MIOPI CASSANDRE SUL CAMPO DI BATTAGLIA

ARCHIBUGI DANIELE

IL FUTURO DEL NOVECENTO/14

MIOPI CASSANDRE SUL CAMPO DI BATTAGLIA

La grande illusione della pace, l'olocausto nucleare, la fine della storia: tre profezie smentite dagli orrori del secolo breve

- DANIELE ARCHIBUGI -

I l Novecento è dominato da tre principali profezie in tema di guerra e pace: la grande illusione, l'olocausto nucleare, la fine della storia. La prima profezia è "la grande illusione" espressa, assai prima che nello splendido film di Jean Renoir, in un libro con questo titolo di Norman Angell, intellettuale inglese del cenacolo di Bertrand Russell. Nel 1910, mentre da un lato impazzavano i caffè della belle époque e dall'altro si costruivano armamenti e trincee, Angell si interrogava su quali fossero i vantaggi che i vari paesi europei potevano ricavare da una guerra tra loro. L'Europa attraversava un periodo di sostenuto sviluppo economico, le arti e i mestieri fiorivano, l'aristocrazia e la borghesia si godevano il privilegio di appartenere alla stessa casta di viaggiatori, esploratori e affaristi. Tutti potevano arricchirsi, e anche se l'espansione del commercio internazionale tedesco iniziava a restringere il dominio inglese, non si trattava certo di un problema che dovesse essere risolto con le armi.

P erché mai avrebbe dovuto finire l'idillio, si chiedeva Angell? Non che considerasse la guerra impossibile, al contrario. Bastava osservare con quanta meticolosità Francia e Germania si dedicassero a costruire i primi aerei e le prime auto blindate, l'intensità dei traffici diplomatici delle potenze imperiali alla ricerca di alleati straccioni per capire che l'Europa poteva infiammarsi in ogni istante. Non solo, ma il germe del nazionalismo, che per tutto l'Ottocento aveva avuto una funzione progressista, veniva oramai utilizzato per aizzare i popoli uno contro l'altro, con tale efficacia da travolgere pure l'Internazionale Socialista. La guerra non era impossibile, ma semplicemente inutile ed era, appunto, una grande illusione l'intenzione di alcuni stati di ottenere vantaggi tramite un conflitto armato.

Angell riprendeva una antica e nobile tradizione intellettuale, quella dell'utilitarismo. La guerra sarebbe dovuta scomparire, sostenevano già Bentham, Madison e Kant, perché contraria agli interessi degli individui e degli stati. La conclusione politica che Angell ne ricavava era che piuttosto che fare appello alla morale del pubblico, si trattava di educarlo alla difesa dei propri interessi.

Angell aveva ragione; nessuna delle potenze ricavò dal conflitto vantaggi superiori ai costi, ma soprattutto si infranse per sempre il sogno di progresso che aveva così a lungo coltivato l'Europa borghese. Lo capì assai bene Sigmund Freud alla vista dei primi orrori sui campi di battaglia: "Mai un evento storico ha distrutto in tal misura il così prezioso patrimonio comune dell'umanità".

In un certo senso, l'Europa non si è più ripresa dall'assurdità della prima guerra mondiale; con l'ingresso della Russia sovietica e dei totalitarismi fascisti si smarrì in via definitiva quel salotto borghese popolato da governanti simili e condito dalla comune passione per lo sfruttamento dei proletari e dei popoli coloniali. Angell era stato fin troppo ottimista a sostenere che la guerra sarebbe stata inutile; essa fu, per la borghesia europea, un semplice suicidio.

A guerra terminata, ci pensò John Maynard Keynes, giovane e ambizioso funzionario del Tesoro inglese, a formulare il corollario alla profezia di Angell. La Conferenza di Parigi, sostenne Keynes, non aveva messo fine alla Prima guerra mondiale perché l'atteggiamento esoso della Francia nei confronti della sconfitta Germania e la politica bellicista contro la Russia sovietica rendevano l'equilibrio dell'Europa ancora più precario che durante la belle époque. Del resto, quali azioni decise dal Trattato di Versailles potevano prevenire una nuova guerra mondiale? I Quattordici punti del Presidente Wilson divennero ben presto carta straccia, per il resto non venne fatto nulla per garantire stabilità.

Alla fine della seconda guerra mondiale, ancora una volta si nutrivano speranze per un mondo pacifico; la nuova illusione portò addirittura, grazie all'impulso di Roosevelt, alla creazione delle Nazioni Unite. E basta leggere le prime parole del Preambolo della Carta della Nazioni Unite per trovare, più che una profezia, una promessa: "Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra". Ecco, insomma, annunciata la missione principale della razza umana: evitare la guerra.

Tale altisonante speranza veniva sottoscritta a San Francisco pochi giorni dopo che, sull'altra sponda del Pacifico, avevano brillato le prime bombe atomiche. E da esse, doveva scaturire una vasta e abbondante generazione di nuove profezie: sarebbero nuovamente state utilizzate? La rivalità tra Stati Uniti e Unione sovietica avrebbe condotto all'olocausto nucleare? E' stato questo l'incubo che ha dominato il pianeta per quarant'anni.

