La parata di Jang Zemin

SALVATICI LUCIO

CINA CENTOMILA BAMBINI A TIAN AN MEN

La parata di Jang Zemin

Le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della Repubblica popolare cinese dominate dalla figura del presidente in giacca maoista e occhiali italiani

- LUCIO SALVATICI - PECHINO

E' stata la festa di Jiang Zemin. Il Presidente, Segretario del partito e capo della Commissione militare (le tre principali cariche del paese) ha dominato con la sua immagine e la sua presenza un cinquantesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese nel pieno della tradizione.

Centomila ragazzini tra i nove ed i quattordici anni si sono svegliati alle tre ieri mattina per andare ad occupare la piazza Tiananmen appena ristrutturata per l'occasione e dove di fronte al ritratto di Mao era stato issato (come tradizione) quello del padre della rivoluzione democratica, Sun Yatsen. Armati di cappelli colorati hanno dipinto sulla piazza immagini e slogan approvati dal partito che hanno accompagnato le due ore di parata sulla Via della lunga pace, l'arteria che divide il rostro della città proibita dalla Piazza. Sul rostro al centro (ed un passo più avanti dei suoi sei colleghi del politburo), Jiang Zemin aveva rispolverato la giacca maoista che non usa mai in occasioni internazionali e che lo fa sempre più assomigliare ad un Mao con gli occhiali (l'unico tocco di italianità in questa chermesse pechinese, essendo prodotti appositamente per il presidente da una nostra nota azienda).

Il presidente ha seguito le orme di Deng Xiaoping, che presiedette all'ultima parata (quella del 35esimo anniversario nel 1984, dato che nel 1989 non era proprio il caso di festeggiare). E' sceso dal rostro ed ha passato in rassegna le truppe su una vecchia "Bandiera Rossa", la stessa auto usata da Deng, per poi tornare sul palco e pronunciare un discorso di circostanza, breve e con riferimenti ai suoi predecessori ed ai temi caldi quali quello dell'unificazione del paese ed il recupero di sovranità su Taiwan. Un discorso programmatico era stato quello di Zhu Rongji, il primo ministro la sera prima, alla grande cena celebrativa, ma quello di Jiang Zemin è sembrato servire solamente a supportarne l'immagine di leader "centrale" della nuova leadership post-Deng.

Poi il corteo, con i poco impressionanti ma molto precisi militari, i carri e le batterie missilistiche, gli aerei russi e gli elicotteri francesi, una banda militare da guinness con milletrecento orchestrali. Dietro è sfilato l'immaginario del "Socialismo con caratterisitche cinesi", montato sui carri allegorici. Il corteo era significativamente diviso in tre parti, ognuna aperta dal ritratto gigante del leader massimo. L'apparizione dopo Mao e Deng dell'immagine in piedi di Jiang (in una posa simile a quella di Mao) è stata la consacrazione definitiva di un processo di costruzione della personalità che in questi mesi è cresciuta di pari passo con la rinascita del nazionalismo cinese. Ma malgrado l'enorme numero dei partecipanti, la parata non è stata un evento di massa. La città è stata chiusa in molti tratti (anche se non c'è stato il blocco che tutti si aspettavano), ma l'ingresso era riservato ai soli fortunati detentori di biglietto. I giornalisti sono stati intruppati fin dalle cinque della mattina, e nessun pechinese ha potuto vedere la parata da una finestra migliore di quella della lunghissima diretta della Cctv. Pechino ha vissuto comunque questa giornata, la prima di una intera settimana di celebrazioni, in una atmosfera surreale, liberata dal traffico ossessivo e dagli infiniti cantieri, infiorata come mai si era visto, nemmeno per la grande festa del ritorno di Hong Kong nel 1997. Hanno sfilato anche gli studenti delle università, stesse bandiere negli stessi luoghi ma i carri armati nelle vicinanze lasciavano capire che qualcosa è cambiato.

Dall'immagine monolitica e inquietante dei leader sul rostro, molti hanno cercato di interpretare i segnali poco chiari del protocollo, rispetto alle voci su una crescita dell'importanza di Hu Jintao (il vice presidente) e sul declino della stella di Zhu Rongji. Ma l'unica cosa che non è sfuggita è la riapparizione, ad un anno di distanza dalla sua rimozione da tutte le cariche ufficiali, di Qiao Shi, ex presidente del parlamento ed eminenza grigia dell'unica fronda contraria a Jiang nella dirigenza.

Niente di nuovo, un copione conosciuto e carne al fuoco per chi si lascia affascinare dai simboli evocativi di un regime che qualunque sia il giudizio storico, continua a dare segnali di vitalità e che è in grado di ripetere i suoi rituali in modo quasi invariato in una situazione economica e sociale enormemente diversa.

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