Pochi punti per cambiare una foto che non mi piace

MOLINARI EMILIO

REGIONE LOMBARDIA

Pochi punti per cambiare una foto che non mi piace

EMILIO MOLINARI *

V orrei riprendere i ragionamenti sviluppati sulle pagine del manifesto da Gianni Confalonieri, segretario regionale di Rifondazione comunista (il 21 dicembre) e da Maurizio Zipponi (il 30 dicembre), segretario della Fiom lombarda, attorno alle elezioni regionali in Lombardia. Credo sia un buon inizio e, per dirla francamente, penso sia il segno che anche in Rifondazione comunista qualcosa di nuovo "si muove". A questo proposito vorrei proprio ragionare attorno a ciò che di nuovo si è mosso dentro a quelle iniziative, incontri, assemblee promosse dalle diverse associazioni: Punto Rosso, Mani Tese, Convenzione per l'Alternativa, Carta, Leocavallo, Sinistra sindacale e mondo cattolico, che hanno caratterizzato la vita politica di Milano in queste ultime settimane di fine millennio. Forse mi sto illudendo, ma sono convinto che nella partecipazione vastissima e attenta, nell'interesse per i temi epocali, nella forte presenza giovanile e nel dispiegarsi del confronto (tra associazioni, interventi sociali, persone, intellettuali, pezzi di politica organizzata, di sindacati confederali e non, così diversi e contradditori tra loro, che cercano il punto politico per agire collettivamente) c'è il segno del cambiamento di fase. C'è il formarsi di una nuova cultura politica e, forse, di una nuova forma della politica: estranea, per la maggior parte non compresa dai partiti di oggi, ignorata dai mass-media, e dove anche il termine "sinistra" può risultare inadeguato. Trovo inoltre conferma che la guerra è stata uno spartiacque delle coscienze. Ci ha reso consapevoli del rischio che corriamo, che non è più possibile continuare a coltivare la routine delle nostre attività e certezze; ci costringe bensì ad assumere responsabilità da soggetto collettivo senza ancora esserlo. Forse in quelle sale piene si è concretizzata la risposta, in una forma del tutto inaspettata e inedita, a quel richiamo drammatico che Luigi Pintor lanciò dal manifesto alcuni mesi fa e che rimase pressoché inascoltato, forse perché lo rivolse solo alla sinistra politica in senso stretto. O forse perché questa realtà vissuta nei diversi incontri di Milano è la forma specifica attraverso la quale può manifestarsi il bisogno di riaggregazione di un'area antiliberista e dove possono maturare contenuti reali, capaci di dare nuova militanza. Quest'area non è misurabile fotografandola o sommandone i vari pezzi, perché è confronto tra culture diverse di operai, di ambientalisti, di consumatori, di volontariato, di centri sociali, di cooperazione decent

rata, di politica di partito e sociale, di vecchie e nuove storie in cui ognuno porta qualcosa, ma dove tutti devono rimettersi in gioco. Ricostruire una nuova cultura politica è forse necessità del nostro presente. E' uscire dalla stretta maledetta dell'ingegneria istituzionale, tornando a spostare coscienze per portarle di nuovo alla partecipazione e alla militanza ideale. Questa responsabilità è grande e nessuno dovrebbe sottrarsi, e non dovremmo nemmeno dividerci tra chi pensa alla "politica" e chi pensa che i partiti e le istituzioni siano qualcosa di strategicamente dannoso.

