La classe letterata

MASI EDOARDA

La classe letterata

Cinquant'anni d'irrisolto rapporto tra intellettuali e contadini

- EDOARDA MASI -

I l cinquantenario della Repubblica Popolare Cinese, nata dalla più grande rivoluzione dei tempi moderni, cade quando è in atto nell'intero pianeta un processo per la cancellazione del "disordine" provocato negli ultimi duecento anni dai movimenti per l'emancipazione delle classi subalterne e dei popoli soggetti e verso la restaurazione di un "ordine" precedente non solo alle rivoluzioni socialiste ma alla stessa rivoluzione francese. La dialettica dell'illuminismo sembra aver raggiunto il punto estremo, quando il trionfo del capitale (propagandato sotto le vesti del "mercato" e del "privato") porta a distruggere non solo le speranze di liberazione che avevano animato il movimento operaio e anticoloniale ma anche il riformismo borghese (dal New Deal alle socialdemocrazie allo stato sociale) e infine l'intera tradizione della borghesia e dei suoi valori, lo stato liberale e la funzione pubblica, che si erano affermati nel diciannovesimo secolo.

La critica cinese

Già largamente scontato era il crollo del "socialismo reale", per tanta parte dominato dagli stessi princìpi del capitale, oltre che dal sistema di gerarchie. Ne erano state consapevoli, in Europa, solo poche minoranze di comunisti all'opposizione, mentre questa critica si era diffusa in Cina, per la prima volta su vasta scala. Ma anche la rivoluzione cinese, ultima nel tempo e la più significativa, che aveva prodotto il pensiero socialista più maturo, ha ceduto infine alla pressione del capitale. Il groviglio delle contraddizioni, tuttora non risolte, si è riflesso e si riflette nelle coscienze e nei comportamenti dei ceti colti.

Alla caduta dell'impero corrisponde la perdita di ruolo della classe dirigente letterata e l'uscita dalla cultura dell'universismo. Fino dagli anni dieci e venti si manifesta in Cina la funzione contraddittoria del rapporto con l'Europa, colonizzatrice e liberatrice; e la ricerca di identità di un ceto colto "moderno", che propugna il potere popolare e, ad un tempo, si propone come nuova èlite. I letterati promotori della trasformazione e del rinnovamento guardano all'Europa, in particolare all'Europa nata con la rivoluzione francese e con la rivoluzione industriale. Si diffondono le concezioni evoluzionistiche e progressiste, e la salvezza della Cina sembra da ricercare nella modernizzazione economica (industrializzazione) e nella democrazia. I politici liberali si riconoscono quasi incondizionatamente nella cultura dell'Occidente, e appoggiano la politica del Guomindang, ad un tempo modernizzatore e conservatore (sviluppo di una borghesia compradora , più educazione sui testi confuciani).

Fra i rivoluzionari si riscontra un atteggiamento più complesso: mentre si ispirano largamente ad autori e a movimenti politici e culturali occidentali e condannano radicalmente la tradizione confuciana, sottolineano però le specificità cinesi, l'assenza in Cina di una borghesia autoctona e la centralità dei contadini.

Ideologie della modernità

Via via per tutto il corso della rivoluzione e dopo la liberazione, le personalità più attente al localismo contadino, contro ogni apparenza, hanno meglio inteso la modernità e l'internazionalismo, hanno percepito più correttamente il rapporto reale che l'Occidente stabilisce col resto del mondo, anche sul piano culturale.

Le ideologie urbane della modernità e del progresso, tardo-borghesi o socialiste, affermano il primato dell'industria, e del grado di industrializzazione di una società fanno il metro della civiltà e della qualità della cultura; per esse la diversità cinese si presenta come inferiorità, e più precisamente come arretratezza. Chi parte dal localismo contadino non solo coglie prima degli altri il rapporto fra il colonialismo e le ideologie dell'Occidente, ma arriverà a comprendere anche come una civiltà borghese apportatrice di libertà si sia evoluta verso forme di sfruttamento senza contropartite e di tirannia, anche al proprio interno, nel rapporto reale fra classi privilegiate e lavoratori.

Nel periodo delle guerre civili e della resistenza antigiapponese si consolida e si organizza, nell'Esercito popolare e nel Partito comunista, una struttura di potere fondata su nuovi quadri, in parte provenienti dal ceto colto, in parte dalla base popolare. La funzione politica e militare si distingue sempre più da quella letteraria, scientifica e artistica. In una situazione di forte impegno politico-patriottico del mondo della cultura, si producono così, inevitabilmente, attriti e conflitti fra politici e intellettuali. Solo in parte fra questi ultimi, nonostante le rivendicazioni di libertà di pensiero e i molti riferimenti ideologici alla condizione degli intellettuali in Europa, matura nel contempo una coscienza più alta della propria specificità, al di fuori della funzione mandarinale. E' esattamente tale funzione che tende a riprodursi nei primi anni della Repubblica popolare, quando l'imitazione della struttura di potere sovietica si innesta sui residui della tradizione autoctona.

