La politica del genocidio

SCOTTI GIACOMO

KOSOVO-NATO

La politica del genocidio

GIACOMO SCOTTI

C ominciamo con una notizia recentissima diffusa dalla televisione di Belgrado: un gruppo di 90 albanesi kosovari, di Pristina, ha inviato al governo jugoslavo un appello nel quale si chiede il rientro nel Kosovo dell'esercito e della polizia della Federazione serbo-montenegrina perché "essi sono stati e restano garanzia di sicurezza nell'intera regione".

Nel messaggio si denunciano "i vandalismi e il terrore dei gruppi terroristici albanesi e il cosiddetto Uck" e si accusano la Missione civile dell'Onu e il suo capo Bernard Kouchner di aver dimostrato "la loro incapacità a impedire questi comportamenti vandalici".

Un secondo Vietnam

Il documento potrebbe sembrare stilato non da kosovari albanesi, ma da milosceviciani di ferro. Purtroppo non è così, esso infatti fotografa una situazione di fatto - quella di Pristina, di Prizren, di Urosevac, di Pec, di Kosovska Mitrovica e di altre città del Kosovo - che certamente porta acqua al mulino del regime belgradese. L'intervento della Nato contro la Jugoslavia che per settantotto giorni ha seminato migliaia di morti e immani distruzioni soprattutto nella sfera degli impianti civili, ha dimostrato per la prima volta nella storia che la guerra si può vincere dall'aria, ma con ciò non si conquista la pace.

Entrare "vittoriose" nel Kosovo senza aver dovuto affrontare una guerra terrestre che poteva trasformarsi in un secondo Vietnam, da mesi ormai le forze internazionali non riescono a instaurare sicurezza e stabilità interne, e ciò nonostante siano state scavalcate (sarebbe meglio dire, forse; calpestate) le norme degli accordi in base alle quali il Kosovo viene presidiato dalle forze Kfor; farne un territorio autonomo ma nel quadro della Jugoslavia e sotto la sovranità jugoslava.

Ma quale sovranità

Di fatto questa sovranità è stata completamente cancellata in tutti i settori; sono state poste le premesse per la secessione della regione.

Le colonne dei profughi serbi e rom kosovari costretti ad abbandonare e che tuttora abbandonano le loro case e terre, i quotidiani omicidi, attentati ed altri incidenti stanno a dimostrare che le finalità "umanitarie" addotte per giustificare l'intervento militare, furono un pretesto e null'altro. Fino a pochi mesi addietro venivano cacciati e uccisi civili albanesi innocenti; ora sono serbi, rom e tutti i non-albanesi ad essere cacciati, perseguitati, uccisi, condannati a pagare per crimini che non hanno commesso.

La loro tragedia conferma che i motivi dell'intervento Nato ed i piani politici per la creazione diun Kosovo autonomo, democratico e plurietnico sono morti e sepolti.

Un futuro nero

Anzi, sono stati creati i presupposti per un futuro nero del Kosovo. Perfino in ambienti antiserbi della Croazia, un commentatore ha scritto: "Chi strappa il Kosovo alla Serbia ara e concima il terreno del revanscismo; chi assegna il Kosovo soltanto agli albanesi, si troverà ben presto di fronte al nazionalismo panalbanese e a nuovi conflitti".

La vera domanda che i più si pongono in quest'area balcanica è: come mai le "forze di pace" inviate nel Kosovo non ottengono i risultati promessi nel garantire la pace? Perché gli Stati uniti, che continuano ad avere il comando in questa "missione" balcanica non si impegnano per stroncare le violenze, le pulizie etniche, e impedire che la storia dei Balcani cominci da capo? Ci sono difficoltà, è vero, ma questa è solo una piccola parte della verità.

I veri obiettivi degli Usa e della Nato non sono quelli pubblicamente dichiarati.

Come in Bosnia

In Bosnia Erzegovina l'Alleanza atlantica sta da oltre cinque anni e ci resterà ancora a lungo; nel Kosovo resterà il tempo necessario per lasciar maturare la sua secessione dalla Serbia, per creare uno staterello etnicamente pulito, albanese "puro", ripulito dai serbi. Fatto assai singolare, questo genocidio è stato già in gran parte compiuto sotto l'egida di chi portò la guerra aerea "umanitaria" nella regione e nella Jugoslavia intera per impedire la pulizia etnica e i massacri.

Sarà portato a compimento -una volta partite le forze Kfor -da quei terroristi riciclati ai quali la Nato ha ora affidato le leve della polizia locale e del potere civile e il cui comandante, Agim Ceku, adesso è inquisito per crimini di guerra per le stragi contro i serbi della Sacca di Medak in Croazia nel 1993. Ma un Kosovo "pulito" non potrà essere democratico, ed a soffrire per la salite al potere del nazionalismo albanese più intollerante e grezzo saranno gli stessi albanesi kosovari.

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