JENS REICH
- ALESSANDRA ORSI -
S cienziato, specializzato in biologia e medicina, Jens Reich è un intellettuale che ha sempre inteso l'impegno politico come il dovere di esporsi in prima persona.
Fin dall'inizio degli anni '70 ha partecipato attivamente alla formazione dei primi gruppi di opposizione che, grazie alla protezione delle chiese evangeliche, si schierarono contro quelle derive staliniste che portarono, nel 1976, all'espulsione del cantautore Wolf Biermann. In seguito al suo rifiuto di entrare a far parte di uno dei cosiddetti "partiti del blocco" che affiancavano la Sed alla guida della Rdt, è stato dapprima privato della direzione dell'Istituto di fisica biologica dell'università di Berlino e poi della possibilità di viaggiare in occidente. Ha continuato a scrivere sotto pseudonimo saggi e interventi molto critici sulla situazione del paese. Nel settembre 1989 è stato tra i primi firmatari di un appello dal titolo "I tempi sono maturi", con cui intellettuali e artisti della Rdt invitavano la popolazione a impegnarsi apertamente per un cambiamento politico. Era il primo atto della fondazione del Neues Forum, il movimento civico che ha dato un contributo fondamentale alla caduta del regime di Honecker e che è stato tra i promotori della grande manifestazione che si è svolta in Alexanderplatz il 4 novembre.
Dopo l'unificazione si è ritirato dalla politica attiva fin quando, nel 1993, è stato candidato alla Presidenza della Repubblica grazie a un'iniziativa trasversale di vari partiti tra cui i Verdi e organizzazioni giovanili della Spd, dei Liberali e del Bündnis 90.
L'apertura del Muro è stata per tutti una sorpresa, ma anche l'esito di una protesta che ha radici lontane. A dieci anni di distanza che giudizio dà del 9 novembre e di quella che è stata chiamata la rivoluzione dal basso?
E' bello che il Muro sia caduto e che la popolazione della Rdt si sia liberata da una dittatura. Ricordo con piacere quei giorni, c'era una grande eccitazione ed è stato un momento straordinario. Quello dell'autunno è stato un movimento spontaneo della popolazione, della periferia contro il centro, simile a quello sorto in Polonia e in Cecoslovacchia, che ha piegato il sistema e ha portato a un'apertura delle frontiere ben prima di essere recepito nella sua importanza a livello internazionale da personalità come George Bush, Helmut Kohl o Michail Gorbaciov. La volontà di instaurare una democrazia è venuta davvero dalla popolazione della Rdt e in questo senso non ho difficoltà a usare il termine di rivoluzione.
I gruppi di opposizione come il "Neues Forum" pensavano però che il sistema fosse ancora riformabile.
All'epoca la riforma dello stato tedesco orientale appariva l'unica strada sensata per la storia della Rdt. In quel contesto internazionale non sembrava possibile nulla di diverso, dato il confronto in atto tra le superpotenze. Chi in passato aveva tentato un'altra via nei paesi socialisti del patto di Varsavia, come Cecoslovacchia o Polonia, si era trovato i carri armati alle porte. Pensare a una rivolta che potesse avere come esito l'unificazione era una follia, perché equivaleva a immaginare l'Armata rossa in assetto di guerra nelle strade di Berlino est. Nessuno pensava che l'Unione sovietica fosse disposta a rinunciare ai gioielli del suo impero.
Il 7 ottobre, durante i festeggiamenti per il quarantennale della Rdt, Gorbaciov disse: "La vita punisce chi arriva in ritardo", una frase che non poteva essere equivocata.
Non era facile immaginare fin dove si sarebbe spinto Gorbaciov, a cosa avrebbe portato la sua politica di glasnost e perestrojka. Oggi sappiamo che due anni dopo Gorbaciov è stato destituito dall'interno e certo all'epoca non si poteva capire fino a che punto sarebbero stati tollerati movimenti riformisti nei paesi del patto di Varsavia. Che la sua politica sia stata indispensabile e abbia dato coraggio ai movimenti civici non c'è dubbio, ma in quel momento la situazione era ancora assai imprevedibile.
L'autunno dell'89 ha visto impegnati intellettuali, artisti, scrittori, ma anche cittadini di ogni provenienza sociale. Cosa ha lasciato in eredità al presente quell'esperienza?
