1949-1999 SENZA DIALOGO CON LA SOCIETA'
- LUCIO SALVATICI - PECHINO
T
Deng Xiaoping, di cui la storia ricorderà più facilmente
il pragmatismo e molto più difficilmente le teorie, è entrato,
durante il congresso dell'anno scorso, nella costituzione del
partito, alla pari di Marx, Lenin e Mao Zedong. La sua "teoria" è
una costruzione di Jiang Zemin e della terza generazione di
leader, che su di essa hanno cercato una legittimazione politica
che non hanno avuto dalla rivoluzione del 1949. A cinquant'anni
di distanza da quella rivoluzione, di cui non rimangono che le
infinite celebrazioni e pochi vecchissimi veterani, la lente di
ingrandimento di un evento di massa (da cui le masse rimarranno
escluse) ci puo' servire a mettere a fuoco che cosa sta cambiando
in questo paese.
Il Cinquantesimo è un evento in sè, prima di essere
un'occasione per ripercorrere una storia che porta il segno degli
ultimi ritocchi e delle ultime istantanee ritirate fuori dai
cassetti ammuffiti della censura ad assetto variabile. Ma, a
parte per i pochi che si rendono conto della portata ben limitata
di un evento completamente privato dei toni della festa popolare
e inquadrato dentro le regole ferree della sicurezza e
dell'orgoglio nazionale, non c'è nè apatia nè disgusto per gli
eccessi della celebrazione. Le grandi mostre sulle conquiste
della Cina negli ultimi cinquant'anni attraggono centinaia di
migliaia di curiosi, che si soffermano di fronte a improbabili
plastici di città di vetro, alle conquiste spaziali e militari
del paese in scala uno a cento, e ai risultati sorprendenti
dell'ingegneria biologica, che si concretano in enormi cocomeri e
in cavoli di dimensioni inquietanti. In città, di questi tempi,
può sfuggire qualche risata maliziosa, alla vista di draghi
metallici o di luminarie pacchiane, ma in fondo il cattivo gusto
non è sufficiente per spiegare l'accondiscendenza nei confronti
di queste manifestazioni di grandiosità di cui non possono
sfuggire le contraddizioni.
Alla stazione di Pechino il flusso di immigrati dalle
province continua anche in questi giorni, durante i quali le
autorità hanno rispedito a casa circa tre milioni di irregolari
che vivevano e lavoravano clandestinamente nella città. Circa un
quarto della popolazione. Quelli che arrivano, non coscienti del
divieto, vengono rispediti indietro, se hanno in tasca i soldi
per il biglietto, o instradati verso lavori utili alla città,
dove possono guadagnare gli spiccioli necessari a pagarsi il
biglietto per tornare a casa. Rimangono solo quelli (tutta "gente
di fuori", waidi) che lavorano nei cantieri di opere
ancora incomplete, ponti, edifici o strade che dovranno essere
finiti o almeno sembrare tali per il primo ottobre. La città
verrà chiusa, in alcune zone verranno addirittura sigillate porte
e finestre, tutto in nome della sicurezza.
Rimane una Pechino fatta di occupati, di mezzi
disoccupati e di assistiti, di dipendenti pubblici, pensionati e
studenti, figuranti ideali per la celebrazione. Il partito si
proietta verso il nuovo secolo e non trova niente di meglio per
farlo che evitare il contatto, il rapporto diretto con i la
propria gente.
La recente violentissima campagna per estirpare dal
partito e dall'esercito i membri del Falun gong (la setta di
praticanti del Qigong messa al bando perché "fomenta la
superstizione"), non ha fatto altro che dimostrare come il
dialogo tra lo stato e la società continui a non esistere. Il
modello scelto dal Pcc è ancora quello corporativo, in cui le
organizzazioni approvate rappresentano gli interessi collettivi
in modo esclusivo. E se ci si può essere abituati all'esistenza
di un solo sindacato, o di una sola organizzazione delle donne, o
degli studenti, suona invece anacronistico pensare che esista una
sola associazione ufficiale per ogni religione, una sola
associazione di Qigong, una per la protezione dell'ambiente, e
che la legge ne imponga la registrazione ufficiale e la
supervisione di una organizzazione pubblica o di un governo
locale, vietandone tra l'altro l'accesso ai capitali stranieri.
E' noto il caso di quella squadra di calcio che, qualche tempo
fa, per aderire a questo principio, fu costretta a fondere due
diversi fan club in uno unico. Così sarà la parata. Gli slogan
approvati sono stati pubblicati su tutti i giornali e letti dal
primo all'ultimo in un'edizione speciale del Tg, gli spettatori
saranno organizzati lungo il percorso della parata dalle
organizzazioni cui appartengono. Partecipare significa rispettare
le regole. E avere un pass.
Potrebbe sembrare l'immagine classica del totalitarismo,
se non ci fosse, intorno, un'economia urbana vivace e pronta a
violare le convenzioni, una comunità internazionale molto
visibile, un accesso ai mezzi di comunicazione sempre più
semplice, spazi di libertà economica (certo non politica),
impensabili fino a dieci anni fa e nei paesi realmente
totalitari. Allora che totalitarismo è mai quello cinese, che in
cinquant'anni non ha mai perduto il controllo delle leve del
potere e che ha attraversato quasi indenne il periodo di "riforma
e apertura" senza che la sua società scivolasse tra le maglie
sempre più larghe del potere amminsitrativo? Forse è proprio quel
totalitarismo "con caratteristiche cinesi", che Deng Xiaoping ha
lasciato in eredità ai suoi delfini. Una società ben organizzata,
nella quale il ruolo dello stato è tutto interno e per la propria
sopravvivenza non si può prescindere da quella dello stato.
Questo è ciò che hanno imparato i nuovi capitalisti della Cina
popolare, che tutte le libertà di cui possono godere dipendono
dal proprio rapporto con lo stato. E assieme a loro lo hanno
appreso i diseredati, che continuano a vivere negli interstizi
delle città, fornendo servizi e lavoro cui i cittadini si
disinteressano, e vivendo nomadi nelle periferie della città che
cresce e cambia.
Gli immigrati dello Henan si erano insediati in aree che
i pechinesi e le loro attività produttive avevano abbandonato,
perché destinate alla costruzione della quarta circonvallazione,
un anello di quasi duecento chilometri attorno alla capitale. In
quest'area avevano trovato ampi spazi spianati, sui quali
raccogliere i rifiuti della città e dar vita a una vivace
attività di riciclaggio. Sulle spianate del quarto anello est,
rimasto incompiuto per anni, avevano costruito la loro forma di
resistenza alla città che non li voleva. Il cinquantenario, tra
le altre mirabilie, ha portato a termine anche il quarto anello,
scacciandone gli henanesi. Che torneranno, a riflettori spenti,
forse da un'altra parte, resistendo a un totalitarismo sempre
pronto a chiudere un occhio di fronte a chi non chiede di
modificare l'ordine sociale stabilito, ma soltanto di godere dei
resti della sua ricchezza.