La diversissima vita di una donna normale

CASTELLINA LUCIANA

La diversissima vita di una donna normale

Ieri i funerali di Nilde Iotti: coraggiosa, "per bene", da tutti amata e rispettata

- LUCIANA CASTELLINA -

P erché Nilde Iotti è stata tanto amata e così unanimemente rispettata, da compagni e da avversari? Perché - io credo - ha avuto il coraggio di comportarsi come una donna normale, sebbene la sua vita normale non sia stata affatto. Credo Togliatti l'abbia amata anche per questo. E ricordo, in qualche lontanissima serata nel villino di Montesacro, alla fine degli anni '50, di come lui era contento che la tavola fosse ben apparecchiata; il cibo buono; la casa curata nei dettagli; lei vestita come una signora, come a nessuna di noi nel partito, e tantomeno alle più anziane sue coetanee, veniva allora in mente di vestirsi; il modo di parlare corretto, "perbene".

Tutto questo se Nilde avesse vissuto come una qualsiasi signora borghese avrebbe naturalmente avuto un altro significato. Ma così non è stato; ed è proprio questa sua scelta di continuare a muoversi come se invece lo fosse stata che le ha conferito un tratto così particolare.

La sua vita è stata in realtà a lungo diversissima. Non solo perché non era cosa da niente essere eletta all'Assemblea Costituente, a 26 anni, appena uscita dall'Università Cattolica di Milano, e già allora con quel suo aspetto da signora, da una base comunista che nel 1946 a Reggio Emilia era a stragrande maggioranza composta di mezzadri e braccianti segnati dalla durezza di un conflitto di classe fra i più aspri. Da quelle parti si sparava ancora, e i padroni e la polizia continuarono a sparare a lungo: Marisa Malagoli, la bambina adottata per dar più calore al primo "focolare" che Togliatti si era potuto permettere nella sua vita tormentata di militante rivoluzionario, era la più piccola degli undici fratelli di un giovane operaio modenese ucciso insieme a cinque suoi compagni davanti al cancello della fabbrica Orsi, a Modena, il 9 gennaio 1950.

E poi l'incontro con Togliatti che la catapultò nel cuore di un mondo - quello del Comintern nel drammatico dopoguerra staliniano - da cui il segretario del Pci cercava di prendere le distanze ma doveva farlo in modi e tempi che non mortificassero l'orgoglio di milioni di comunisti per tante ragioni legato al mito dell'Unione sovietica. Di quelle permanenze drammatiche a Mosca Nilde mi ha - molti anni dopo, e quando Togliatti non c'era già più - spesso raccontato. E ricordo il suo affetto, la sua stima e riconoscenza per Luigi Longo, tanto a lungo numero due del partito, per la fermezza con cui aveva fatto muro ai ripetuti tentativi sovietici di trattenere Togliatti in Urss, affidandogli incarichi internazionali, sì da "liberare" il più grande partito comunista d'occidente della sua guida non ortodossa.

Non andavano volentieri a Mosca Togliatti e Nilde; e infatti, contrariamente all'abitudine dei dirigenti comunisti degli altri paesi, le vacanze le passavano - con disappunto del Pcus - in Val D'Aosta. Non l'ultima. Come è noto quell'estate erano in Crimea, presso il famoso campo dei Pionieri di Artek, perché il segretario del Pci non aveva voluto lasciar cadere un altro, estremo tentativo di impedire che la fatale rottura con la Cina si approfondisse, non perché con la scelta maoista fosse d'accordo, ma perché voleva salvare l'autonomia di ogni partito comunista, la libertà di scegliere il proprio modello, di salvaguardare la propria diversità. I sovietici sapevano che Togliatti stava scrivendo una dura lettera, forse "aperta", e Nilde mi raccontò al suo ritorno l'angoscia della lunga agonia del suo compagno, lei al suo capezzale, mentre fuori, seduti sotto un grande albero nella calura dell'agosto sul Mar Nero, i dirigenti sovietici aspettavano parlottando fra loro, preoccupati all'idea delle conseguenze politiche che avrebbero potuto verificarsi nel caso in cui quel documento critico che Togliatti aveva appena finito di scrivere fosse circolato. Si trattava di quel testo poi diventato famoso come Memoriale di Yalta che Longo rese subito pubblico, senza preavviso, davanti all'immensa folla radunata a San Giovanni per il funerale del segretario del Pci.

La freddezza del partito

Non fu sempre e subito unanimemente amata nel partito, Nilde. Il suo legame con Togliatti, incontrato a Montecitorio nel '46, fu mal tollerato nel clima bigotto di quegli anni in cui non solo il divorzio non c'era ma il Pci si guardò bene dal chiederlo per almeno altri vent'anni. A Torino, città della moglie di Togliatti, Rita Montagnana, Nilde per anni e anni non poté mettere piede. E in fondo, sebbene convivesse pubblicamente con il segretario del Pci, come sua compagna nel partito fu legittimata solo dopo la sua morte, e precisamente in occasione del funerale, quando fu consentito a Nilde in gramaglie di stare accanto al feretro e Longo nel suo discorso le rivolse le condoglianze ufficiali dei comunisti. Era il 1964, ed erano passati già 18 anni.

