisamento del concetto di scuola laica in monopolio di una presunta ideologia di stato.
Quanto alla fecondazione assistita, dopo il brutto voto alla Camera avevamo apprezzato la netta presa di posizione del segretario Ds, Walter Veltroni, contro quel "pasticcio illiberale" e il suo impegno per impedire che divenisse legge. Non è purtroppo il solo esempio in cui alla solennità dei pronunciamenti non corrisponde una decisa e convinta iniziativa. Non solo il tema non ha mai avuto il rillievo che meritava nel dibattito e nella politica del partito. Ma al senato il capogruppo Ds ha fatto propria l'urgenza dell'approvazione di una legge, anche a costo di licenziare il suddetto "pasticcio illiberale".
Siamo convinte che questa contraddizione tra il dire ed il fare sia dovuta principalmente ad una sottovalutazione della importanza politica di questa come di altre questione che attengono ai rapporti tra i sessi, in particolare nella sessualità e procreazione. Nonostante il femminismo, nonostante tanta politica da noi stesse e da tante altre donne prodotta anche in rapporto con la sinistra, le priorità e il nocciolo sostanziale della politica sono tuttora collocate nel tradizionale ambito economico-sociale, per quanto attiene alla rappresentanza e al consenso, e nei rapporti tra le forze politiche per quanto attiene alle necessarie mediazioni tra culture differenti. Questo, tra l' altro, da sempre determina, quanto all'etica, una posizione seconda, per non dire una delega, neppure tanto implicita, della sinistra ai cattolici.
I n verità, dietro il richiamo al primato dell'etica risalta una forte indifferenza al merito dei problemi e una smaccata strumentalità politica. Non è difficile intravedere dietro le mosse attorno alla legge il riflesso delle convulsioni che attraversano coalizioni e forze politiche: dalle manovre per ricostruire il grande centro che spinge a ridare visibilità all'unità dei cattolici, aldilà degli schieramenti, alle preoccupazioni dei Ds di non esasperare le frizioni con i popolari nel centrosinistra.
Questo lo scenario nel quale prende consistenza il rischio che si voti una legge lesiva dell'autonomia de/delle singoli/e, e, allo stesso tempo, della funzione del legislatore. Nel caso malaugurato che ciò si avverasse, dovremmo impegnarci da subito per promuovere la sua abrogazione, con un referendum popolare.
E' proprio la consapevolezza di questa prospettiva, e della sua ineludibilità, a farci percepire con forza non solo l'indignazione per queste pratiche di scambio politico, sempre più scoperte e misere, ma anche la difficoltà a contrastarle, poiché contribuiscono non poco ad acuire la disaffezione e la sfiducia nella politica delle istituzioni.
Se la battaglia contro questa legge è una necessità, lo è proprio perché discutere di ciò che la legge deve o non deve proibire costituisce il principale ostacolo a pensare, e confrontarsi tutti e tutte, in merito al senso delle nuove possibilità di maternità e paternità che le tecniche prefigurano. E ai desideri e fantasie che attivano. L'urgenza reale è infatti quella che nessuna legge può di per sé soddisfare: l'urgenza cioè di interrogare quanto accade e farne interrogare le proprie certezze.
Per restare all'ultimo "caso", quello dell'utero surrogato, non è la legge, o la distinzione tra lecito e illecito, che ci permette di comprendere le scelte dei soggetti e le loro possibili implicazioni. A fare scandalo è l'offerta del corpo femminile per dare compimento a un progetto di vita. Ma il "prestito" di utero non è in sé nuovo, essendo narrato nella Bibbia, e la maternità oblativa viene da tempo auspicata, da parte cattolica, per tutelare il "diritto" alla vita, ad esempio nelle donazioni di embrione, previste dal testo di legge, o nelle adozioni prenatali. Il dono cioè va bene se, come avvenne anni fa, un vescovo invita le donne italiane a farlo, affinché non vengano distrutti gli embrioni sovranumerari congelati nella banche di Inghilterra. E' invece un intollerabile snaturamento se configura uno scambio volontario tra donne. E' evidente che questo si teme, più ancora della riduzione a merce, a forza riproduttiva, del corpo femminile.
S iamo convinte che il rifiuto della maternità surrogata è posto a tutela non delle donne, ma di una idealizzazione della maternità, dalla quale è arduo separarsi per le donne non meno che per gli uomini. Per questo sarebbe quanto mai utile interrogarsi su quello scambio tra donne. Quanto, in questo disporre dei corpi più libero e responsabile di un tempo, è tuttora determinante l'equivalenza essere donna-essere madre? Sia per colei che desidera un figlio "geneticamente" suo, sia per colei che vive nella gestazione la potenza di realizzare quel desiderio femminile? E quale posto ha, in questo scambio, dare un figlio all'uomo?
Queste e altre domande sono interdette, a fronte dell'esigenza primaria di non stigmatizzare comportamenti femminili difformi dal modello di maternità prescritto. Eppure solo riflettendo oltre le anguste alternative tra lecito e illecito si possono fornire le indispensabili risposte normative, senza assemblare una massa inestricabile di enunciati paradossali e contradditori, risultato della apparente semplificazione: non convince, dunque si vieta.