La gestione liberale e l'onda repressiva

ZUFFA GRAZIA

SPAGNA CATALOGNA

La gestione liberale e l'onda repressiva

Affettività e riduzione del danno nelle carceri sovraffollate

- GRAZIA ZUFFA -

L a regione della Catalogna, la più avanzata della Spagna sotto l'aspetto economico e sociale, gode di un'ampia autonomia, anche in materia penitenziaria. Il direttore generale, Ignacio Garcia Clarel, che ci riceve nella sede di Barcellona, ci spiega che l'amministrazione carceraria dipende dalla Generalitat di Catalogna, non dal governo centrale. La legge che regola l'ordinamento penitenziario è invece nazionale e risale al '79, varata all'indomani della fine del regime. E' una riforma progressista e democratica. "Molti degli eletti del primo parlamento erano passati dalle prigioni di Franco, i diritti dei detenuti non erano per loro una questione astratta", ci dice Clarel. Principio cardine è il trattamento individualizzato del detenuto e lo sviluppo di una vita comunitaria dentro il carcere, riducendo al minimo l'isolamento nelle celle.

Come nel Nord Europa

Oltre al regime "aperto" (una sorta di semilibertà), ne esiste uno ordinario e uno "chiuso". Chiediamo se quest'ultimo sia riservato agli autori di crimini particolari, come in Italia il carcere duro per i mafiosi. "Assolutamente no - replica secco. - Il regime chiuso è per chi tiene un comportamento antisociale dentro il carcere, indipendentemente dal reato. Neppure i condannati per terrorismo sono sotto regime speciale - continua - anche se per ragioni di sicurezza sono sparsi nelle carceri di tutta la Spagna, lontani dalla loro regione d'origine".

L'ordinamento penitenziario ha anche un'impronta garantista: il giudice di sorveglianza ha il compito di verificare che la direzione del carcere rispetti la legge e visita l'istituto regolarmente tre volte al mese, ricevendo eventuali richieste o reclami dei detenuti.

Il sistema dei benefici e delle pene alternative è invece regolato dal codice penale. Il giudice può condannare chi si macchi di piccoli reati a lavori di pubblica utilità, oppure alla detenzione solo nei fine settimana. Non esiste invece l'affidamento in prova: chi entra in carcere ha solo la possibilità di usufruire dei permessi di uscita, oppure di ottenere la libertà condizionale dopo due terzi della condanna. L'ultima revisione del codice ha eliminato lo sconto di un terzo della pena per chi svolgeva un lavoro dentro l'istituto. "Il nuovo codice del '95 ha risentito della campagna sulla certezza della pena ispirata dalla destra", commenta il nostro interlocutore. E aggiunge: "Se la legge penitenziaria fosse stata introdotta oggi, certo sarebbe più restrittiva. Allora la nuova classe dirigente volle segnare una rottura drastica col passato di regime, ispirandosi ai modelli penitenziari più avanzati del Nord Europa".

I segni di questa apertura liberale ci sono, ad iniziare dalle visite "riservate" dei familiari ai detenuti. Che non sono un premio, ma un diritto per tutti i reclusi, anche per chi è in regime "chiuso" o in custodia cautelare. La legge stabilisce due visite al mese senza sorveglianza: una con la famiglia o con amici, l'altra, definita "intima", col coniuge o il partner, per un'ora e mezzo ciascuna. Ma facilmente ne sono concesse di più, se il detenuto non dà problemi; se invece è scoperto a introdurre droga o armi, vengono interrotte. E' considerato partner colui o colei che si presenta regolarmente ai colloqui ordinari, che hanno luogo ogni fine settimana.

Visto lo scalpore che ha fatto in Italia l'annuncio della sperimentazione di queste visite intime, siamo curiosi di sapere se ci siano reticenze da parte dei detenuti o resistenze fra il personale di sorveglianza. Il direttore appare sorpreso. "Quasi tutti e tutte ne usufruiscono, com'è ovvio, - sottolinea un po' canzonatorio - e, quanto ai vigilanti, le considerano una routine, è dal '91 che le abbiamo introdotte". Ma permettete anche i vis a vis fra persone dello stesso sesso? - insistiamo. "Perché no, abbiamo uno stato laico, anche se siamo un paese cattolico" taglia corto divertito.

