Sognando la Croazia Il ritorno dei profughi serbi

SCOTTI GIACOMO

INTERVISTA PARLANO MILE DAKIC E SONJA BISERKOI

Sognando la Croazia Il ritorno dei profughi serbi

Il nuovo governo di Zagabria l'ha promesso, ma rientrare è impervio

- GIACOMO SCOTTI - ZAGABRIA

A rriveranno giorni migliori per i serbi in Croazia? Si spalancheranno le porte ai profughi costretti ad abbandonarla per sfuggire ai massacri nella ex Krajina?

La speranza dei profughi serbi, cittadini della Croazia, che oggi vivono miseramente di assistenza nella Jugoslavia di Milosevic, è quella di poter tornare al più presto nelle terre in cui vivevano i loro antenati - ora che il regime nazionalistico è stato sconfitto, e si è insediato un governo democratico. Un invito in tal senso è stato rivolto loro dal nuovo capo dello Stato Stipe Mesic, e - stando a notizie raccolte telefonicamente presso l'ufficio centrale belgradese dell'Associazione che riunisce i profughi dalla Croazia - l'appello è stato ben accolto, per cui "la maggioranza non ha più paura di tornare a casa".

Dice Mile Dakic, presidente dell'Associazione per l'assistenza ai profughi e rifugiati della Croazia: "Alle promesse fatte da Mesic e dagli altri in campagna elettorale, sinceramente non avevo creduto troppo; i politici, in quelle occasioni, dicono anche cose che non pensano. Ma ora che Mesic è diventato presidente e ha rinnovato l'appello, sono molto ottimista". E aggiunge: "Mi fa piacere che a vincere sia stato Mesic perché, tra l'altro, non ha mai manifestato sintomi di serbofobia".

Lo stesso Dakic, in una dichiarazione rilasciata al quotidiano croato Novi List , ha affermato che il 2000 "sarà l'anno chiave per il ritorno, perché il nuovo governo croato - anche per rispettare gli impegni assunti con l'Unione europea, dovrà passare dalle parole ai fatti e rendere possibile un rientro massiccio dei serbi".

C'è anche da dire che l'Associazione dei profughi serbi in Jugoslavia è stata l'unica delle organizzazioni che riuniscono i cittadini croati della diaspora a inviare a Mesic un telegramma di congratulazioni dopo la sua vittoria elettorale, pubblicando anche una "lettera aperta" dove proponeva al nuovo presidente della Croazia di ricevere in udienza una delegazione di tre profughi che arriverebbero direttamente da Belgrado. Una lettera dello stesso tenore è stata indirizzata pure al nuovo premier croato Racan. Finora non c'è stata una risposta.

Le promesse fatte dagli esponenti del nuovo governo croato e dal presidente Mesic, e i loro pubblici inviti ai cittadini croati di etnia serba a tornare alle loro case, sono stati definiti "molto incoraggianti" anche da Sonja Biserko, presidente del Comitato serbo di Helsinki per i diritti umani, la quale ritiene che nel corso di quest'anno "si creeranno possibilità reali" per il rientro. Anche lei sottolinea il peso delle pressioni dall'estero sulla Croazia, che "sarà costretta a prendere concrete iniziative" per il rientro.

L'ottimismo della signora Biserko riposa anche sul fatto che "l'attuale governo della Serbia non dimostra alcun interesse di integrare nella società serba e jugoslava i profughi venuti dalla Croazia", considerati a tutti gli effetti cittadini stranieri. "Fino a questo momento, però, non è chiaro se il governo serbo è favorevole al ritorno di questi profughi nei territori croati dai quali fuggirono o furono cacciati, oppure alla loro permanenza qui. E' certo che il partito radicale e supernazionalista di Seselj cerca di strumentalizzare questi profughi e, quale partito di governo, ostacola in tutti i modi il loro ritorno in Croazia, spargendo anche oggi notizie sui pericoli che li attendono al rientro".

Il Comitato serbo di Helsinki è da cinque anni impegnato nella realizzazione del progetto "Voglio tornare a casa". Una volta alla settimana presenta al Consolato generale della Croazia a Belgrado i documenti per il rilascio dei passaporti a chi intende ritornare. Finora, rispettando le direttive del regime tudjmaniano, quel consolato ha creato mille ostacoli per scoraggiare i rientri. Dal 1955 fino alla morte di Tudjman in Croazia sono rientrati meno di 4.000 profughi serbi - nonostante le spinte fortissime delle organizzazioni internazionali -, mentre sul territorio della mini-Jugoslavia ne restano circa 300mila.

Risultati davvero deludenti. Cambierà la musica ora che al potere a Zagabria sono saliti Mesic e Racan? Come mai non sono stati licenziati l'ambasciatore e il console generale della Croazia a Belgrado, dimostratisi finora obbedientissimi esecutori della politica serbofobica di Tudjman? "Ci fa molto piacere - commenta la signora Biserko -che Mesic abbia invitato i suoi concittadini di etnia serba a tornare alle loro case, ma perché possano farlo bisogna creare condizioni favorevoli". A cominciare dalle case, che sono state distrutte oppure assegnate ai profughi croati fatti arrivare dalla Bosnia. I governi tudjmaniani hanno fatto costruire o ricostruire alcune decine di migliaia di case nella ex Krajina, ma sono andate tutte a coloni croati; nessuna per chi, nella carta d'identità, è "cittadino croato di nazionalità serba". Cesserà ora questa discriminazione?

Non possono non preoccupare episodi, "normali" all'epoca del regime di Tudjman, come quello recente a Vukovar, durante la partita di calcio fra la zagabrese "Dinamo" (ex "Croazia") e "Vukovar '91". Migliaia di tifosi scatenati, arrivati dalla capitale croata, hanno seminato il panico fra la popolazione di etnia serba: gli incidenti da essi provocati sono culminati nell'assalto al Consolato della Jugoslavia con lancio di mattoni e bombe fumogene contro le finestre della sede diplomatica. Sono stati letteralmente demoliti anche diversi bar e un laboratorio fotografico, tutti di proprietà di serbi. Feriti una ventina di cittadini di etnia serba, e parecchi poliziotti

Non è un buon segno. I "distaccamenti di pronto intervento" che il leader delle camicie nere croate Anto Djapic promise di scatenare nella ex Krajina, per terrorizzare i serbi rimasti e scoraggiare il rientro dei profughi, pare che siano entrati nuovamente in azione. Sarebbe una catastrofe politica per il nuovo governo democratico, se si lasciasse sfuggire di mano la situazione. I "distaccamenti" neri - lo ricordiamo - entrarono per la prima volta in azione come gruppi paramilitari organizzati nel corso della recente campagna elettorale per le parlamentari, lo scorso dicembre, sotto l'egida del regime ormai morente, nella località di Gjeverska presso Knin, terrorizzando gli abitanti del posto "colpevoli" di essere serbi.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it