Mi sono dilungato nel descrivere quest'area dell'antiliberismo e dell'aggregazione perché è la cosa più importante per la quale vale la pena di spendere l'entusiasmo e le forze che rimangono. Ora, su questo percorso s'incontrano le elezioni regionali lombarde e gli interrogativi sono: può questa realtà interagire con la scadenza elettorale? Può tentare di essere ancora soggetto, e il più possibile collettivo? Può pensare di pesare ancora sulla politica? Quest'area non è ancora in grado di autorappresentarsi, ma è un forte opinion leader in grado di spostare coscienze e voti. Ma, paradossalmente, è anche l'area dove l'astensione è più forte e ragionata, più forte è la delusione della politica e il timore di essere ancora una volta chiamati a "battere la destra" scegliendo "il meno peggio". Portatori d'acqua, ancora una volta, a un test sulla politica nazionale. L'indifferenza verso le elezioni non può che tradursi per molti di noi in astensione, per altri nel tentativo di testimoniare la propria alternatività dando vita a uno o più partitini alternativi, per altri ancora nel voto a Rifondazione o al "listone". Tutti, poi, finite le elezioni, continueremo a coltivare i nostri canali personali o di lobby con la politica. Questa è la fotografia della passivizzazione politica di un soggetto socialmente e culturalmente attivo che sta aggregandosi. Questa fotografia non mi piace: dovremmo tentare qualcosa di nuovo che ci porti a interagire con la scadenza elettorale e con i partiti, non rassegnandoci e non dando per scontata la loro perdita. Non voglio parlare di Martinazzoli, anche se devo dire che ha ragione Zipponi quando segnala la novità del rapporto instaurato da Martinazzoli con Rifondazione, che non è né di desistenza né di fagocitamento, ma di ricerca di specifici e concordati contenuti, che oggettivamente può sganciare questa possibile alleanza dal centro-sinistra nazionale. Ecco allora un'altra domanda: possiamo, come area o rete, cogliere questa novità e tradurla in un'occasione per una nuova azione il più possibile collettiva, prendendo quattro o cinque punti di quel programma che abbiamo già fatto vivere in decine di iniziative e di incontri, fino alla grande assemblea sul "dopo Seattle"? Possiamo andare al confronto con Martinazzoli e gli altri alimentando la campagna elettorale di proposte concrete e reali? Possiamo, nel concorrere a un'eventuale vittoria, elevare la forza dei nostri contenuti e dell'area dell'alternativa? L'amico Zipponi ha posto un primo punto decisivo: quello del lavoro

nella ricca Lombardia, affermando il principio di un posto di lavoro sicuro per tutti. Io mi permetto di segnalarne altri che sono patrimonio comune. 1. La Regione Lombardia ha potere e autonomia in campo agricolo: poniamo il problema del consumo etico, legato al consumo equo e solidale con il Sud del mondo e a un'agricoltura e a un allevamento che rilancino le produzioni agricole e alimentari locali, più controllate nella qualità dai poteri dal basso. La Regione Lombardia diventi quindi una Regione "de-transgenica", con un'agricoltura che esalti il biologico e ponga un freno all'uso dei fertilizzanti, dei pesticidi e dei diserbanti, che costituisca la propria banca di semi originari difendendo la biodiversità. E, in questo contesto, blocchi ogni tentativo di privatizzare l'acqua e le centrali del latte. 2. La Regione Lombardia è alla continua ricerca di una propria autonomia e di una propria identità. E allora poniamo la pace, la cooperazione decentrata con il mondo del sottosviluppo, la diplomazia locale che stringe rapporti diretti con altre comunità del mondo travolte da guerre e da miseria, come modo di riprendersi dal basso e localmente la possibilità di fare una politica estera della quale siamo sistematicamente espropriati. 3. La Regione Lombardia ha l'85 per cento del suo bilancio nella Sanità ed è stata, con Formigoni, un laboratorio di scorribande privatistiche inenarrabili. E allora poniamo il problema di fermare questa concezione aziendalistica della sanità, ritornando alla nozione del diritto universale alla salute. Pochi punti con i quali aprire un confronto. Vale la pena di tentare tutto ciò? Penso di sì, e occorre preparare sedi e occasioni per discuterne. D'altro canto non abbiamo nulla da perdere nel tentare, se non piccole certezze personali o di organizzazione e altrettanto piccole autoreferenzialità.

* sinistra verde

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