REPORTAGE
- PIERGIORGIO PESCALI - DI RITORNO DA DILI
A
"I timoresi sono indonesiani al cento per cento; lo sono sempre
stati e sempre lo saranno. Che senso avrebbe avere una nazione a
sé stante? Come potrebbe sopravvivere senza l'aiuto
dell'Indonesia? Questo si chiedono i timoresi e a queste domande
non trovano risposte. Per questo si sono uniti in movimenti a
favore dell'integrazione con l'Indonesia". Secondo Tavares, le
violenze di cui si stanno rendendo protagonisti questi
"movimenti" non sono che la risultante di provocazioni effettuate
ad arte dal Falintil, il gruppo guerrigliero indipendentista che
dal 1975, anno dell'invasione indonesiana nel territorio, ha
contrastato con le armi l'esercito di Jakarta.
"Le milizie altro non sono che dei 'Pam Swakarsa', gruppi di
civili incaricati di mantenere l'ordine e la sicurezza nei
villaggi. In ogni distretto indonesiano ci sono dei 'Pam
Swakarsa', eppure nessuno si scandalizza". Ma basta recarsi a
Liquisa, pochi chilometri a nord di Maliana, per sconfessare le
parole di Tavares. Questa è l'area dove opera la milizia più
attiva di tutto Timor est: il Besi Merah Putih. Il suo
nome, tradotto dall'indonesiano, significa "Ferro rosso e bianco"
(sono i colori indonesiani) e rispecchia fedelmente la ferocia e
la determinazione dei suoi membri. E' stato il Bmp che ha
compiuto la strage del 6 aprile, durante la quale duemila persone
rifugiate nella chiesa del paese sono state costrette a uscire
con un lancio di gas lacrimogeni. Ne è seguita una carneficina,
che ha lasciato sul sagrato una cinquantina di persone. "Membri
del Falintil", è stata la giustificazione dei miliziani.
"Pacifici contadini, rifugiatisi a Liquisa con le loro famiglie
per fuggire alla violenza delle bande armate
pro-integrazioniste", è stata la replica delle organizzazioni
umanitarie.
Monsignor Belo, il vescovo di Dili Premio Nobel per la pace,
quando si è recato sul luogo del misfatto, ha esclamato di
vergognarsi di essere indonesiano. Avrebbe avuto altre occasioni
per vergognarsi: due mesi più tardi, il Bmp ha attaccato un
convoglio umanitario, sulla via del ritorno a Dili dopo aver
consegnato cibo, medicinali e indumenti a migliaia di profughi
nei campi di Sare. La polizia, anziché arrestare gli aggressori,
ha rinchiuso in prigione alcuni membri delle Ong organizzatrici
della missione, con l'accusa di trasportare armi.
"Perché i giornalisti e l'Unamet non parlano degli attacchi
condotti dagli indipendentisti alle popolazioni civili?", chiede
Eurico Guterres, il leader politico delle milizie e lui stesso a
capo dell'Aitarak (La Spina), il gruppo paramilitare che
opera a Dili e che è uno dei maggiori responsabili delle mattanze
avvenute dopo che sono stati resi noti i risultati del
referendum. E' lui che ha aizzato i suoi seguaci ad attaccare le
case dei personaggi indipendentisti più noti: "Scovateli ed
uccideteli!", ha detto poco prima che un gruppo di miliziani
assaltasse la casa di Manuel Carrascalao, uccidendo suo figlio
Manuelito assieme a una ventina di suoi amici. Sempre lui aveva
chiamato i suoi seguaci a una manifestazione nella capitale, lo
scorso 17 aprile, chiamata "Invadi Dili", durante la quale li
aveva incitati a catturare e uccidere i sostenitori
dell'integrazione.
"Non mi pento di ciò che ho fatto", dice nella sede
dell'Aitarak, "se ne avessi la possibilità ucciderei io
stesso il portavoce dell'Unamet, David Wimhurst, reo di
raccontare fandonie e di porci in cattiva luce di fronte al mondo
intero". Poi, ripensandoci, conclude: "Ma a noi non importa nulla
di ciò che pensa il mondo. Vogliamo restare con l'Indonesia e ci
resteremo, anche a costo di scatenare una guerra".