Le donne Nilde le conquistò dopo molti anni e in realtà proprio grazie alla battaglia che in qualità di responsabile della sezione femminile del Pci condusse in favore di una radicale riforma del Codice della famiglia e del diritto a porre fine al matrimonio. I tempi erano cambiati e quanto prima le era stato rimproverato era oramai largamente accettato. Ma fu una battaglia non facile da vincere nel partito: il ritardo con cui il Pci colse la maturazione della società civile resta una delle ombre più pesanti della sua storia. Ricordo quando portammo alla direzione del partito il testo della proposta di legge che avevamo elaborato e ci imposero di tagliare gli articoli che riguardavano il divorzio dal testo da presentare alla Camera, consentendo solo a che l'argomento fosse proposto come tema di discussione alla Conferenza nazionale delle donne comuniste del 1965. La maggioranza della direzione - e segnatamente Amendola, Pajetta e Berlinguer - ci dissero che la gente non avrebbe capito, contrariamente a Longo e in particolare a Macaluso che ci sostenne proprio in nome della tragica sorte delle "vedove bianche" siciliane, le donne abbandonate dai mariti emigrati e che però non potevano rifarsi una vita. Subimmo la decisione con amarezza ma senza ribellione: noi contavamo poco e Nilde era ed è sempre rimasta fedelissima alla disciplina di partito.

E tuttavia, contrariamente alla prassi assai prudente di allora, fu sempre coraggiosa e "liberale" nella sua direzione della sezione femminile, dove con lei ho lavorato per molti anni. Consentì, per esempio, al primo convegno che preparammo assieme all'Istituto Gramsci sulla famiglia. Un convegno di cui oggi si direbbe che fu "estremista", perché decisamente spregiudicato, controcorrente. E lo fece perché la sua pacatezza, il suo apparire quasi conservatrice per il suo modo di fare, non significava affatto che le mancasse il gusto di incontrarsi e discutere anche con esperienze e culture diverse dalla sua. Quando dopo l'undicesimo congresso del Partito - quello famoso, nel 1966, in cui Ingrao osò dire "non sono d'accordo" - tutti gli ingraiani furono allontanati da Botteghe Oscure e io con loro, Nilde si arrabbiò molto per la decisione che, credo senza neppure consultarla, era stata presa nei miei riguardi. E si batté perché fosse rimessa in discussione. Ottenne, come compromesso, che anziché esser allontanata dalla vita del partito fossi proposta per la presidenza dell'Udi, un organismo allora importante, la cui attività era strettamente intrecciata con quella del Pci. Quando poi ci fu la radiazione del manifesto, tre anni più tardi, Nilde Iotti fu una dei pochi dirigenti del Pci che continuò, pur nel clima gelido che si era creato, a salutarmi con calore quando mi incontrava.

Dinanzi alla sua bara hanno sfilato a decine di migliaia, per tutta la domenica. Non era solo per lei, Nilde Iotti, certamente. Era anche perché l'omaggio reso in quella camera ardente era omaggio a uno degli ultimi simboli del vecchio non dimenticato tuttora amatissimo Partito comunista italiano. Al simbolo più importante, perché Nilde era se stessa ma anche la compagna di Palmiro Togliatti. C'era, nella lunga coda che si è snodata attorno a Montecitorio e poi nella sala della Lupa, il popolo di sinistra delle grandi storiche occasioni e si vedeva nei volti il groppo di nostalgia che quella morte faceva riemergere in uomini e donne un po' smarriti che chissà mai dove oggi militano, cosa pensano e per chi votano. Non un'emozione confinata alle vecchie generazioni: a migliaia hanno affollato anche il sito "Nilde Iotti" aperto dai Ds, e si sa che chi naviga in Internet sono soprattutto i giovani, anzi i giovanissimi.

Fra i tantissimi messaggi che trovo "on line", ne scelgo uno, quello di "Sandra", perché riassume meglio di ogni altro un comune sentire di moltissimi che hanno scritto: "Ciao Nilde, ti ricordo come ti ho vista in un filmato, con un vestito a fiori il giorno dell'attentato a Togliatti; e sempre con lui e con la piccola Marisa, in una foto che vi ritraeva in montagna. Nilde, hai camminato in testa a noi nelle lotte di riscatto e di emancipazione, fieri di te ti abbiamo vista sedere con grande dignità in Parlamento. Spero non ti dispiaccia, Nilde, se, a dispetto dei cambiamenti cui pure tu hai contribuito, io canterò Bandiera rossa".

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