Normalizzazione "democratica" Indios a casa. Evviva, evviva

BERETTA GIANNI

ECUADOR

Normalizzazione "democratica" Indios a casa. Evviva, evviva

I poteri forti, a Quito e a Washington, hanno ripreso il controllo. Per il momento

- G. B. -

M asticano amaro i protagonisti indigeni della "rivoluzione" ecuadoriana, durata appena lo spazio di tre ore, con tanto di guida a triumvirato. Giusto il tempo perché Washington lanciasse i propri strali e i vertici militari normalizzassero l'ammutinamento al loro interno. E già stanno ritornando mestamente nelle loro casupole della cordigliera andina o nelle loro capanne della foresta amazzonica, che avevano lasciato con grande speranza e convinzione per scendere (o salire) pacificamente verso Quito per far sentire la loro protesta di fronte alla "dollarizzazione" annunciata dell'economia.

Si tratta dell'ennesima sconfitta in oltre cinquecento anni dalla "conquista". E tutto sommato gli è andata ancora bene, perché normalmente questi episodi sono finiti con sanguinosi massacri di indigeni. Fa parte anche questo della dinamica di questo molto particolare e spontaneo moto insurrezionale, più abbozzato che pianificato. Si sono spinti avanti fin dove era possibile, senza violenze. E alla fine si sono ritrovati con l'ultimo avamposto dell'esercito, che proteggeva il "palazzo", che invece di fermarli li ha coperti e incoraggiati ad andare fino in fondo.

Devono sentirsi ingannate le organizzazioni indigene ecuadoriane? Certo qualche cosa non ha funzionato. E qualcuno fra i militari ha lasciato fare all'inizio proprio per scoprire il gioco e i nomi di coloro che lo conducevano. Ed è proprio all'interno della Forza armata ecuadoriana (che pure ha degli antecedenti democratici) che c'è da aspettarsi la resa dei conti. Se poi al posto del moderato Jamil Mahuad (che una parte di loro stessi aveva sostenuto alle elezioni del luglio '98, per scongiurare la riconferma della destra populista) si è piazzato il benpensante Gustavo Noboa, legato all'Opus Dei, certamente ci hanno rimesso.

Ma non possono sentirsi poi così delusi e insoddisfatti. Non hanno mostrato al mondo la fragilità e il ridicolo delle istituzioni del loro paese? Prendere il potere in quella maniera sarebbe stato giudicato comunque sempre come un imperdonabile "colpo di mano" dato al sistema democratico. In fin dei conti potranno ritentare la prossima volta sul terreno limpidamente elettorale candidando uno dei leader della rivolta, magari il colonnello Gutierrez, ora agli arresti. Non è accaduto proprio così in Venezuela con l'ex colonnello dei paracadutisti Hugo Chavez, golpista mancato e incarcerato, e poi eletto democraticamente presidente di una repubblica che sta a suo modo rivoluzionando? Chavez è stato l'unico governante in America latina a non condannare la sollevazione di Quito. E in Ecuador sembra si stiano ripetendo papali le condizioni che hanno portato al discredito di un'intera corrotta classe politica e dirigente come in Venezuela, poi rovesciata dal verdetto delle urne. Anche se non sappiamo che strada prenderà il bolivariano Chavez, ogni voce fuori dal coro neoliberista va presa in considerazione. Almeno fino a prova contraria.

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