L'afrobrasiliano coro Alcàntara

LORRAI MARCELLO

AL FESTIVAL "LA NOTTE DI SAN LORENZO"

L'afrobrasiliano coro Alcàntara

- MARCELLO LORRAI - MILANO

Q uanti anni hai? "Otto". E da quanti fai parte del coro? "Sette". In mezzo a due "grandi", Pedro Antonio de Alcàntara, detto Pedrinho, quarantasette anni, fondatore e direttore della Familia Alcàntara Coral, e José Carlos Nascimento, sessantatré, "maestro assistente", Dayane ha aspettato con pazienza e molta serietà il suo turno per essere interpellata. Nel suo piccolo del resto ha già una bella esperienza: "San Paolo, Rio de Janeiro, Bahia...", comincia ad elencare quando le si chiede se è già stata in giro col coro.

Adesso è la prima volta che si trova all'estero, ma non c'è dubbio che anche in Europa non avrà particolamente nostalgia di casa, visto che è circondata da tante coetanee e poco meno di trenta parenti, a cominciare dalla bisnonna, la matriarca del coro: Filomena Tomadzia, detta Vò Mena, novantadue anni.

Assieme a due bambine di quattro anni, Dayane rappresenta infatti in questa tournée la quarta generazione della Familia Alcàntara, una corale dove si entra per nascita o per vincolo acquisito attraverso il matrimonio (lo stadio del fidanzamento non è considerato sufficiente).

La formazione è nata trentacinque anni orsono a Caxambu, un paesino dello stato brasiliano del Minas Gerais (qualche anno dopo la famiglia si è trasferita a una quarantina di chilometri di distanza, a Joao Monlevade).

Pedrinho, che aveva cominciato a cantare a scuola, a dodici anni fu chiamato ad entrare in un coro di chiesa; al coro mancavano voci, così dopo Pedrinho fu cooptato anche il padre, quindi la madre, cioè Vò Mena.

Alla fine la Familia Alcàntara decise di mettersi in proprio, prima affrontando i canti ecclesiastici, poi il folclore "africano" della propria tradizione negra.

16 donne di tutte le età

"Ma non siamo razzisti - si affretta a spiegare Pedrinho - se per esempio tu sposi una di noi, basta che tu sia capace di cantare, e anche se sei bianco puoi fare parte del coro". In effetti l'idea che anima questo gruppo familiare di neri e mulatti, discendenti da schiavi deportati nella seconda metà del settecento dall'Angola nella regione del Minas Gerais, non è affatto "integralista".

E' un'idea di tradizione non conservativa e aperta, che oltre che ad inserire in repertorio canti dei neri di altre parti del mondo, come una canzone per bambini dello Zaire, o blues, gospel, spiritual neroamericani, ha portato la Familia ad affezionarsi ad una canzone cinese, originariamente cantata in mandarino.

Abituata a schierare più di quaranta elementi nelle esibizioni in patria, di fronte al pubblico che affollava il cortile della Cascina Monlué per questo appuntamento della ormai tradizionale (e gratuita) rassegna La Notte di San Lorenzo (che si conclude stasera con un altro ensemble affascinante, i rumberos cubani Abbilona) la Familia Alcàntara ha allineato sedici donne e dieci uomini, fra i quali due percussionisti: in prima fila, oltre a Pedrinho, le tre bambine e, unica seduta, Vò Mena.

La vocalità della Familia Alcantara si propone come una mescolanza di materiali di matrice africana e di canti cattolici. Il repertorio è stato in parte originato dai canti che dall'Africa per trasmissione orale sono giunti fino a Vò Mena.

Un'altra fonte di ispirazione è costituita dal "congado de reis", il cui significato iniziale era quello di celebrare la regina Ginga, che nel seicento in Angola diventò famosa per aver difeso il proprio popolo contro i portoghesi.

Più tardi il "congado" ha incorporato la devozione nei confronti dei santi cattolici considerati patroni dei negri, come Nossa Senhora do Rosario, Sao Benedito e Santa Efigenia. Nel congado della sua città, la stessa Vò Mena interpreta il ruolo della storica regina.

Pedro Antonio de Alcàntara, che ha studiato musica ed è l'unico professionista della musica nel coro, ha poi applicato arrangiamenti vocali di carattere liturgico alle musiche del "congado".

Ma alla base della creazione di questa corale, che solo in anni recenti ha cominciato ad uscire dalla dimensione delle festività locali e che ha ora all'attivo anche due compact, non c'era solo l'intenzione di tenere in vita e rielaborare le tradizioni di origine africana.

"Il nostro scopo era anche quello di tenere unita la famiglia", spiega Pedrinho, "e fino a questo momento ci siamo riusciti".

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