MILANO ROACH & TAYLOR
- MARCELLO LORRAI - MILANO
Q
E tuttavia il suo soliloquio percussivo è tutt'altro che
patetico: è una lezione di sobrietà, di coerenza, di eleganza,
che è quanto mai opportuno ripassare. Ma soprattutto il
monologare assorto dell'anziano maestro è capace di trasportare
in una dimensione temporale diversa da quella dentro la quale
siamo abituati ad organizzare meccanicamente la nostra vita, da
quella del tempo come metrica del profitto, da quella delle
convenzioni della musica. Il suo drumming in solitudine è come la
proiezione di una pulsazione vitale, di un flusso coscienziale a
cui Roach lascia uno spazio non compresso per sgorgare ma che
nello stesso tempo riconduce nell'alveo della razionalità.
In questo senso, nella creazione di un tempo autonomo, di uno
scorrere legato all'esigenza di un'espressione e svincolato dalle
misure correnti dell'intrattenimento, e anche nell'instaurare un
rapporto quasi ipnotico con l'ascoltatore, il solo di Roach è
stato anche una perfetta creazione di clima per seguire poi con
la migliore disposizione di spirito il solo di Cecil Taylor, con
cui il batterista domenica ha diviso in un gremito Teatro Manzoni
la mattinata del ciclo "Aperitivo in concerto".
Il pianista, settantun anni tra qualche settimana, si è prodotto
per quaranta minuti in un set che ha evitato certi suoi tipici
accumuli di energia destinati a creare un climax nella
performance, preferendo, come spesso gli capita ultimamente, una
soluzione più aperta, piena di illuminazioni, di cambi di
atmosfera, quasi di citazioni (come un paio di accenni alla
tradizione di pianismo fortemente ritmico e pirotecnico da cui
Taylor rimase affascinato da bambino): con un'arte che la sua
esacerbata raffinatezza e il sublime tocco alla tastiera
contribuiscono a rendere inarrivabile.
Poi Roach e Taylor si sono seduti uno di fronte all'altro ai loro
strumenti, per rinnovare un dialogo che non si è annodato spesso
ma che dura ormai da vent'anni, e in cui il nostro paese ha avuto
non poca parte.
La prima volta, immortalata in un album dell'italiana Soul Note,
fu a New York nel '79, a cui ne seguì una seconda a quanto pare
solo a Ravenna nell'84, e una terza a Bologna nell'89.
Ultimamente Taylor e Roach si erano incontrati ancora in duo un
anno fa a Londra (e a Modena due sere prima di Milano).
Il batterista e il pianista sono separati storicamente da tutta
un'epoca della storia del jazz, ma da poche primavere. Al
confronto di Roach, Taylor ha però ancora in pieno la forza di un
ragazzo, in grado di mettere in difficoltà partner ben più
giovani del compagno di Parker e Gillespie.
Un omaggio a chi con il suo jazz e le sue scelte ha creato le
premesse per una musica radicata nel blues ma fieramente
aristocratica e incorruttibile come quella di Taylor. Successo
calorosissimo, decretato da una platea nella quale generazioni
molto diverse di appassionati si sono ritrovate concordi.
Cocktail di suoni
Aristocratico blues