Dieci miliardi sequestrati al boss di San Lorenzo

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Dieci miliardi sequestrati al boss di San Lorenzo

In manette operaio Telecom: avvisava i boss intercettati

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L a scalata della Procura di Piero Grasso ai patrimoni della nuova mafia comincia dalla roccaforte del boss Mariano Tullio Troia. Ammontano a dieci miliardi i beni che adesso vengono confiscati a uno dei componenti della Cupola di Cosa nostra: terreni, fabbricati, autoveicoli ma soprattutto aziende e quote sociali di insospettabili società. Individuarli non è stato facile, così come non resta facile delineare il patrimonio del capo di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, ancora oggi ufficialmente nullatenente.

Troia, arrestato nel settembre del '98, era entrato nelle indagini delGico della Guardia di finanza cinque anni fa, quando ancora il boss era latitante. Nel gennaio scorso, la sentenza della Corte d'Appello che ratifica la confisca; in questi giorni il provvedimento è diventato esecutivo.

Fra i beni del capomafia di San Lorenzo entrati nel patrimonio dello Stato anche la villa di contrada Chiusa Grande, a Palermo, dove si svolgevano importanti summit per decidere omicidi e affari. La "casa degli orrori" l'hanno chiamata i pentiti.

La cassaforte di Mariano Tullio Troia non è però in Sicilia bensì, ritengono gli inquirenti, in Sud Africa. Nel paese di Nelson Mandela si è infatti sposato e ha vissuto per molto tempo intessendo lucrosi affari. Laggiù resta ancora un altro manager di Cosa nostra molto vicino a Troia, Vito Roberto Palazzolo: la sua estradizione è stata rifiutata per ben tre volte.

A Johannesburg si è impiantata una vera e propria colonia di boss protetta "ufficialmente" dal locale codice penale: il reato di associazione mafiosa non esiste e le richieste della Procura di Palermo vengon regolarmente cestinate. Insieme a Troia e Palazzolo, anche i boss di Partinico Giovanni Bonomo e Giuseppe Gelardi, pure loro con uno spiccato orientamento imprenditoriale.

Sono i diamanti il business che li ha arricchiti. Ed è ai loro capitali che adesso la Procura di Palermo mira per bloccare il fiume di riciclaggio che dall'Africa arriva in Sicilia e poi chissà dove. Dalle indagini sui patrimoni mafiosi a quelle sugli insospettabili fiancheggiatori dei boss. Ieri mattina, un tecnico della Telecom, Mario Toro, 50anni, di Militello Val di Catania, stato arrestato dai carabinieri del Reparto operativo speciale dei carabinieri con l'accusa di favoreggiamento aggravato: avrebbe agevolato l'attività di Cosa nostra avvisando i mafiosi quando venivano disposte intercettazioni telefoniche nei loroconfronti. L'uomo è stato arrestato su ordine del giudice delle indagini preliminari Angelo Costanzo su richiesta del sostituto procuratore Marisa Acagnino.

L'ultimo caso di "talpa" scaturisce da un'inchiesta su fughe di notizie relative ad intercettazioni disposte dalla Direzione distrettuale antimafia catanese. Toro avrebbe informato gli indagati delle intercettazionia loro carico. Gli accertamenti erano stati avviati dopo che in alcune centrali della Telecom si erano verificati guasti, poi risultati di natura dolosa, che impedivano le intercettazioni.

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