Dietro il processo che è avvenuto c'è un concetto politico-filosofico che si potrebbe riassumere con l'espressione "società civile", alla cui base c'è l'ipotesi di una suddivisione del potere e di una sua decentralizzazione per aprire il consesso democratico a una maggiore partecipazione. Si è discusso molto - e ci si è anche molto illusi - su questa prospettiva di un controllo dal basso dei poteri. La storia è andata in un'altra direzione e i paesi dell'est hanno in pratica adottato il modello di economia di mercato seguendo l'esempio occidentale. In questo senso non si può che constatare il fallimento di movimenti come Charta 77 o Solidarnosc o dei movimenti dei diritti civili nella Rdt, perché quelle istanze non sono state giudicate praticabili: non è questo che la gente ha votato quando è stata chiamata democraticamente alle urne. Credo però che quelle ipotesi siano state solo archiviate e che in futuro bisognerà far ricorso almeno in parte a queste idee, visto che oggi non si può certo dire che le società occidentali siano pienamente in grado di esprimere grandi prospettive di cambiamento. Mi riferisco a un dibattito che non è solo tedesco: crisi delle strutture politiche e della rappresentanza, sfiducia verso la classe politica e verso governi che la gente continua sì a votare, ma con sempre maggior scetticismo. Si dice: questa politica non è la nostra, ma al momento non sembra esserci un'alternativa. Cambiano i leader ma la politica sembra poco diversa e ne deriva una sorta di blocco allo sviluppo sociale e alla riformabilità dei paesi occidentali. Credo che il concetto di società civile così come il principio di sussidiarietà possano essere ancora utilizzabili per sciogliere il problema della centralizzazione, a favore di una redistribuzione dei poteri che permetta una più ampia partecipazione democratica, anche se tutto ciò non è nell'agenda politica odierna.
Quel che oggi appare evidente è che i gruppi di opposizione non avevano tenuto conto del peso simbolico e storico che aveva l'esistenza, aldilà del Muro, di un'altra Germania, dove anche ai tedeschi dell'est veniva immediatamente riconosciuta la cittadinanza.
E' proprio così: la Rdt si trovava in una situazione assai particolare in quanto "prodotto di risulta" della guerra fredda, unico elemento che la legittimava come stato. Con il mutare della situazione era inevitabile che si ponesse il problema dell'esistenza di due stati nazionali. Per la Polonia e la Cecoslovacchia la situazione era diversa, eppure anche questi paesi hanno adottato il modello occidentale con un esito che oggi, a dieci anni di distanza, lascia molti dubbi, se non altro per le difficili condizioni in cui è stato applicato. Inevitabilmente tutti i paesi dell'ex blocco sovietico sono diventati i più poveri tra gli stati capitalisti e, anzi, la Rdt ha avuto più fortuna da questo punto di vista. Il consenso elettorale verso i partiti postcomunisti in molti di questi paesi è un segnale che fa riflettere sul grado di insoddisfazione ancora esistente, anche se sinceramente non credo che nessuno abbia davvero voglia di instaurare nuovamente regimi analoghi alle passate dittature. Questo genere di nostalgia - o ostalgia come viene chiamata - è più che altro una reazione consolatoria.
E questo porta a un'altra considerazione, cioè che l'unificazione è comunque riuscita.
Certo, la Germania è da ogni punto di vista uno stato nazionale compiuto e i problemi interni restano tali, riguardano infatti la mentalità o la società, in modo non diverso da quanto avviene, per esempio, in Italia tra il Nord e il Mezzogiorno o tra Scozia e Inghilterra, dove le differenze regionali o "quasi etniche" all'interno di un grande paese non sono più un'eccezione. La Germania ovest, dopo la guerra, era riuscita ad assorbire le tradizionali differenze regionali e si presentava come uno stato omogeneo quale ora non è più. Ma questo è un problema che va affrontato come tale, senza drammatizzarlo né, per altro verso, negarlo. All'epoca non si poteva capire fino a che punto sarebbero stati tollerati movimenti riformisti nei paesi del patto di Varsavia. Che la sua politica sia stata indispensabile e abbia dato coraggio ai movimenti civici non c'è dubbio, ma in quel momento la situazione era ancora assai imprevedibile.
Ringraziamo Radiotre per la concessione di questa intervista che andrà oggi in onda nel corso della trasmissione speciale che l'emittente dedica alla caduta del Muro di Berlino. Il programma - con ospiti in studio, testimonianze e interviste a Christa Wolf e Günter Grass - sarà trasmesso dalle 14 alle 18,45.