Una riserva della famiglia Suharto

PESCALI PIERGIORGIO

TIMOR EST/ECONOMIA

Una riserva della famiglia Suharto

- PIERGIORGIO PESCALI - DI RITORNO DA DILI

A Timor est l'edificio in costruzione nell'aeroporto di Dili, è quasi terminato; servirà da scalo merci in previsione di un suo ampliamento. Sulla facciata esterna campeggia bene in vista il nome dell'impresa di costruzione: Anak Liambau. Anche l'università di Timor est è stata costruita dall'Anak Liambau, così come l'ospedale e quasi tutti gli edifici pubblici, le strade, i marciapiedi della capitale. Il padrone della compagnia altri non è che Jose Abilio Osorio Soares, governatore di Timor est.

Il territorio timorese, di per sé poverissimo, è stato utilizzato per 23 anni da politici e generali indonesiani come fosse loro proprietà privata per incrementare il loro giro d'affari. Fiumi di denaro pubblico venivano riversati sull'isola per costruire infrastrutture, mentre le foreste del prezioso legno di sandalo, le ultime rimaste nell'Asia, venivano distrutte a ritmo vertiginoso.

Anche le piantagioni di caffè per anni hanno finanziato la Denok, compagnia che ha monopolizzato l'intero commercio timorese sino al 1995 e diretta dai generali Dading Kalbuadi e Benny Murdani.

Secondo George Aditjondro, professore all'Università di Newcastle, in Australia, il 40 per cento di tutta la terra di Timor est appartiene ancora oggi alla famiglia Suharto. E dato che un'amministrazione diretta da parte dell'ex presidente non farebbe buona pubblicità al governo indonesiano, specie in questo periodo, ecco comparire Basilio Araujo, faccia rispettabile del movimento integrazionista e nominato direttore del Provincial investiment board, l'organizzazione governativa che ha in concessione le terre di Suharto.

La separazione di Timor est dall'Indonesia provocherebbe uno sconquasso nel mondo economico e finanziario della regione.

Molti imprenditori australiani guardano con preoccupazione un'eventuale indipendenza del territorio in quanto gran parte dei profitti generati dalle compagnie dei militari, vengono dirottati nel paradiso fiscale di Christmas Island, per poi essere investiti in Australia grazie a imprese di comodo.

Ma il grande punto interrogativo che preoccupa la finanza di Sydney e Melbourne, è il Timor gap treaty, l'accordo stipulato con l'Indonesia nel 1989, grazie al quale le due nazioni si sono divise le zone ricche di petrolio e gas naturale nel Mar di Timor. Circa 30.000 kmq di superficie sono state date in concessione a 27 compagnie internazionali off-shore, tra cui la Phillips petroleum Co. di Bartlesville (Oklahoma), l'australiana Woodside petroleum Ldt e la Shell Australia. Secondo alcune stime pubblicate dalle stesse multinazionali, le riserve presenti premetterebbero guadagni netti pari a 11 miliardi di dollari Usa.

José Ramos Horta ha già detto che, nel caso i timoresi orientali scegliessero la via indipendentista, il nuovo governo non porrà obiezioni alla ratifica del trattato con l'Australia. "Timor est avrà bisogno di sostegno economico e saremmo degli incoscienti se non sfruttassimo quel forziere che è al largo delle nostre coste".

Timor Est diverrà un nuovo Brunei Darussalam? "Le premesse ci sono tutte", afferma George Aditjondro.

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