DANUBIO
- GIACOMO SCOTTI - ZAGABRIA
S
Come è noto, le bombe sganciate dagli aerei Nato distrussero, tra
i numerosi altri, tutti e tre i ponti di Novi Sad, punto nodale
della più grande via fluviale dell'Europa centro-orientale: il
"Ponte della Libertà", il "Ponte Zezelj" e il "Ponte di
Petrovaradin". Da allora la navigazione è strozzata. Fino a
quando? L'ambasciatore della Repubblica federale di Jugoslavia a
Vienna, Rados Smiljkovic, ha dichiarato che Belgrado "è disposta
ad adottare un atteggiamento costruttivo per quanto riguarda il
ripristino della navigabilità sul Danubio", e tale obiettivo va
perseguito "nel quadro di una soluzione complessiva del problema,
che preveda al tempo stesso il dragaggio del fiume, la
costruzione di ponti provvisori e la progettazione, il
finanziamento e la realizzazione di nuovi ponti".
Belgrado non insiste sull'abrogazione delle sanzioni alla
Jugoslavia prima dell'inizio dei lavori, ma esige che il
finanziamento dei progetti dei ponti sul Danubio sia a carico dei
paesi occidentali responsabili della loro distruzione. E' la
risposta che viene data ai governi rappresentati nella
"Commissione per il Danubio" con sede a Budapest, i quali,
denunciando le gravi perdite subite per il disastro compiuto
dalla Nato, hanno da tempo avviato trattative con la Jugoslavia
per la rimozione delle carcasse dei ponti abbattuti.La risposta
del governo jugoslavo si inserisce in un difficile quadro
politico-finanziario. Belgrado, per cominciare, non dispone del
denaro necessario per eseguire l'opera. I pochi mezzi di cui
dispone servono per la ricostruzione delle infrastrutture civili
e industriali essenziali e, in un momento in cui non viene alcun
aiuto dall'esterno, la navigazione danubiana costituisce un
problema secondario rispetto alle priorità assolute
dell'industria e della rete energetica.
A loro volta gli Stati uniti e, sotto la loro pressione, parte
dei paesi dell'Unione europea, rispondono "no": i ponti distrutti
deve ricostruirli Belgrado a sue spese. Per punizione. In tal
modo, però, oltre alla Jugoslavia vengono presi a schiaffi una
mezza dozzina di altri paesi dell'Europa danubiana, alcuni
dei quali membri della Nato e dell'Ue.
Continua così l'agonia del grande Danubio, continuano a crescere
i danni alle economie dei paesi bagnati dalle sue acque. Basti
riflettere su pochi dati. Prima che la Nato compisse quel
disastro, sul Danubio venivano trasportati annualmente più di
cento milioni di tonnellate di merci. Dal marzo 1999 ad oggi non
è stato realizzato neppure un quinto di quel volume di traffici.
Gli ucraini non possono trasportare i loro minerali destinati
alle ferriere dell'Occidente. I catamarani bulgari che
trasportavano centinaia di automezzi pesanti e rimorchi, sono
fermi. Molte aziende rumene, già fiorenti grazie al trasporto di
granoturco, soia e nafta, sono fallite. I costruttori navali
slovacchi non riescono a consegnare ai committenti le navi
fluviali costruite per loro, né ricevono nuove commesse. La sola
grande compagnia fluviale austriaca Ddsg-Cargo subisce ogni
giorno perdite per 80.000 dollari. Gravi sono pure le perdite
degli armatori serbi, anche se questi trovano la via libera verso
Romania e Bulgaria e riescono ad operare in regione aggirando
l'ostacolo di Novi Sad: si servono di una rotta di riserva,
quella del Canale Novi Sad-Odzaci-Bogojevo, costruito ai tempi di
Tito e lungo 95 km. Belgrado ne fa uso esclusivo, facendo
eccezione unicamente per le navi russe ed ucraine la cui ultima
tappa è questa regione. Non vanno più in là.
Alcuni paesi hanno sfogato la loro rabbia ricorrendo a rischiose
quanto sterili misure: le autorità rumene hanno sequestrato per
un certo periodo alcune navi serbe nel porto di Costanza; in
Bulgaria sono state pronunciate parole grosse contro la Serbia e
c'è stato uno scambio di roventi note diplomatiche. Sofia
minaccia di vietare ai camion serbi il transito attraverso la
Bulgaria. Ma tutti questi paesi hanno bisogno gli uni degli
altri, per cui non si esclude che alla fine - se gli Usa
insisteranno sulla loro politica anti-jugoslava ciecamente
punitiva - i paesi danubiani decideranno di assumersi l'onere
della rimozione delle carcasse dei "vecchi" ponti e della
ricostruzione, insieme alla Jugoslavia, dei ponti di Novi Sad. Il
che non sarà facile dato che tali paesi, Austria a parte, sono
tutti in condizioni economiche disagiate.
Stando alle stime degli esperti della Commissione Danubiana - i
lavori per la rimozione dei ponti distrutti dalle acque del fiume
costeranno 14 milioni di euro; a questi vanno aggiunti 76 milioni
per la ricostruzione di nuovi ponti, totale novanta milioni. Ma
non è tutto. Altri milioni, per ora non quantificati, saranno
necessari per il ripescaggio e la distruzione delle bombe aeree
inesplose cadute nel fiume e per estese opere di dragaggio e
pulizia della via navigabile, opere totalmente trascurate nel
corso dell'ultimo decennio.
Un'ultima considerazione. L'urgenza di un accordo sul Danubio è
dettata dalla preoccupazione di disastrose alluvioni. D'inverno,
soprattutto in gennaio e febbraio, la superficie del fiume in
alcuni punti del suo corso pannonico si copre di ghiaccio. Se
questo fenomeno si verificherà nella zona dei ponti crollati, il
ghiaccio si cementerà alle carcasse dei ponti abbattuti e formerà
con essi una barriera, con conseguente accumulo delle acque come
in un lago; e la catastrofe delle alluvioni sarà inevitabile.