Eccola, la guerra fredda, perché a farla diventare calda si sarebbe consegnato il pianeta agli scarafaggi, insetti che resistono meglio degli altri alle radiazioni nucleari. "L'arma fine del mondo", per dirla con il Dottor Stranamore, c'era ma non poteva scoppiare. Quelli che hanno sostenuto che le armi non sarebbero state usate erano, paradossalmente, coloro che organizzavano il riarmo. Il partito del riarmo sosteneva che gli ordigni servivano come deterrente e se la deterrenza fosse stata tale da distruggere il mondo, si sarebbe evitato il loro uso. Un ragionamento così contorto non poteva che sollevare le obiezioni di coloro che sostenevano che se le armi nucleari c'erano, potevano essere usate. E che occorreva disfarsene il prima possibile.

Alcuni fisici nucleari americani produssero addirittura un orologio atomico per misurare la distanza che separava le super-potenze dalla decisione di usare le armi nucleari. Nel 1949 e nel 1983 si arrivò al momento di massima tensione: tre minuti al loro impiego. Ma mai questo orologio ha segnato l'ora zero.

C i si è tuttavia interrogati a lungo sulle implicazioni che tali armi producevano. Wright Mills, già nel 1959, scriveva un pamphlet di grande successo intitolato Le cause della terza guerra mondiale. Le ragioni c'erano tutte: rivalità ideologica, militare, politica. Si combatteva nei teatri regionali, si costruivano ordigni sempre più potenti e si inventavano sistemi per catapultarli il più rapidamente possibile sull'avversario. Poteva trattarsi solo di eventi simbolici? Così, tuttavia, li interpretava un anno prima, Karl Jaspers (La bomba atomica e il destino dell'uomo) che rileggeva l'epoca nucleare come espressione suprema della filosofia esistenzialista.

La nuova tecnologia riproponeva come problema dell'intera

umanità quello che fino all'epoca era una scelta eminentemente individuale: vivere o morire.

L'effetto simbolico della guerra fredda lo possiamo apprezzare oggi: gli ordigni sono ancora lì, quasi tutti, anche se con qualche filo di ruggine, ma non fanno più paura.

Se c'è qualcosa che può spaventare è la proliferazione, il rischio che qualche insulso dittatore con l'acqua alla gola, entrato fortunosamente in possesso di una bomba atomica, la possa usare al di fuori di ogni logica razionale. Se siamo ancora qui a scrivere lo dobbiamo al fatto che la storia ha preso un percorso assai diverso da quello profetizzato. Hiroshima e Nagasaki sono rimasti gli unici casi di utilizzazione delle armi atomiche. Eppure, esse hanno pesantemente condizionato la vita di questi quarant'anni.

L a guerra, con tutta la cruenza delle tecnologie del Novecento, è stata combattuta sui teatri regionali, le superpotenze e i loro alleati hanno destinato risorse enormi agli armamenti, i paesi satelliti sono stati tenuti in uno stato di sudditanza politica oltre che militare. All'ombra delle armi atomiche, la guerra mondiale è stata combattuta fino a quando non è crollato il muro di Berlino.

Con la rimozione del solido cemento che separava Est e Ovest, sono crollate anche tutte le previsioni; quelle di coloro che ritenevano che fosse la deterrenza nucleare a rendere impossibile la guerra, quelle di quanti ritenevano che l'unica possibile soluzione alla rivalità tra capitalismo e socialismo reale fosse di tipo militare. Siamo qui, ancora vivi, a compiacerci degli errori delle Cassandre atomiche.

Ed ecco la nuova generazione di profezie. La più audace è stata quella di Francis Fukuyama, che profetizzò addirittura la fine della storia e l'ingresso radioso dell'umanità in un'era di liberalismo e libero mercato che avrebbe anche assicurato la pace. Il coraggio della profezia l'ha facilmente sconfessata; il crollo del muro di Berlino ha riacceso conflitti locali che sembravano impossibili un decennio fa. Come nota Mary Kaldor nel suo recentissimo libro (New and Old Wars) ancora una volta siamo ben lungi dall'aver conseguito la fine della guerra, ma stiamo solo tornando a forme di conflitto che pensavamo superate.

N on sono più gli eserciti a combattere, ma gruppi para-militari senza controllo, che si finanziano tramite smercio delle armi, droga, contrabbando e prostituzione. Le vittime dei conflitti non sono più i soldati, come durante la prima guerra mondiale, ma principalmente i civili, perseguitati dalle bande armate mercenarie.

Gli eventi dell'ex-Jugoslavia, insomma, potrebbero non essere il caso isolato di una regione improvvisamente fuori controllo, ma diventare gli esiti paradigmatici, dei conflitti del prossimo secolo. Quanto è accaduto in Cecenia, nel Kurdistan, nel Corno d'Africa e in America Centrale è assolutamente coerente con quanto previsto da Mary Kaldor.

E che cosa si dimostra capace di fare la comunità degli stati che si autoproclamano illuminati? Le due guerre più eclatanti dell'ultimo decennio, quella nel Golfo persico e quella in Serbia e in Kosovo, hanno mostrato tragicamente come la strategia degli stati democratici in caso di conflitto si basi su un'unica ricetta: i bombardamenti aerei. Nel momento in cui gli eventi politici sul terreno diventano incontrollabili, per l'annessione di uno stato o per l'inizio di un genocidio, l'unica cosa che sa fare l'alleanza militare capeggiata dagli Stati Uniti è rovesciare un numero mostruosamente alto di bombe più o meno intelligenti. Che poi queste bombe cadano sugli effettivi responsabili di crimini di guerra o su popolazioni inermi che sono le principali vittime dei conflitti è, ovviamente, un altro discorso.

E' lecito attendersi per il prossimo secolo la creazione di dispositivi di controllo della comunità internazionale capaci di eliminare la guerra senza ricorrere alla guerra?

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