CINA CENTOMILA BAMBINI A TIAN AN MEN
- LUCIO SALVATICI - PECHINO
E'
Centomila ragazzini tra i nove ed i quattordici anni si sono
svegliati alle tre ieri mattina per andare ad occupare la piazza
Tiananmen appena ristrutturata per l'occasione e dove di fronte
al ritratto di Mao era stato issato (come tradizione) quello del
padre della rivoluzione democratica, Sun Yatsen. Armati di
cappelli colorati hanno dipinto sulla piazza immagini e slogan
approvati dal partito che hanno accompagnato le due ore di parata
sulla Via della lunga pace, l'arteria che divide il rostro della
città proibita dalla Piazza. Sul rostro al centro (ed un passo
più avanti dei suoi sei colleghi del politburo), Jiang Zemin
aveva rispolverato la giacca maoista che non usa mai in occasioni
internazionali e che lo fa sempre più assomigliare ad un Mao con
gli occhiali (l'unico tocco di italianità in questa chermesse
pechinese, essendo prodotti appositamente per il presidente da
una nostra nota azienda).
Il presidente ha seguito le orme di Deng Xiaoping, che
presiedette all'ultima parata (quella del 35esimo anniversario
nel 1984, dato che nel 1989 non era proprio il caso di
festeggiare). E' sceso dal rostro ed ha passato in rassegna le
truppe su una vecchia "Bandiera Rossa", la stessa auto usata da
Deng, per poi tornare sul palco e pronunciare un discorso di
circostanza, breve e con riferimenti ai suoi predecessori ed ai
temi caldi quali quello dell'unificazione del paese ed il
recupero di sovranità su Taiwan. Un discorso programmatico era
stato quello di Zhu Rongji, il primo ministro la sera prima, alla
grande cena celebrativa, ma quello di Jiang Zemin è sembrato
servire solamente a supportarne l'immagine di leader "centrale"
della nuova leadership post-Deng.
Poi il corteo, con i poco impressionanti ma molto precisi
militari, i carri e le batterie missilistiche, gli aerei russi e
gli elicotteri francesi, una banda militare da guinness con
milletrecento orchestrali. Dietro è sfilato l'immaginario del
"Socialismo con caratterisitche cinesi", montato sui carri
allegorici. Il corteo era significativamente diviso in tre parti,
ognuna aperta dal ritratto gigante del leader massimo.
L'apparizione dopo Mao e Deng dell'immagine in piedi di Jiang (in
una posa simile a quella di Mao) è stata la consacrazione
definitiva di un processo di costruzione della personalità che in
questi mesi è cresciuta di pari passo con la rinascita del
nazionalismo cinese. Ma malgrado l'enorme numero dei
partecipanti, la parata non è stata un evento di massa. La città
è stata chiusa in molti tratti (anche se non c'è stato il blocco
che tutti si aspettavano), ma l'ingresso era riservato ai soli
fortunati detentori di biglietto. I giornalisti sono stati
intruppati fin dalle cinque della mattina, e nessun pechinese ha
potuto vedere la parata da una finestra migliore di quella della
lunghissima diretta della Cctv. Pechino ha vissuto comunque
questa giornata, la prima di una intera settimana di
celebrazioni, in una atmosfera surreale, liberata dal traffico
ossessivo e dagli infiniti cantieri, infiorata come mai si era
visto, nemmeno per la grande festa del ritorno di Hong Kong nel
1997. Hanno sfilato anche gli studenti delle università, stesse
bandiere negli stessi luoghi ma i carri armati nelle vicinanze
lasciavano capire che qualcosa è cambiato.
Dall'immagine monolitica e inquietante dei leader sul rostro,
molti hanno cercato di interpretare i segnali poco chiari del
protocollo, rispetto alle voci su una crescita dell'importanza di
Hu Jintao (il vice presidente) e sul declino della stella di Zhu
Rongji. Ma l'unica cosa che non è sfuggita è la riapparizione, ad
un anno di distanza dalla sua rimozione da tutte le cariche
ufficiali, di Qiao Shi, ex presidente del parlamento ed eminenza
grigia dell'unica fronda contraria a Jiang nella dirigenza.
Niente di nuovo, un copione conosciuto e carne al fuoco per chi
si lascia affascinare dai simboli evocativi di un regime che
qualunque sia il giudizio storico, continua a dare segnali di
vitalità e che è in grado di ripetere i suoi rituali in modo
quasi invariato in una situazione economica e sociale enormemente
diversa.