L'agonia di un grande fiume soffoca l'economia di 6 paesi

SCOTTI GIACOMO

DANUBIO

L'agonia di un grande fiume soffoca l'economia di 6 paesi

La Nato ha distrutto i ponti di Novi Sad. Danni a catena in tutti i Balcani

- GIACOMO SCOTTI - ZAGABRIA

S econdo le stime più recenti, la distruzione dei ponti sul Danubio in Serbia, opera della Nato nella primavera scorsa, e la conseguente interruzione dei traffici su quella grande arteria navigabile, ha arrecato ingenti danni ai paesi danubiani: oltre un miliardo di dollari. In questa cifra, destinata ad aumentare col protrarsi del blocco della navigazione, non sono calcolati i danni alle strutture, ma soltanto quelli derivanti dalla mancata realizzazione dei profitti delle flotte fluviali, le spese per la sosta forzata delle navi nei porti e quelle di manutenzione di centinaia di navi che da oltre sette mesi restano ferme con i loro carichi nelle acque territoriali dei paesi danubiani.

Come è noto, le bombe sganciate dagli aerei Nato distrussero, tra i numerosi altri, tutti e tre i ponti di Novi Sad, punto nodale della più grande via fluviale dell'Europa centro-orientale: il "Ponte della Libertà", il "Ponte Zezelj" e il "Ponte di Petrovaradin". Da allora la navigazione è strozzata. Fino a quando? L'ambasciatore della Repubblica federale di Jugoslavia a Vienna, Rados Smiljkovic, ha dichiarato che Belgrado "è disposta ad adottare un atteggiamento costruttivo per quanto riguarda il ripristino della navigabilità sul Danubio", e tale obiettivo va perseguito "nel quadro di una soluzione complessiva del problema, che preveda al tempo stesso il dragaggio del fiume, la costruzione di ponti provvisori e la progettazione, il finanziamento e la realizzazione di nuovi ponti".

Belgrado non insiste sull'abrogazione delle sanzioni alla Jugoslavia prima dell'inizio dei lavori, ma esige che il finanziamento dei progetti dei ponti sul Danubio sia a carico dei paesi occidentali responsabili della loro distruzione. E' la risposta che viene data ai governi rappresentati nella "Commissione per il Danubio" con sede a Budapest, i quali, denunciando le gravi perdite subite per il disastro compiuto dalla Nato, hanno da tempo avviato trattative con la Jugoslavia per la rimozione delle carcasse dei ponti abbattuti.La risposta del governo jugoslavo si inserisce in un difficile quadro politico-finanziario. Belgrado, per cominciare, non dispone del denaro necessario per eseguire l'opera. I pochi mezzi di cui dispone servono per la ricostruzione delle infrastrutture civili e industriali essenziali e, in un momento in cui non viene alcun aiuto dall'esterno, la navigazione danubiana costituisce un problema secondario rispetto alle priorità assolute dell'industria e della rete energetica.

A loro volta gli Stati uniti e, sotto la loro pressione, parte dei paesi dell'Unione europea, rispondono "no": i ponti distrutti deve ricostruirli Belgrado a sue spese. Per punizione. In tal modo, però, oltre alla Jugoslavia vengono presi a schiaffi una mezza dozzina di altri paesi dell'Europa danubiana, alcuni dei quali membri della Nato e dell'Ue.

Continua così l'agonia del grande Danubio, continuano a crescere i danni alle economie dei paesi bagnati dalle sue acque. Basti riflettere su pochi dati. Prima che la Nato compisse quel disastro, sul Danubio venivano trasportati annualmente più di cento milioni di tonnellate di merci. Dal marzo 1999 ad oggi non è stato realizzato neppure un quinto di quel volume di traffici. Gli ucraini non possono trasportare i loro minerali destinati alle ferriere dell'Occidente. I catamarani bulgari che trasportavano centinaia di automezzi pesanti e rimorchi, sono fermi. Molte aziende rumene, già fiorenti grazie al trasporto di granoturco, soia e nafta, sono fallite. I costruttori navali slovacchi non riescono a consegnare ai committenti le navi fluviali costruite per loro, né ricevono nuove commesse. La sola grande compagnia fluviale austriaca Ddsg-Cargo subisce ogni giorno perdite per 80.000 dollari. Gravi sono pure le perdite degli armatori serbi, anche se questi trovano la via libera verso Romania e Bulgaria e riescono ad operare in regione aggirando l'ostacolo di Novi Sad: si servono di una rotta di riserva, quella del Canale Novi Sad-Odzaci-Bogojevo, costruito ai tempi di Tito e lungo 95 km. Belgrado ne fa uso esclusivo, facendo eccezione unicamente per le navi russe ed ucraine la cui ultima tappa è questa regione. Non vanno più in là.

Alcuni paesi hanno sfogato la loro rabbia ricorrendo a rischiose quanto sterili misure: le autorità rumene hanno sequestrato per un certo periodo alcune navi serbe nel porto di Costanza; in Bulgaria sono state pronunciate parole grosse contro la Serbia e c'è stato uno scambio di roventi note diplomatiche. Sofia minaccia di vietare ai camion serbi il transito attraverso la Bulgaria. Ma tutti questi paesi hanno bisogno gli uni degli altri, per cui non si esclude che alla fine - se gli Usa insisteranno sulla loro politica anti-jugoslava ciecamente punitiva - i paesi danubiani decideranno di assumersi l'onere della rimozione delle carcasse dei "vecchi" ponti e della ricostruzione, insieme alla Jugoslavia, dei ponti di Novi Sad. Il che non sarà facile dato che tali paesi, Austria a parte, sono tutti in condizioni economiche disagiate.

Stando alle stime degli esperti della Commissione Danubiana - i lavori per la rimozione dei ponti distrutti dalle acque del fiume costeranno 14 milioni di euro; a questi vanno aggiunti 76 milioni per la ricostruzione di nuovi ponti, totale novanta milioni. Ma non è tutto. Altri milioni, per ora non quantificati, saranno necessari per il ripescaggio e la distruzione delle bombe aeree inesplose cadute nel fiume e per estese opere di dragaggio e pulizia della via navigabile, opere totalmente trascurate nel corso dell'ultimo decennio.

Un'ultima considerazione. L'urgenza di un accordo sul Danubio è dettata dalla preoccupazione di disastrose alluvioni. D'inverno, soprattutto in gennaio e febbraio, la superficie del fiume in alcuni punti del suo corso pannonico si copre di ghiaccio. Se questo fenomeno si verificherà nella zona dei ponti crollati, il ghiaccio si cementerà alle carcasse dei ponti abbattuti e formerà con essi una barriera, con conseguente accumulo delle acque come in un lago; e la catastrofe delle alluvioni sarà inevitabile.

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