Eppure i problemi non mancano nelle carceri di Catalogna, cominciando dal sovraffollamento. "La finalità riabilitativa della pena stabilita dalla Costituzione è in crisi, anche se cerchiamo di rimanere fedeli alla filosofia trattamentale: ma solo il 20% dei detenuti lavora, e sono perlopiù lavori manuali", spiega ancora Clarel. Si potrebbe dire di più, mi viene da pensare: è difficile reinserire i condannati, quando la spinta repressiva che cresce nelle nostre società "avanzate" li risospinge inesorabilmente dietro le sbarre, in un circuito perverso. Anche in Spagna il numero dei detenuti è elevato: 45.000 su circa 38 milioni di abitanti.

Preservativi ai detenuti

Il livello medio delle pene è alto, dagli otto ai dieci anni. Specie nelle grandi città, come Barcellona, fino all'80% dei detenuti è tossicodipendente, o comunque condannato per reati di droga. La legge sugli stupefacenti è severa. Nonostante il consumo sia depenalizzato, non c'è distinzione fra traffico e piccolo spaccio: per una quantità modesta di eroina spacciata si può esser condannati anche a otto anni. Molti gli stranieri, nord africani, boliviani, peruviani, gente che cerca di emigrare per miseria, e viene arrestata all'aeroporto con la droga addosso. "Almeno la metà della popolazione carceraria è costituita da marginalità, compresi malati psichiatrici, e potrebbe star fuori" conclude il direttore.

Di positivo c'è l'apertura alla riduzione del danno: all'ingresso in carcere è consegnato al detenuto un kit con preservativi, che viene rinnovato a richiesta, e sono diffusi i trattamenti metadonici a mantenimento. Il progetto di distribuire siringhe sterili invece non è andato avanti, ma sono a disposizione disinfettanti.

Più tardi iniziamo la visita dei penitenziari, cominciando dai "Quattro Camini", costruito circa dieci anni fa, nell'ambito del programma di ammodernamento del sistema carcerario catalano. Una costruzione solida e funzionale, dall'aspetto anonimo, che potrebbe sembrare un qualsiasi edificio a fine comunitario, se non fosse per il muro di cemento e la doppia rete di recinzione, provvista di modernissimi videosensori. "In dieci anni solo un'evasione", ci dice una guardia della polizia autonoma di Catalogna, che ha il compito di sorvegliare gli istituti all'esterno. I sorveglianti all'interno sono invece civili, non portano armi e anche le donne prestano servizio nei reparti maschili, e viceversa. Due innovazioni importanti che segnalano come la convivenza e la disciplina dentro le mura non si affidino a logiche alla "Rambo". E, fatto ancor più sorprendente se paragonato alla situazione italiana, i sorveglianti sono una minoranza del personale carcerario.

Ai "Quattro Camini" per 1300 detenuti sono impegnati 550 operatori, di cui 300 tra psicologi, insegnanti, educatori, assistenti sociali. Il direttore stesso è uno psicologo, che considera il suo incarico a termine. "E' un lavoro troppo impegnativo per diventare routine", ci dice. Il modello trattamentale è dei più avanzati.

Sogni e incubi

Ogni settore del carcere costituisce un modulo a se stante per circa 130 reclusi, con propri spazi comunitari e un'equipe professionale specifica. Mentre giravamo i locali, stava per iniziare il pranzo, che i detenuti consumano insieme, nella sala mensa del modulo. Due italiani si avvicinano, chiediamo come si trovano. "Siamo trattati con rispetto, il vitto è decente, e poi stiamo fuori dalle celle tutto il giorno, dalle 8 di mattina alle 9 di sera. Sembra quasi di stare in un collegio...", è la risposta. La libertà di movimento di cui godono i detenuti, e l'aspetto dignitoso degli spazi destinati alle attività e alla ricreazione potrebbero essere all'altezza della fama di "collegio", ma non è così per le celle: a malapena agibili per una persona, sono occupate quasi sempre da due.

Ogni fantasia pacificatrice svanisce del tutto quando a sera entriamo nel carcere de' "La Modela", in pieno centro di Barcellona. E' il penitenziario più vecchio della Catalogna, costruito nel 1904 e ormai fatiscente, con la cupola centrale e i raggi a doppio ordine di gallerie. Qui la banalità dell'immagine dell'inferno carcerario riacquista il suo spessore di significato. I detenuti si affollano a gruppi nei corridoi del pianterreno, il suono delle voci rimbomba nell'alto delle gallerie, a volte il frastuono diventa insopportabile e una voce da un altoparlante richiama qualcuno seccamente all'ordine. La direttrice che ci accompagna è un po' imbarazzata. "Sa, non abbiamo soldi per ristrutturare, e poi non ne varrebbe la pena, presto questo istituto sarà chiuso", ci dice. La guardo, ma non sembra molto convinta nemmeno lei.

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