Maximilian e Cecil, un dialogo severo e sferzante tra ragazzacci

LORRAI MARCELLO

MILANO ROACH & TAYLOR

Maximilian e Cecil, un dialogo severo e sferzante tra ragazzacci

Due lunghi soli per i musicisti afroamericani, nella rassegna del teatro Manzoni

- MARCELLO LORRAI - MILANO

Q uarantacinque minuti senza soluzione di continuità di solo alla batteria, punteggiato soltanto da qualche applauso. Rimasto vittima alcuni anni fa di un ictus, di cui porta i segni più appariscenti in un camminare incerto sul palco, e oggi con in più altri e seri problemi di salute, Max Roach, 75 anni compiuti il 10 gennaio scorso, non può certo esibire la destrezza di una volta.

E tuttavia il suo soliloquio percussivo è tutt'altro che patetico: è una lezione di sobrietà, di coerenza, di eleganza, che è quanto mai opportuno ripassare. Ma soprattutto il monologare assorto dell'anziano maestro è capace di trasportare in una dimensione temporale diversa da quella dentro la quale siamo abituati ad organizzare meccanicamente la nostra vita, da quella del tempo come metrica del profitto, da quella delle convenzioni della musica. Il suo drumming in solitudine è come la proiezione di una pulsazione vitale, di un flusso coscienziale a cui Roach lascia uno spazio non compresso per sgorgare ma che nello stesso tempo riconduce nell'alveo della razionalità.

In questo senso, nella creazione di un tempo autonomo, di uno scorrere legato all'esigenza di un'espressione e svincolato dalle misure correnti dell'intrattenimento, e anche nell'instaurare un rapporto quasi ipnotico con l'ascoltatore, il solo di Roach è stato anche una perfetta creazione di clima per seguire poi con la migliore disposizione di spirito il solo di Cecil Taylor, con cui il batterista domenica ha diviso in un gremito Teatro Manzoni la mattinata del ciclo "Aperitivo in concerto".

Cocktail di suoni

Il pianista, settantun anni tra qualche settimana, si è prodotto per quaranta minuti in un set che ha evitato certi suoi tipici accumuli di energia destinati a creare un climax nella performance, preferendo, come spesso gli capita ultimamente, una soluzione più aperta, piena di illuminazioni, di cambi di atmosfera, quasi di citazioni (come un paio di accenni alla tradizione di pianismo fortemente ritmico e pirotecnico da cui Taylor rimase affascinato da bambino): con un'arte che la sua esacerbata raffinatezza e il sublime tocco alla tastiera contribuiscono a rendere inarrivabile.

Poi Roach e Taylor si sono seduti uno di fronte all'altro ai loro strumenti, per rinnovare un dialogo che non si è annodato spesso ma che dura ormai da vent'anni, e in cui il nostro paese ha avuto non poca parte.

La prima volta, immortalata in un album dell'italiana Soul Note, fu a New York nel '79, a cui ne seguì una seconda a quanto pare solo a Ravenna nell'84, e una terza a Bologna nell'89. Ultimamente Taylor e Roach si erano incontrati ancora in duo un anno fa a Londra (e a Modena due sere prima di Milano).

Il batterista e il pianista sono separati storicamente da tutta un'epoca della storia del jazz, ma da poche primavere. Al confronto di Roach, Taylor ha però ancora in pieno la forza di un ragazzo, in grado di mettere in difficoltà partner ben più giovani del compagno di Parker e Gillespie.

Aristocratico blues

Con estrema delicatezza, quasi con cautela, Taylor ha evitato in ogni modo di mettere in imbarazzo l'uomo che con affettuosa perfidia, quando parla di lui in privato, chiama "Maximilian", si è controllato, ha cercato di mettere a suo agio un Roach palesemente impacciato, ma sorridente, abbondando in dolci glissandi e in note tenui.

Un omaggio a chi con il suo jazz e le sue scelte ha creato le premesse per una musica radicata nel blues ma fieramente aristocratica e incorruttibile come quella di Taylor. Successo calorosissimo, decretato da una platea nella quale generazioni molto diverse di appassionati si sono ritrovate concordi.

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