BARCELLONA TOSSICODIPENDENTI
- G. Z. -
I l Servizio di assistenza e prevenzione sociosanitaria (Saps) di Barcellona è un centro notturno gestito dalla Croce Rossa con sovvenzioni pubbliche, rivolto ai consumatori di droghe esclusi dai circuiti di protezione sanitaria e sociale. Si trova nella zona centralissima del porto, a poche centinaia di metri dalle Ramblas. Ma il quartiere dove mi inoltro, cadente e già deserto alle nove di sera, non ha niente a che vedere colla vivacità della movida nella famosa passeggiata di Barcellona.
Il centro è al primo piano di un edificio anonimo vicino all'entrata del pronto soccorso di un ospedale. Difficile identificarlo e ancor di più leggere la targhetta sulla porta perché la strada è immersa nel buio. Ma lo riconosco facilmente perché un nutrito gruppo di utenti è già lì in attesa, anche se il servizio aprirà solo un'ora dopo. Dentro mi aspetta Criselda Nadal, una giovane infermiera, che tutti, colleghi e utenti, chiamano familiarmente Cris. Sono stupefatta dalla ristrettezza degli spazi: due stanzette minuscole per le attività sanitarie e i colloqui, a fianco di un corridoio angusto, stipato di scatoloni, dove due persone si incrociano a malapena, in fondo un cucinotto che si apre su una saletta con quattro tavolini (di numero), da lì due porte immettono nelle docce e in un ripostiglio con una lavatrice. E la meraviglia aumenta quando Cris mi illustra, dati alla mano, le numerose e complesse prestazioni del centro.
Il Saps è stato aperto nel '93, quando in Catalogna, molto prima che nel resto della Spagna, si è deciso di aprire servizi ispirati alla riduzione del danno. Il target è costituito da tossicodipendenti, in maggioranza uomini, in situazione di marginalità, la metà circa senza fissa dimora. Gli utenti hanno a disposizione un servizio di scambio siringhe e di educazione sanitaria, con infermieri per le informazioni sul "buco pulito"; un medico che due volte alla settimana esegue visite di check up generale e prescrive esami clinici, la gran parte screening per l'epatite e l'Hiv; assistenti sociali che cercano di aiutare le persone con pendenze giudiziarie o che si trovino senza documenti.
"E' un problema enorme - spiega Cris -. A molti vengono rubati, oppure li perdono, ma senza documenti non possiamo inviarli ai servizi sociali e non hanno alcuna copertura sanitaria. Le difficoltà più gravi sono con gli stranieri, i consolati non rispondono neanche. Qualche anno fa si è avviato un programma metadonico di emergenza - continua - con quaranta posti, cui possono accedere anche consumatori sprovvisti di documenti. La distribuzione avviene in altri locali, ovviamente, ma l'idea è stata nostra, a partire dall'esperienza del nostro centro".
L'attività è cresciuta negli anni: il numero degli utenti è passato da 1390 nel '93 a 2400 nel '98. Sempre nel '98 si sono avuti 19.500 scambi di siringhe, contro i 10.300 del primo anno e 1480 interventi sociali contro i 350 dell'inizio.
Ma il servizio che è aumentato a dismisura è quello del "club", come qui è chiamato, ossia lo spazio di sosta e recupero, dove è possibile consumare un pasto caldo, farsi la doccia, lavare la biancheria e ottenere un cambio di abbigliamento in caso di necessità. Nel '98 sono stati distribuiti 21.500 pasti, nel '93 erano stati solo 4500.
"Ogni notte, dalle 22 alle 6 di mattina vengono qui anche cento, centocinquanta persone", dice la mia ospite. Guardo perplessa quei quattro tavolini e il cucinotto da monolocale e prima che apra bocca Cris mi previene: "Facciamo dei turni per tutta la notte, le persone stanno in media un'ora, ma vorrebbero stare di più, cerchiamo di convincerli a lasciare il posto a chi fa la coda fuori. A volte ci sembra di gestire una mensa, - aggiunge allargando le braccia - e le finalità del servizio vengono sacrificate, spesso non c'è tempo per i colloqui... Ma possiamo ignorare i bisogni primari della gente?"
La domanda non è retorica, e la risposta non è facile. La professionalità e la motivazione degli operatori è fuori discussione, ma il Saps appare come una cattedrale nel deserto (ironia dell'immagine). La riduzione del danno funziona davvero se è integrata in una rete solida di sostegno sociale, da Welfare nord europeo. E con ogni evidenza a Barcellona questa rete ha delle smagliature vistose. Ciononostante, grazie ancora agli sforzi del personale, il centro cerca di mantenere le proprie funzioni peculiari: ogni lunedì si svolgono le riunioni con l'utenza più "fedele" e si programmano le attività, come la raccolta delle siringhe abbandonate nei giardini e nelle strade. I tossicodipendenti che vi partecipano ottengono una ricompensa. Si promuovono anche corsi di informazione sul sesso sicuro e i rischi di overdose; ultimamente si sta tentando di dar vita ad un'associazione di consumatori. "Anche se non è facile, gli spazi sono quello che sono e c'è un gran avvicendamento di gente", si lamenta Cris.
Intanto è arrivata l'ora di apertura, i tavoli sono già occupati, sta per iniziare il primo turno della mensa, non c'è tempo e neppure più un buco libero dove appartarsi a parlare. Saluto ed esco facendomi largo fra chi è in fila per il secondo turno, e, a giudicare dalla calca, anche per i turni successivi.
Mentre mi allontano mi viene in mente "Amoc", il centro di prima accoglienza per stranieri tossicodipendenti, che ho visitato ad Amsterdam di recente: un bel palazzo di tre piani affacciato su un canale, in pieno centro storico, un'ampia caffetteria a pianterreno, due sale per le riunioni, una al piano nobile, sopra alcune stanze per l'ospitalità notturna, nel basement la lavanderia e una pulitissima cucina a disposizione degli utenti-ospiti. Dopo tutto non è vero che tutto il mondo è paese.