La rivoluzione culturale

Il tentativo della rivoluzione culturale, di opporsi alla tradizione e, ad un tempo, alla modernità sovietico-europea (borghese), fallisce per la violenza e la stupidità burocratica con cui l'operazione è condotta e per l'attacco gratuito agli individui; ma anche per l'immaturità del ceto colto, incapace di aggregarsi a ridefinire la propria funzione, perché legato a una ideologia dove acquisire cultura e tutt'uno col distaccarsi dal popolo e porsene al "servizio" assumendo una responsabilità superiore.

Per quanto riguarda i letterati più anziani, e quelli di età intermedia, dopo la morte di Mao Zedong si è sostanzialmente riprodotta la situazione precedente la rivoluzione culturale, salvo l'illusione, nutrita dagli scrittori per un primo periodo, di ottenere libertà di pensiero, oltre a riassumere un ruolo sociale privilegiato. Essi hanno continuato a credersi persone "speciali", la cui libertà va difesa non in quanto cittadini ma perché scrittori e portatori di una missione. Se si escludono alcuni vecchi comunisti sopravvissuti, come Ding Ling e Ai Qing, hanno saputo solo narrare di sé (individui e ceto) e dei torti subiti, incapaci di sottoporre a reale critica il sistema del socialismo degenerato da un punto di vista non importa se comunista o anticomunista.

Solo con le ultime generazioni, dalle già guardie rosse o colpiti dalle guardie rosse, ribelli o perseguitati, repressi poi tutti dalla burocrazia politica, ai "giovani istruiti" mandati in massa negli anni settanta a lavorare in campagna dopo la scuola media, secondo un programma di splendido utopismo equalitario mal compreso e peggio realizzato, e fino ai nati nell'ultimo trentennio, ci troviamo di fronte a una svolta radicale.

Nonostante le sofferenze e le insofferenze, le pene e i fallimenti, gli anni perduti per lo studio, quella discesa al popolo quasi sempre coatta ha consentito a una generazione di abitanti delle città il rapporto diretto con i loro concittadini dell'immenso spazio non urbano. Oggi gli scrittori vi si muovono senza artificio e lo rappresentano con libertà. La loro lucidità si è fatta più acuta per il successivo declassamento subito, con l'ingresso del paese nel cosiddetto "mercato". Si riflette nella scrittura l'esperienza dell'utopia sconfitta, della modernizzazione degli ultimi vent'anni, del degrado sociale. Scacciati a forza dal ruolo mandarinale ad opera sia del comunismo volontaristico che del capitalismo selvaggio, sono stati costretti a prender atto che si è ormai dissolto anche il ruolo di maestri e portavoce del popolo assegnato agli intellettuali dalla tradizione "moderna" ed europeizzante del 4 maggio. Il ceto colto si riconosce spoglio del suo ruolo non più solo ad opera della burocrazia politica ma anche della modernità.

La condizione umana

Lo scontento e il rifiuto si rappresentano nella letteratura non più come manifestazione di un ceto ma come aspetti di generale condizione umana. Si tratta di generazioni deluse dalla falsità della politica e in antagonismo con la società. Viene disprezzata e evitata la carriera di funzionario, quella che per centinaia di anni era stata la meta di ogni persona d'ingegno. Il valore rivendicato è l'autoaffermazione dell'individuo: forse più per un inconscio moto libertario che per spirito liberale - per il quale manca la serenità, in gente profondamente piagata, anche quando ostenta cinismo o indifferenza.

Se la perdita del privilegio è una effettiva liberazione, d'altra parte i "lumi" della ragione e della scienza si rivelano impotenti di fronte al popolo contadino quale esso è, conosciuto oggi nella realtà così diversa dalle immagini della retorica politica. La nuova "discesa al popolo" non concede nulla da nessuna parte. Il ritorno alle radici è la scoperta di abissi disperanti. Resta la necessità ineludibile della discesa, in questa negazione estrema del maoismo che ne è l'ultimo inveramento.

I giovani scrittori e cineasti cinesi ci dicono molto delle difficoltà comuni dei prossimi anni, quando l'illuminismo sarà impotente a governare la società di emarginazione che ha configurato. Ma l'evoluzione delle cose è rapida, in Cina non meno che nei nostri paesi.

Perdita del fine comune

Lo sfacelo sociale e morale indotto dal capitalismo selvaggio è già attuale e comincia a emergere nelle opere. Così come la perdita di un fine comune da perseguire collettivamente porta al rifugio nella sfera individuale, l'eclissi della fraternità internazionale induce inevitabilmente scrittori e popolo a fondare sull'orgoglio nazionale e l'autodifesa nazional-patriottica la resistenza contro la presente, e universale, aggressione colonizzatrice. Le molte e diverse vie seguite dai letterati - dalla scrittura dell'assurdo allo humour più o meno nero, dall'immersione nel mondo magico alla realtà fantastica e al sogno, dalla rappresentazione ambigua della realtà popolare alla ricerca delle "radici", fino al recupero del taoismo - mostrano tutte come tratto comune la ricerca e l'affermazione della identità personale e nazionale.

In assenza di un legante che porti ancora donne e uomini a un'azione sociale e politica comune, sembrano dunque questi i punti di resistenza provvisori contro le forze distruttive - affermati con una forza e una consapevolezza altrove sconosciute.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it