Sognando la Dalmazia

SCOTTI GIACOMO

CROAZIA IL DESTINO DEI PROFUGHI

Sognando la Dalmazia

I serbi cacciati da Tudjman ora sperano nel ritorno, ma le resistenze sono sempre forti

- GIACOMO SCOTTI - KNIN

A ll'epoca dei bombardamenti Nato sulla Serbia andai a Belgrado e poi a Kragujevac, Pancevo, Novi Sad. Confusi con i fuggiaschi dal Kosovo, in alcuni campi di accoglienza incontrai profughi che quattro e più anni prima erano stati cacciati dalla Croazia. Un'anziana donna, Katja Padjen, era fuggita da Fiume, piangeva di nostalgia per Fiume e, per una sua amica rimasta a Fiume, mi consegnò una lettera di cui ricordo il contenuto: chiedeva di essere aiutata a tornare. Katja non è ancora tornata, ma a Knin ho incontrato due-tre serbi che, nati e cresciuti in questa città, sono riusciti a respirarne nuovamente l'aria - che è quella della vicinissima Dalmazia - dopo sei anni di triste esilio a Kanjiza, nella Vojvodina. Sono tornati nell'agosto dello scorso anno e fino al giorno della sconfitta del regime di Tudjman avevano avuto tutto il tempo di pentirsi d'essere tornati: non erano (e non sono) riusciti a mettere piede nelle loro case occupate da estranei, non hanno trovato lavoro, vivono di elemosina ed hanno subìto non poche umiliazioni. Pero e Milorad chiedono con voce piena di speranza se verranno, ora, tempi migliori. Premesse e promesse politiche ci sono, ma anche parecchi ostacoli, non tutti i lupi si sono ritirati nelle loro tane sui monti.

Ho conosciuto due fratelli, cognome Zelic. Fuggiti dalla Krajina nel '95, furono inviati nel Kosovo dalle autorità di Belgrado insieme ad altri duemila profughi serbi venuti dalla Croazia. Nel '99, costretti a fuggire anche dal Kosovo per scampare all'odio degli uomini dell'Uck, hanno deciso di tornare nella terra natale, nel villaggio di Zegar presso Obrovac. Appena arrivati nella loro Krajina, però, hanno subìto l'aggressione di alcuni "patrioti" della peggiore specie. Inalberando il titolo di "veterani della guerra patriottica", questi supercroati si sono spostati fino a ieri da una parte all'altra della regione occupando case di serbi, provocando scaramucce, inscenando "spedizioni punitive". Seminando il panico e, talvolta, la morte. Come hanno fatto due "cacciatori ubriachi" (così la stampa del regime): nel villaggio di Orlic presso Knin, fucilarono l'anziana contadina Dusanka Radonic. Andavano a caccia di serbi, non di lepri.

A Gjeverske due bravacci "superpatrioti" bastonano a sangue l'ottantottenne V.T., mentre il guidatore di un furgoncino investe volutamente il cinquantacinquenne J.L. schiacciandolo sotto le ruote per poter vantarsi di aver "tolto di mezzo" un serbo. A Kanja viene bastonato il sessantenne V.G., "colpevole" di non aver risposto al saluto ustascia "Za dom spremni" (una specie di "Alalà", di "A noi" di mussoliniana memoria) provocatoriamente rivoltogli da soldati a bordo di una jeep. A Kistanje sei giovani neonazisti aggrediscono davanti all'osteria del paese una decina di persone anziane, pestandole brutalmente, spaccando la testa anche a un giovane croato che tenta di difendere i compaesani serbi. A Raskovici, frazione alla periferia di Knin, di notte, le fiamme distruggono tettoie, stalle, fienili, capannoni, e numerosi covoni di fieno nei campi di quattro famiglie serbe appena rientrate dall'esilio nell'ottobre '99: i fratelli Nikola, Sime, Jovan e Dusan vedono finire in fumo i magazzini in cui avevano riposto il raccolto dei campi e l'unico carro agricolo che gli era rimasto.

Parafrasando Sartre a proposito di francesi ed ebrei, lo scrittore italo-croato-bosniaco-russo Predrag Matvejevic ebbe a dire in una conferenza tenuta la scorsa estate: "I croati non saranno veramente liberi fino a quando i serbi in Croazia, come tutte le minoranze nazionali, non potranno godere gli stessi diritti e le stesse libertà". A quel tempo i serbi di Croazia erano costretti a mimetizzarsi nella vita quotidiana perché serbi, cambiavano i nomi di battesimo per non far sapere di essere serbi, venivano buttati fuori dalle abitazioni perché serbi. Acqua passata? Tuttora essere serbi, in alcune regioni della Croazia significa essere cittadini di seconda categoria. Acqua passata? Beh, le ultime aggressioni si sono registrate nel corso della campagna elettorale dello scorso dicembre; dopo la sconfitta del regime e la scomparsa fisica di Tudjman il clima è cambiato, dall'inizio del 2000 non si è sparso più sangue, ma il passato non va dimenticato, né va abbassata la guardia, perché i principali responsabili del terrorismo antiserbo - i neoustascia dell'Hsp di Anto Djapic ed i neofascisti "Veterani della guerra patriottica" (Hvidra) - si sono solo occultati senza però deporre le armi. Lo dice Olga Simic, croata, responsabile della sede di Knin dell'Hho, il Comitato croato di Helsinki per i diritti umani, sempre all'erta indifesa delle vittime. Il fondatore e per lunghi anni presidente di questa organizzazione, Ivan Zvonimir Cicak, l'uomo che è stato la spina al fianco di Tudjman per un decennio, denunciando tutti i crimini della pulizia etnica e dell'Operazione Tempesta in Krajina, e perciò definito dal Supremo "nemico della patria al servizio dei servizi segreti stranieri", è stato nominato dal nuovo capo di stato Stipe Mesic suo "consigliere per i diritti umani". Una nomina che fa ben sperare. Qualche mese prima della morte del Supremo, reagendo a un'ennesima accusa rivolta da Cicak al regime per lo stillicidio di aggressioni impunite contro i serbi in Croazia, un ministro di Tudjman urlò alla televisione: "Qualcuno fa di tutto per facilitare il ritorno dei serbi. Ma allora perché abbiamo combattuto?". Erano i tempi della vergogna, speriamo che siano tramontati.

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