MUSICA FESTIVAL
- MARCELLO LORRAI - RUVO DI PUGLIA
V iaggia verso la quarantina, non si è pentito degli strilli dell'infanzia e di un'adolescenza indisciplinata, da cui gli è rimasto un temperamento anticonformista, ma non cerca pateticamente con lifting e tinture di mascherare l'età. Si accontenta di portare bene i suoi anni e di vivere pienamente una splendida maturità. Se si deve giudicare da due delle rassegne con cui la stagione estiva dei festival di jazz ha l'abitudine di accommiatarsi, la francese Jazz a Mulhouse e il pugliese Talos, il "nuovo jazz" europeo emerso negli anni sessanta, certamente non più "nuovo", si presenta però in forma invidiabile. Nell'ultima settimana di agosto, Mulhouse ha fra l'altro presentato la musica senza rughe di molti dei capiscuola della musica "radicale" del vecchio continente: Derek Bailey, l'inedito quintetto formato da Alex Von Schlippenbach, Evan Parker, Barry Guy, Paul Lovens e Paul Lytton, nonché Peter Kowald e Peter Brotzmann.
Arrivato nei giorni scorsi alla settima edizione, distesa su cinque giornate, il Talos non è stato da meno nel puntare il proprio cartellone su una massiccia presenza di insigni esponenti dell'improvvisazione europea. Scelta indovinata, perché il festival di Ruvo ha confermato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che i migliori protagonisti di questa corrente sono tutt'ora in grado di assicurare una qualità musicale e un coinvolgimento emozionale dell'ascoltatore che in altri ambiti è assai più raro.
Per almeno due fra le preziose occasioni di ascolto che Ruvo ha consentito, bisogna essere particolarmente grati all'edizione '99 del festival. Non capita tutti i giorni di poter ritrovare dal vivo, e in solo, un maestro come il trombonista inglese Paul Rutherford. Provato dalle vicende della vita, Rutherford si esprime però con un linguaggio che è sì prettamente improvvisativo, ma nello stesso tempo aperto, colloquiale, caloroso, pieno di humour e di eleganza discorsiva, illuminato da un suono limpido e ricco di registri. Non capita tutti i giorni neppure di avere schierata di fronte una formazione come la Tapestry Orchestra guidata da Keith Tippett, che, al servizio della rara capacità di scrittura per un largo organico del leader, allinea una compagine di una ventina di elementi di assoluto prim'ordine.
Oltre a quello di Tippett, i nomi di molti dei musicisti che erano con lui sul palco di Ruvo sono nel cuore di chi ha seguito con passione le avventure del nuovo jazz inglese: basti citare Mark Charig fra le trombe, lo stesso Rutherford e Malcolm Griffiths fra i tromboni, Elton Dean e Larry Stabbins fra i sax, Louis Moholo alla bateria, Julie Tippett (trent'anni fa già famosa come Julie Driscoll) e Maggie Nicols come voci. Proprio il suggestivo impiego delle voci negli impasti orchestrali ha costituito uno degli aspetti memorabili dell'esibizione della Tapestry, che per il momento non esiste purtroppo su disco, e una delle testimonianze più chiare delle virtù di Tippett come compositore e arrangiatore. Tra i sassofonisti - prestigioso l'invito e l'invitato - anche Gianluigi Trovesi. Alcuni dei membri dell'orchestra si sono prodotti anche in duo: così la Nichols e la Tippett, Dean e Charig, il sassofonista e suonatore di cornamusa Paul Dunmall e il contrabbassista Paul Rogers. Moholo ha invece dialogato con estremo tatto con la svizzera Irene Schweizer, altra protagonista storica dell'improvvisazione europea, che bisognerà decidersi a considerare uno dei maggiori pianisti di jazz in attività, e non solo da questa sponda dell'Atlantico. La Schweizer è apparsa anche col trio Les Diaboliques, costituito assieme a Maggie Nicols e alla contrabbassista Joelle Leandre, il cui set è stato uno dei più delicati e densi di tutta la rassegna.
Rimarchevole anche la partecipazione tedesca, con lo Zentral Quartett e i soli di due navigatissimi, straordinari esponenti dell'improvvisazione europea, il trombonista Conrad Bauer e il batterista Gunter Baby Sommer. Ma non mancava la Francia, rappresentata al massimo livello da un trio di tutte stelle, Michel Portal alle ance con Henry Texier al basso e Daniel Humair alla batteria. Festival di cui il creatore e direttore artistico Pino Minafra rivendica il carattere fortemente internazionale, il Talos seleziona con severità le proposte italiane e locali: della partita sono stati anche Enrico Pieranunzi in trio, il sassofonista Roberto Ottaviano che ha duettato con Sommer, Vincenzo Mazzone che ha meritato l'inserimento in cartellone, con un progetto originale, alla testa dell'ensemble Sud Percussions, mentre più freddi hanno lasciato (ma non il grosso del pubblico) i Totò Sketches di Daniele Sepe.
Da segnalare anche "Jazz Area", venticinque anni di rapporto con la musica neroamericana tradotti in mostra fotografica da Roberto Masotti. Impresa non facile, anno dopo anno e sforzo dopo sforzo il festival si sta consolidando. Quest'anno ha anche superato brillantemente il battesimo del fuoco del biglietto d'ingresso (peraltro modesto: 5 mila lire), che, introdotto per le ultime due serate, non ha disincentivato l'affluenza nella gremita piazza delle Monache di un pubblico locale fatto anche di molti anziani e di gruppi familiari. Una platea che potrebbe sembrare improbabile per musiche superficialmente considerate ostiche e che invece si è affezionata al Talos e segue i concerti con grande entusiasmo.