Mesic primo nell'urna

SCOTTI GIACOMO

CROAZIA CHIUSI I SEGGI DEL PRIMO TURNO DELLE PRESIDENZIALI

Mesic primo nell'urna

In testa nelle proiezioni l'uomo che ha aiutato Tudjman a staccarsi dalla Jugoslavia, per poi ripudiare il nazionalismo del Supremo. Decisivo il ballottaggio del 7 febbraio

- GIACOMO SCOTTI - ZAGABRIA

T rentacinque giorni dopo la morte di Tudjman e tre settimane dopo il crollo del regime autoritario che il defunto Supremo aveva costruito, quattro milioni e duecentomila cittadini croati in patria e all'estero, sono stati chiamati ieri alle urne, per la seconda volta in questo mese, per eleggere il nuovo capo dello stato. All'invito hanno risposto poco più di tre milioni, scegliendo fra nove candidati indicati sulla scheda elettorale per ordine alfabetico. Le urne sono state sigillate alle ore 19, subito dopo sono cominciati i conteggi. I risultati definitivi, ma non ufficiali, saranno noti oggi; sin d'ora però si sa che nessuno dei concorrenti ha superato il fatidico 50%, per cui tutto è rinviato al ballottaggio, previsto il 7 febbraio.

Una precisa indicazione, tuttavia, il voto del primo turno l'ha data: il futuro capo dello stato sarà scelto fra il candidato che ha ritrovato le proprie origini di sinistra Stipe Mesic, il candidato dell'ex regime Mate Granic, ministro degli esteri ancora per due giorni, e il social-liberale Drazen Budisa. I sondaggi della vigilia davano al primo posto Mesic, al secondo Budisa ed al terzo Granic, ma dallo spoglio del 30% dei voti le previsioni sono state parzialmente ribaltate: primo resta Mesic, Granic passa al secondo posto e Budisa segue di poco al terzo. Se i risultati definitivi dovessero confermare le prime indicazioni, al ballottaggio andranno Mesic e Granic, ma qui in Croazia può succedere di tutto, e non è escluso che a conti fatti sarà Budisa a scavalcare Granic ed a vedersela poi, al ballottaggio, con Mesic, suo alleato nella coalizione di centrosinistra.

L'ago della bilancia potrebbe essere il voto dei 50mila croati erzegovesi - tanti si sono recati alle urne a Mostar e "dintorni" - che, pur essendo cittadini di uno stato estero, la Bosnia-Erzegovina, vengono considerati da una legge voluta da Tudjman come "croati della diaspora", perciò con diritto di eleggere ed essere eletti. Per questa ragione hanno sei deputati al parlamento della Croazia e nel vecchio governo accadizetiano contavano addirittura tre ministri. Considerato un serbatoio di voti nazionalistici ed arma del movimento secessionista croato in Bosnia-Erzegovina, l'Hdz erzegovese verrà presto a trovarsi isolato in seguito alla sconfitta dell'Hdz-madre in Croazia, i suoi leader perderanno i lauti finanziamenti di Zagabria e molto probabilmente i croati erzegovesi finiranno di essere cittadini di due paesi e dovranno scegliere fra Zagabria e Sarajevo. La vergogna di una "Erzeg-Bosnia croata" che ha il proprio governo, il proprio parlamento e il proprio capo di stato a Zagabria dovrà finire, ha detto nella campagna elettorale Mesic, ma intanto quei voti nazionalisti e neo-ustascisti hanno ancora il loro peso sulla Croazia.

Ora qualche numero. Dallo spoglio di poco più di un milione di schede, cioè della terza parte delle preferenze espresse dagli elettori, risulta che il 32% sono andate a Stipe Mesic, il 28% a Granic (che ha basato l'intera campagna elettorale sulle accuse a un regime del quale ha fatto parte per dieci ani, con critiche severe anche al defunto Supremo) e il 24% a Budisa, che ha perso terreno nelle ultimissime ore. Staccati fortemente dai primi tre, seguono l'intellettuale indipendente di sinistra Slaven Letica al quarto posto ed il capo delle camice nere Anto Djapic.

Scarsi i voti racimolati dagli altri quattro candidati, due dei quali "eroi della guerra patriottica" - uno sospettato di crimini di guerra - un ricco businessman e, fanalino di coda, il ministro di grazia e giustizia, Separovic, che faceva pena nelle sue apparizioni solitarie in pubblico, disprezzato dagli accadizetiani e dagli altri avendo voluto buffonescamente imitare, nel vocabolario oltre che nelle "idee", il defunto Tudjman.

Questi primi risultati subiranno immancabilmente delle modifiche a conclusione dello spoglio, ma i rapporti fra i primi tre papabili difficilmente cambieranno. E se i partiti social-democratico e social-liberale - sostenitori ufficiali di Budisa - decideranno di puntare tutto sul nome di Mesic per non disperdere i voti della coalizione che ha vinto le parlamentari del 3 gennaio, allora nulla potrà impedire il trionfo dell'uomo che - dopo aver aiutato Tudjman nel 1990-91 a staccare la Croazia dalla Yugoslavia unitaria - si oppose, invano, alla guerra civile, osteggiò l'avventura militare di Tudjman in Bosnia-Erzegovina (e la creazione dello stato secessionista detto "Repubblica croata di Erzeg-Bosnia"), finendo per abbandonare definitivamente, nel 1994, il regime, rinunciando a tutte le cariche (era presidente del Parlamento), per diventare il più agguerrito avversario di Tudjman e del suo movimento nazionalista e xenofobo.

Nella campagna elettorale Mesic ha promesso solennemente, che da capo dello stato farà di tutto affinché la nuova maggioranza di centro-sinistra mantenga le promesse fatte agli elettori, smantellando il regime costruito da Tudjman e costruendo una Croazia veramente democratica. Sul nome di Mesic, al secondo turno, si riverseranno certamente i voti dei sostenitori di Letica. E non sono pochi.

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