BERLINO MUSICA
- MARCELLO LORRAI - BERLINO
C hi sarà mai il pianista e tastierista che suona nel quartetto del contrabbassista William Parker? Nel programma del Total Music Meeting non è indicato, e per un'ora rimane seduto dando le spalle al pubblico.
E' solo quando finisce il primo set e Parker segnala i suoi partner all'applauso del pubblico che, a sorpresa, il misterioso musicista alto e magro si rivela essere Alan Silva, entrato negli annali del jazz come contrabbassista e leader, uno dei bolscevichi della cosiddetta rivoluzione d'ottobre ('64) del free jazz, uno degli estremisti dell'estate calda (e canto del cigno del free) di Parigi nel '69.
Al Podewil, dove la rassegna si svolge, fa un certo effetto rivedere assieme, che solidarizzano a tavola al ristorante, e chiacchierano nei camerini, quattro su sei dei musicisti di Conquistador! di Cecil Taylor, uno dei capolavori ('66) del free e di tutta la musica neroamericana.
C'è lo stesso Taylor, c'è il batterista Andrew Cyrille, che al Total Music Meeting ha suonato con il pianista, c'è Alan Silva, che adesso vive in una cittadina tedesca, e c'è anche il trombettista Bill Dixon, con Taylor una delle personalità più lucide, intransigenti e di più forte caratura intellettuale espresse dal free.
Dixon è di scena in una serata che ufficialmente chiude l'istituzionale Jazz Fest, ma che si tiene nella stessa sede del Total Music Meeting della Free Music Production e che in realtà ne costituisce un'appendice. Alla tromba e al flicorno si esibisce in quartetto, con un batterista europeo di matrice "radicale" con cui (come Taylor) ha stabilito una felice consuetudine, l'inglese Tony Oxley, e due contrabbassisti tedeschi, Matthias Bauer e Klaus Koch.
Lo stile essenziale e riflessivo, profondo, di Dixon si sposa benissimo con il drumming disarticolato, antiretorico, davvero "radicale" di Oxley. Bill Dixon è un distinto signore neroamericano di settantaquattro anni, con spessi occhiali, barba bianca ben curata e abbigliamento casual da cui traspaiono però uno spiccato senso di sé e un notevole gusto per l'eleganza.
In contrasto col temperamento severo, austero della sua musica, Dixon ama molto scherzare ed è un conversatore cordiale e generoso.
Dopo aver rinunciato all'insegnamento dopo un quarto di secolo di attività didattica, lei si sta occupando del riordino e della pubblicazione delle sue numerose registrazioni inedite. Ma intanto continua a suonare e a comporre.
Prossimamente dovrei lavorare ad un brano per orchestra di ampie dimensioni. Avevo già fatto un pezzo di tre quarti d'ora con l'orchestra di Tony Oxley. Questa nuova composizione orchestrale, per un organico abbastanza inusuale, potrebbe essere presentata la prossima primavera al Vision Festival che William Parker organizza ogni anno a New York. Non ho realizzato molte opere orchestrali, perché non ci sono molti committenti per cose di questo genere: vogliono sempre un trio, un quartetto...
A metà degli ottanta avevo scritto un lungo pezzo dedicato a Nelson Mandela, in tempi in cui ancora non si usava, con le parole che Mandela aveva pronunciato quando fu condannato alla prigione, parole affidate all'interpretazione di un baritono. In passato ho anche desiderato di poter scrivere per l'orchestra sinfonica della Rai di Roma.
Quali sono i musicisti con cui suona abitualmente?
Non partecipò più a gruppi musicali. Non mi piace lavorare con musicisti che suonano con te ma anche con altri e con altri ancora, eccetera. Ho fatto così anch'io da giovane, per imparare, ma adesso è una situazione che non mi interessa, voglio dei musicisti che stiano stabilmente insieme, perché riuscire a suonare in un gruppo in maniera libera e allo stesso tempo arrivare ad esprimere sé stessi è una cosa lunga. E siccome non lavoro abbastanza per poter tenere dei musicisti in esclusiva per me...
Ma quello che davvero mi piacerebbe, sarebbe di poter avere la disponibilità completa, qui in Europa, di una grande orchestra per, diciamo, un anno, ed essere in contatto con loro e suonare assieme quando voglio.
Dalle sue dichiarazioni si può trarre l'impressione che nel campo dell'improvvisazione neroamericana non ci sia un vero ricambio generazionale. Qual è la sua opinione?
La mia opinione è che la musica che segna in modo decisivo il linguaggio nella pratica musicale nera, è la musica degli anni sessanta, che non si è preoccupata delle forme consolidate ma semplicemente le ha cambiate facendo qualcosa d'altro. La musica di quel periodo ha mutato tutto: niente più standard, niente più vecchi accordi. Per la prima volta nella storia di questa musica, tutto quello che i musicisti facevano era stato creato da loro. E mi fa diventare matto vedere giovani che ignorano tutto questo e tornano indietro ad imitare quello che è già stato fatto da qualcun altro.
Certo ci sono anche motivi sociali: oggi un musicista vive con i genitori fino a quarant'anni: anche mio figlio vive ancora con sua madre. Non sappiamo chi sarà il prossimo innovatore, ma di certo non sta studiando in una di queste scuole che producono dei mediocri primi della classe del jazz.
Questa situazione è dovuta a questioni di politiche?
E' triste, ma questi giovani musicisti non sanno niente di politica: tutto quello a cui aspirano è un finanziamento per fare la loro musica. Non sanno neanche perché oggi loro si possono permettere certe cose: quando avevo vent'anni, per me entrare in un locale a bere una birra era illegale. Adesso non è più così, nessuno si occupa di politica.
Negli anni sessanta invece era incredibile, soprattutto a New York: movimento degli studenti, delle donne, dei diritti civili... e la gente aveva delle passioni: discutevamo, litigavamo, eravamo fanaticamente appassionati alla nostra musica, che per noi era la cosa più importante del mondo.
(con la collaborazione di Gigi Zanon)