I dimenticati di Melissa A 50 anni dalle lotte contadine soffocate nel sangue

SCHETTINI GIACOMO

I dimenticati di Melissa A 50 anni dalle lotte contadine soffocate nel sangue

- GIACOMO SCHETTINI -

E ra il 29 ottobre del 1949 quando, nel feudo di Fragalà, Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito caddero sotto i colpi della polizia di Scelba, mentre occupavano e lavoravano la loro terra, usurpata dall'antico barone.

L'eco di quel crepitio e del nome di Melissa rimbalzò dal Sud al Nord e risuonò oltre le Alpi. Le "occupazioni" e la lotta per la riforma degli assetti fondiari e dei patti agrari si riaccesero con più vigore anche in Abruzzo, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia. La polizia sparò ancora sui contadini, in novembre, a Torremaggiore (Foggia), dove furono colpiti a morte Antonio La Vacca e Giuseppe Lamedica e, in dicembre, a Montescaglioso (Matera), dove fu ucciso Giuseppe Novello. La cultura nazionale ne fu scossa. Il pittore Ernesto Treccani da Milano andò a fare il vicesindaco a Melissa. Sindaco era Mario Alicata, circostanza che, più di ogni altra, misura lo spirito di abnegazione a cui il mondo intellettuale si sentì chiamato. Molte bambine nate in quei giorni furono chiamate Melissa.

Poi su quelle tombe incominciò a crescere "l'erba profumata della Calabria", le speranze presero ad appassire e cinque milioni di donne e uomini meridionali si sparsero per l'Europa.

Svolte a destra

La "riforma stralcio" e la istituzione della Cassa del Mezzogiorno furono la risposta moderata alle lotte per la terra. Eppure, queste si erano svolte all'inizio, dal '43 fino al '46-47, in un clima favorevole alla riforma agraria. La rottura dell'unità antifascista internazionale e nazionale (giugno '47: cacciata della sinistra dal governo), la rottura dell'unità sindacale e soprattutto il risultato elettorale del 18 aprile 1948, con l'affermazione di interessi conservatori, portarono all'inasprimento dello scontro e alla risposta riformistica che dava continuità ai residui feudali negli assetti fondiari e nei patti agrari (in questo senso, in un suo saggio, si esprimeva anche il senatore Giuseppe Medici).

Le lotte per la terra furono sconfitte? Furono integrate nei processi di riorganizzazione del capitalismo nelle campagne? Certo, furono sconfitte e furono integrate. Se la Storia non è "un cimitero di cose accadute", ma un campo da esplorare per trovarvi semi non fertilizzati, potenzialità non espresse ma forse ancora esprimibili, possiamo dire che una compiuta riforma agraria, lo comprovano le poche aree dove fu avviata, avrebbe potuto dare alimento ad un modello di sviluppo meridionale più autonomo e robusto. Si sarebbe potuto strutturare un "blocco storico" - in sostituzione di quello agrario che, per oltre un secolo, aveva prodotto e garantito i rapporti del Mezzogiorno con lo Stato e il Nord - con una identità e una forza contrattuale fondate soprattutto sulla valorizzazione di risorse e virtù tipiche del territorio e della tradizione culturale mediterranea e meridionale (lo ricorda Mario Alcaro in un libro di cui il manifesto si occuperà).

Ma le lotte per la terra non furono inutili.

Esse diedero il colpo di grazia alla rottura del blocco agrario. Hanno molta importanza le forze e le forme che influenzano o determinano passaggi delicati della Storia. Infatti le lotte per la terra e la rottura del blocco agrario costituiscono un momento decisivo della transizione dal fascismo alla democrazia e alle libertà repubblicane. Da quelle lotte trassero vita e forza soggetti politici e sociali, soprattutto il Pci e la Cgil, che permisero a moltitudini di donne e di uomini di uscire dalla "storia delle classi subalterne" (e dalla sua spirale di rivolte e passività) e di entrare nella storia nazionale. Presero corpo, cioè, luoghi in cui si elaborarono antiche frustrazioni e aggressività, che trovarono, perciò, forme elevate e non arcaiche di espressione.

Storia alle ortiche

Ora siamo, oltre che ad un dopo-guerra fredda, anche ad un dopo-guerra di classe? L'insorgere di conati di un superfluo anticomunismo sembra volto a cancellare la nozione di conflitto sociale, ingombro per la superiore razionalità della tecnica, del mercato, del capitalismo. Il fatto è che quella razionalità produce molti disastri umani e naturali. I morti dell'autunno del 1949 e tanti, tanti altri lottavano per dare alla democrazia e alle libertà repubblicane fondamenti di giustizia sociale e di uguaglianza: contribuirono a scrivere l'articolo 3 della Costituzione italiana. Capivano, senza aver letto molti libri, che l'essere "uguali perché liberi" doveva oltrepassare e compiersi nell'essere "liberi perché uguali".

Il grande Novecento è stato segnato dal tentativo titanico e tragico di forzare quel passaggio.

Non sapeva, Veltroni "di questo umanesimo di razza contadina".

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